In un'epoca che ha fatto della semplificazione la sua cifra portante, non c'è da meravigliarsi troppo che, nell'esercizio di comprendere le vicende umane, si stia verificando quanto esemplificato dal filosofo Hegel: «Ciò che è noto, proprio perché noto, spesso non è conosciuto». La semplificazione, ad ogni livello, ci conforta nelle visioni armoniche e poco problematiche con cui vogliamo spesso interpretare i fatti, fornendoci la comoda illusione di poter non riflettere più su quanto ormai abbiamo rubricato alla voce «noto». È quanto è accaduto con l'equazione «Marx uguale Gulag», ovvero con la visione dominante secondo cui la «vecchia talpa», giocando il ruolo di cattivo maestro e falso profeta, avrebbe posto le basi ideologiche per il regime terrorista realizzatosi in Urss nel Novecento. Visione che trae alimento da una lunga tradizione di pensiero, divenuta dominante e pressoché incontrastata dopo l'Ottantanove.
domenica 29 gennaio 2012
Sulla tendenza dei liberali a leggere la storia in maniera lineare e deterministica quando si tratta di Marx
Complimenti a Paolo Ercolani, che è arrivato a espugnare la fortezza del Corriere [SGA].
Non tutto Marx viene per nuocere
Ha aiutato la democrazia: non fu solo il «cattivo maestro» del Gulag
di Paolo Ercolani Corriere della Sera La Lettura 29.1.12
In un'epoca che ha fatto della semplificazione la sua cifra portante, non c'è da meravigliarsi troppo che, nell'esercizio di comprendere le vicende umane, si stia verificando quanto esemplificato dal filosofo Hegel: «Ciò che è noto, proprio perché noto, spesso non è conosciuto». La semplificazione, ad ogni livello, ci conforta nelle visioni armoniche e poco problematiche con cui vogliamo spesso interpretare i fatti, fornendoci la comoda illusione di poter non riflettere più su quanto ormai abbiamo rubricato alla voce «noto». È quanto è accaduto con l'equazione «Marx uguale Gulag», ovvero con la visione dominante secondo cui la «vecchia talpa», giocando il ruolo di cattivo maestro e falso profeta, avrebbe posto le basi ideologiche per il regime terrorista realizzatosi in Urss nel Novecento. Visione che trae alimento da una lunga tradizione di pensiero, divenuta dominante e pressoché incontrastata dopo l'Ottantanove.
In un'epoca che ha fatto della semplificazione la sua cifra portante, non c'è da meravigliarsi troppo che, nell'esercizio di comprendere le vicende umane, si stia verificando quanto esemplificato dal filosofo Hegel: «Ciò che è noto, proprio perché noto, spesso non è conosciuto». La semplificazione, ad ogni livello, ci conforta nelle visioni armoniche e poco problematiche con cui vogliamo spesso interpretare i fatti, fornendoci la comoda illusione di poter non riflettere più su quanto ormai abbiamo rubricato alla voce «noto». È quanto è accaduto con l'equazione «Marx uguale Gulag», ovvero con la visione dominante secondo cui la «vecchia talpa», giocando il ruolo di cattivo maestro e falso profeta, avrebbe posto le basi ideologiche per il regime terrorista realizzatosi in Urss nel Novecento. Visione che trae alimento da una lunga tradizione di pensiero, divenuta dominante e pressoché incontrastata dopo l'Ottantanove.
Ai giorni nostri, può essere rappresentata dall'operazione editoriale che va sotto il nome di L'altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, una serie di volumi che stanno uscendo per Jaca Book coordinati da uno storico avveduto come Pier Paolo Poggio. Ma è bene sapere che è stata a vario titolo supportata da personalità diverse, come Luciano Pellicani, Marco Revelli, Marcello Flores, fino ad Alberto Mingardi, sulla «Lettura» di domenica scorsa. Insomma, bene che vada bisogna cercare un altro Marx, o meglio ancora rubricarlo fra i dannati, perché quello che conosciamo conduce dritti al Terrore. Eppure è sufficiente leggere Popper, quasi unanimemente considerato il filosofo che ha posto una pietra tombale sopra Marx, per capire che le cose non sono così lineari.
Sì, per quanto possa sembrare blasfemo nell'era della semplificazione, è stato il Popper tanto glorificato dagli anti marxisti nostrani a riconoscere a Marx il merito di aver analizzato e denunciato il carattere di «spietato sfruttamento» del capitalismo ottocentesco. È Marx ad aver affermato quel principio dell'«interventismo politico» in grado di superare il capitalismo «sfrenato» che faceva lavorare gli operai nelle fabbriche, compresi donne e bambini, fino a venti ore al giorno. Tanto che è assurdo, scriveva Popper, identificare il sistema economico delle democrazie moderne con quello che Marx aveva chiamato «capitalismo». È sempre Popper ad ammettere che i dieci punti programmatici elencati da Marx nel Manifesto, punti senza i quali non potremmo capire le democrazie in cui viviamo, si sono realizzati tutti e anche di più, permettendo il superamento di odiosi privilegi e drammatiche discriminazioni a carico delle fasce sociali e umane più deboli. Fu fondamentale, in una parola, il contributo di Marx alla democrazia.
Quale, allora, la sua colpa più grave secondo Popper, quella in grado di inficiarne il grande contributo e di fargli elaborare un sistema che avrebbe condotto fino ai Gulag? La violenza. Pensare che si potesse ottenere la democrazia soltanto attraverso la rivoluzione e non in maniera gradualistica come di fatto è avvenuto. Il fatto curioso è che Popper precisava di giustificare la violenza in un solo caso: per ottenere la democrazia stessa, le elezioni generali aperte a tutti, che consentissero al popolo di sostituire un governo senza spargimento di sangue. Il guaio è che, ai tempi di Marx, nei Paesi europei avanzati la percentuale di popolazione a cui i governi capitalistici riconoscevano il diritto di voto era ben lontana dal 10 per cento.
Mai come oggi, in tempi di nuova crisi del capitalismo, varrebbe la pena di evitare le semplificazioni ideologiche e la damnatio memoriae di un autore che tanto ha contribuito a delineare la civiltà occidentale. Memori anche dell'ironico aforisma con cui Galbraith riassumeva la questione: «Sotto il capitalismo l'uomo sfrutta l'altro uomo. Sotto il comunismo avviene il contrario!».
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