"Se la spinta al godimento diventa compulsiva e non conosce limiti viene meno l´idea di legame sociale"
"Quella che stiamo vivendo è un´angoscia di fronte all´eccesso: come se ci mancasse un progetto, una prospettiva"
"Bisogna ritrovare una dimensione creativa rispetto ai nostri slanci per allontanarci dall´omologazione"
Massimo Recalcati a colloquio con Luciana Sica Repubblica 17.1.11
«Una sedia a rotelle fatta viaggiare a una velocità ingovernabile... Lacan ha proposto un´immagine alla Hitchcock per raffigurare un´economia che già negli anni Settanta considerava destinata fatalmente a scoppiare. Non parlava certo da economista e in più era un liberale conservatore, eppure sul "discorso del capitalista" è stato di una chiaroveggenza speciale. Perché ne coglieva la dimensione "pulsionale" con il trionfo del narcisismo e il culto dell´homo felix impegnato nella ricerca del proprio benessere individuale. Qualcosa di "folle", di "infernale", di "insostenibile"».
Massimo Recalcati parla dell´aspetto "politico" del suo nuovo libro che declina le varie sfaccettature del desiderio, con tutto il peso affidato dalla psicoanalisi a questa sua parola chiave. Ma è evidente tra le righe la consapevolezza del passaggio epocale che viviamo e sullo sfondo il naufragio dei grandi ideali collettivi della modernità occidentale. Anche a dispetto della dedica in codice «a Jacques Lacan, mon a-mur» – omaggio al maestro scomparso trent´anni fa – Ritratti del desiderio non è destinato solo agli specialisti del lacanismo (Cortina). Proprio perché è scritto da un analista che nella sua riflessione sui movimenti inconsci dell´esperienza umana non rinuncia a mantenere uno sguardo critico sui grandi cambiamenti sociali, sui nuovi modi di pensare e di vivere.
Lei scrive che la grande crisi dell´economia capitalista – questa sorta di implosione dell´Occidente – "non è solo finanziaria ma innanzitutto etica". Perché?
«Perché questa è una crisi che evidenzia il disprezzo e il misconoscimento del Bene comune, l´accaparramento senza freni delle risorse di tutti: il lavoro, le leggi, le istituzioni, la natura... Quando la spinta al godimento diventa compulsiva e non conosce limiti, quando l´avidità non ha più fondo, è la stessa idea di comunità che viene meno. Per dirla in termini analitici, è la pulsione di morte che prevale e travolge la dimensione del legame sociale».
C´è un´angoscia particolare che accompagna questi "anni terribili" di impoverimento anche emotivo, anche intellettuale?
«L´angoscia contemporanea non è l´angoscia di fronte al nulla di cui parlano i filosofi, ma piuttosto è l´angoscia di fronte all´eccesso: come se mancasse una prospettiva, un progetto. Non sorge dalla mancanza ma da un troppo pieno, dalla sensazione di essere imprigionati in un sistema che ci avvolge e ci comprime e sembra non permettere – nemmeno nella fantasia – di un altro mondo, di un altro orizzonte... Il nostro è senz´altro il tempo di un immiserimento materiale e mentale diffuso, è un tempo di precarietà dove l´angoscia – come dimostra la diffusione epidemica del panico – è di massa. Ma io tendo a escludere che sarà una condizione permanente».
La notte buia che viviamo potrà diventare "un fattore di rigenerazione", permetterci di riconoscere finalmente "il punto luminoso del desiderio": non è un catastrofista, lei. In cosa ripone la sua fiducia?
«L´angoscia non si limita a paralizzarci, ma può diventare la causa di un nuovo desiderio. Tutta questa circolazione cieca di godimento è senza soddisfazione, tende a produrre solo distruzione, ma ora il declino del "discorso del capitalista" può aprire a nuove possibilità di vita. Nella nostra esperienza clinica l´angoscia non è mai solo un vicolo cieco, ma segnala sempre la prossimità del soggetto alla verità (rimossa) del proprio desiderio, mettendolo di fronte a ciò che abitualmente cerca di evitare».
Ma, per dirla con Carver, di che cosa parliamo quando parliamo di desiderio?
«Intanto di una forza inconscia che spinge alla relazione con l´Altro e che sempre implica un inciampo, uno sbandamento, una perdita di padronanza... Non sono "io" che decido il mio desiderio, è il desiderio che decide di me, mi rapisce e mi anima. Secondo la lezione lacaniana, non è necessariamente infelice e neppure è riducibile a un sentimento di mancanza. L´insoddisfazione è un tratto strutturale dell´isteria, non del desiderio che è piuttosto una potenza, uno slancio che mostra come la vita diventa umana solo attraverso l´Eros, il legame, il riconoscimento della dipendenza, della differenza, della vulnerabilità. Certamente va messa in conto anche una certa quota di solitudine nel movimento di separazione, di distacco, di rottura e di sovversione dell´ordine familiare. E neppure esiste una misura giusta per definire un desiderio "normale" in quanto unico e irripetibile, inventivo e incomparabile, devianza singolare che sfugge, resiste, ad ogni tentativo di omologazione autoritaria».
Desiderio invidioso, amoroso, sessuale. Desiderio dell´altro, d´altro, di niente... La sua è una singolare galleria di esperienze che nella vita s´impastano. Ma perché il desiderio assoluto – quello "puro", come nel caso dell´intransigenza di Antigone – è destinato allo scacco?
«Lacan affermava che la sola vera colpa dell´uomo è quella di venire meno al proprio desiderio. La clinica psicoanalitica conferma che l´infelicità è spesso legata al fatto che la nostra vita non è coerente con ciò che desideriamo. E invita ad essere responsabili rispetto al desiderio che non può essere mai associato al capriccio, perché ogni volta che sono chiamato a scegliere "ne va della mia esistenza", come direbbe Heidegger. È senz´altro il caso di Antigone che persegue il suo desiderio – dare una sepoltura degna al fratello – senza esitazioni e contro ogni Legge, ma perdendo tutto, morendo sepolta viva. La sua tragedia svela come non ci sia mai nessuno, né un dio né un padre, a garantire che l´assunzione del desiderio sia generativa e non si riveli destinata allo smarrimento».
Un´ultima domanda: il Censis di De Rita ha fatto un abbondante uso di metafore utilizzate nei suoi lavori, segno che le interpretazioni rituali non bastano più per capire in profondità quel che succede. Allora si ricorre al pensiero di un analista tutt´altro che estraneo alla dimensione "politica". Lei che ne pensa?
«È importante che le categorie della psicoanalisi escano dalla così tanto decantata "stanza dell´analisi" ed entrino nel mondo storico e politico. L´isolamento della nostra disciplina non è "splendido" – come diceva Freud a Jones – ma rischia di manifestare solo la mummificazione dell´analista come pezzo del museo delle cere dell´Ottocento. La psicoanalisi può invece dare prova della sua efficacia sia come una terapeutica alternativa a quelle pratiche di normalizzazione e di medicalizzazione della vita oggi alla moda, sia come una teoria critica della società. In un tempo abitato da monadi che godono senza limiti di una libertà triste, è chiamata a essere una sentinella della dimensione creativa del desiderio, che già nel suo etimo indica un cielo aperto... Se infatti sidera in latino vuol dire stelle, sarà proprio di questo che si parla: dell´attesa e la ricerca della propria stella».
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