domenica 29 gennaio 2012

Ulteriori clamorose novità storiografiche! Il fascismo non c'entra: Gramsci fu incarcerato e ucciso da Togliatti perché era diventato liberale

Una caduta di stile di questo genere da parte di Nello Ajello ha dell'incredibile. A seguire una riflessione di Giuseppe Vacca sul libro di Rapone [SGA].

Franco Lo Piparo: I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista, Donzelli, Roma 2012

"Il giallo del quaderno sparito che svelava le critiche al Pci"NELLO AJELLO, LA REPUBBLICA del 28/1/2012 a pag. 51

I primi scritti del grande pensatore, secondo l’analisi di Leonardo Rapone, rivelano discontinuità con le riflessioni della maturità. Non si tratta tuttavia di posizioni estranee a quelle che conosciamo attraverso i «Quaderni»Il giovane Gramsci non è un alieno
Il libro. Il volume dello studioso Leonardo Rapone «Cinque anni che paiono secoli» ha dato spunto ad aspre polemiche. Sul Corriere della Sera Paolo Mieli ha scritto una recensione dal titolo «Il giovane Gramsci contro la democrazia. “È la nostra peggior nemica”, scrisse sull'Avanti! Preferiva il liberalismo proprio perché borghese». Marcello Veneziani sul Giornale ha sostenuto la tesi che i primi scritti rivelano addirittura un giovane Gramsci mussoliniano. Su l’Unità Bruno Gravagnuolo ha già contestato quest’ultima tesi: «Il Gramsci di destra? Mai esistito. Perché l’iniziale radicalismo del pensatore non ha nulla a che fare con Mussolini».
di Giuseppe Vacca l’Unità 29.1.12

Cinque anni che paiono secoli» è l’espressione con cui Gramsci riepilogò il suo vissuto della Grande Guerra. Leonardo Rapone l’ha eletta a titolo della sua biografia del «giovane Gramsci» (L. Rapone, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo. 1914-1919, Carocci editore) che si può considerare l’opera più spiccatamente storiografica finora dedicata agli anni della sua formazione. Come si sa, Gramsci, autore decisamente postumo, venne conosciuto prima per le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere, e solo dal 1954 cominciarono a essere pubblicati in volume gli scritti del periodo precedente. Editi in un arco temporale molto lungo, essi furono oggetto di attenzione e di dibattiti condizionati dal mutare delle congiunture politiche e culturali ancor più di quanto non fosse avvenuto per i Quaderni. Il primo aspetto da sottolineare del libro di Rapone è che, anche per la distanza che ci separa da quelle stagioni, il suo è un libro di storia: vale a dire non un libro asettico, ma neppure piegato a finalità politiche strumentali, bensì una ricerca dominata dalla passione di comprendere e spiegare. Perciò nel libro c’è un esauriente contrappunto con le precedenti stagioni interpretative e, storicizzandole, Rapone si getta alle spalle le dispute del passato.
Un secondo aspetto di questo libro è la periodizzazione. A che periodo si può fermare la «giovinezza» di Gramsci? La questione non è accademica poiché pensiero e azione politica di Gramsci furono scanditi da decisive «discontinuità». La periodizzazione proposta da Rapone, che sceglie come termine della sua ricerca la nascita dell’«Ordine Nuovo» (maggio 1919), mi pare del tutto persuasiva. Sebbene Gramsci avesse avuto incarichi di rilievo politico fin dall’autunno del ’17, solo con la direzione del movimento torinese dei consigli diventò un «capo», sia pure di dimensione territoriale limitata. Al tempo stesso, quella esperienza caratterizzò il suo approdo al bolscevismo, decidendone il destino, e ne mutò radicalmente lo spettro intellettuale.
Quanto poi al metodo, il criterio seguito da Rapone è quello di ricostruire il modo in cui la vita e il pensiero del «giovane Gramsci» furono condizionati dalla «grande storia» e sotto quest’aspetto l’evento decisivo fu la guerra: il modo in cui Gramsci la percepì e prese parte ai sommovimenti da essa originati nella lotta politica e nell’intellettualità europea, filtrati dal crogiolo della città più moderna dell’Italia di allora, Torino. Tra il ’14 e il ’19 Gramsci era un intellettuale più che un politico, un «giornalista integrale» piuttosto che un pensatore; ma il solco della sua vita era già tracciato. Gramsci si iscrisse al Partito socialista nel 1913, cioè dopo il sopravvento del socialismo «intransigente». Il suo «programma di ricerca» era, quindi, scandito da uno straordinario impegno intellettuale per dare coerenza teorica e culturale al «socialismo rivoluzionario». Tener ben fermo questo dato consente a Rapone di ricostruire l’individualità della figura di Gramsci nel suo farsi utilizzando e rielaborando con grande libertà elementi della cultura europea attinti prevalentemente al di fuori delle correnti ideali del socialismo. Si sciolgono, così, molti dilemmi che, cominciando dai suoi avversari dell’epoca e attraversando la boscaglia della letteratura successiva alla pubblicazione degli scritti, hanno quasi sempre fallito il compito di coglierne l’autonomo sviluppo e l’unitarietà. Conviene fare qualche esempio: il «giovane Gramsci» fu bergsoniano, soreliano, gentiliano, crociano? Una rilevante mole di scritti si è cimentata con questi esercizi dissolvendo molto spesso la figura di Gramsci nella molteplicità delle sue fonti culturali. La via seguita da Rapone ci consente invece di enucleare il profilo del suo pensiero sviluppatosi attraverso le più ardite «contaminazioni» della cultura europea del primo Novecento: un pensiero sincretico, di cui si può riconoscere l’unità e l’autonomia ricostruendone la finalizzazione al progetto politico perseguito. Il caso politicamente più rilevante riguarda il primo articolo scritto da Gramsci, Neutralità attiva e operante (31 ottobre 1914) che gli costò più d’un anno di ostracismo nel suo partito e ancora viene citato per sostenere che inizialmente Gramsci fosse stato «interventista». Per brevità non racconto il modo in cui Rapone giunge a dimostrare il contrario, ma invito a soffermarsi innanzitutto su quel «caso» per avere un’idea di quanto i suoi criteri storiografici siano efficaci.
Questo libro contribuisce, infine, a fare chiarezza su un problema che solo all’apparenza riguarda gli «studi gramsciani», mentre in realtà ha un interesse storico e culturale molto più vasto: la questione della continuità o discontinuità fra il «giovane Gramsci» e il Gramsci dei Quaderni. La questione ha origini lontane, dovute all’autorevolezza dei primi sostenitori della continuità – a cominciare da Eugenio Garin – che continuarono ad affermarla anche dopo la pubblicazione dell’edizione critica dei Quaderni del carcere (1975). L’interesse più vasto a cui ho accennato riguarda la storia del comunismo italiano e la tendenza storiografica, prevalente fino a pochi anni fa, a considerarlo in blocco una eccezione, o quanto meno un «comunismo nazionale» tendenzialmente autoctono grazie all’impronta che Gramsci gli avrebbe impresso fin dal 1926. La scansione della biografia politica e intellettuale di Gramsci serve a fare chiarezza anche su questo, a condizione che, ricostruendo l’itinerario del «giovane Gramsci», si abbia piena consapevolezza della novità costituita dai Quaderni, che Rapone mostra di padroneggiare sapientemente.
Il carattere sistematico dei Quaderni, la novità del pensiero politico e della filosofia che li percorre vengono utilizzati da Rapone non già per presentare il pensiero precedente come un reticolo di felici anticipazioni, bensì per cogliere le differenze politiche e teoriche fra il Gramsci «giovane» e il Gramsci «maturo», e fare emergere come il suo cammino sita stato scandito dai mutamenti della storia mondiale nel ventennio 1915-1935. Per fare solo un esempio: se fra il 1919 e il 1926 si può dire che il tema principale della biografia di Gramsci sia stato l’attualità della rivoluzione mondiale, sarebbe difficile provare ch’essa fosse ancora al centro della ricerca dei Quaderni. La biografia di Gramsci si può dividere così, grosso modo, in tre periodi: pre-bolscevico, bolscevico e post-bolscevico. Ricostruire storicamente il primo al modo di Rapone consente di tener fermi gli eventi epocali (la guerra e la rivoluzione russa) e la temperie intellettuale (la crisi della cultura europea del primo Novecento) su cui Gramsci continuò a riflettere in carcere, ma anche di individuarne le discontinuità concettuali e strategiche originate dal mutare della situazione mondiale (l’«americanismo» e le sue proiezioni sull’Europa) ben oltre i confini che il comunismo sovietico potesse abbracciare.
Il comunismo italiano del secondo dopoguerra s’innestò senza dubbio nel pensiero dei Quaderni, ma solo nei limiti consentiti dall’interdipendenza fra un comunismo nazionale che aveva il vantaggio di operare fuori dalla sfera d’influenza sovietica, e la sua appartenenza al comunismo internazionale. Valore e limiti di quella esperienza appartengono, quindi, a un tempo storico che non fu quello di Gramsci e liberare le potenzialità del suo pensiero, scandagliare la contemporaneità di un classico del Novecento, quale Gramsci è ormai universalmente considerato, è tanto più agevole quanto più se ne svincoli la biografia dalla vicenda successiva del suo partito. In questa prospettiva, l’individualità del «giovane Gramsci» che Rapone ci restituisce è una pietra miliare per la ricerca che oggi impegna una nuova generazione di studiosi non solo di Gramsci, ma della politica e della cultura del Novecento.

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