sabato 4 febbraio 2012

L'uomo che rovinò Pietro Secchia

Il Pci e il caso «Nino» Seniga
Quando scappare con la cassa era una ribellione politica
di Maurizio Caprara Corriere della Sera 4.2.12 da Segnalazioni
ROMA — È proprio il caso di dire che nemmeno le appropriazioni indebite della cassa di un partito sono più quelle di una volta, se si prende per buona la tesi secondo la quale l'amministratore della Margherita Luigi Lusi avrebbe agito da solo e di testa sua. Ad alcuni l'inchiesta su questo tesoriere del Terzo millennio ha fatto tornare alla mente la storia di Giulio Seniga, nome di battaglia «Nino», l'ex partigiano viceresponsabile della «Vigilanza» del Partito comunista italiano che nel 1954 si portò via i fondi del Pci. Nino il ladro, restò per decenni nella tradizione orale di Botteghe Oscure. Quello però era il marchio d'infamia che conveniva a Palmiro Togliatti e ai vertici del partito, non la verità su un atto ribelle che comportò sì una fuga con danaro e tuttavia fu un gesto di rivolta politica dettato da un singolare amalgama di iperrealismo e ingenuità idealista.

Avvenne tra il 24 e il 25 luglio 1954, data scelta perché era l'anniversario della prima caduta di Benito Mussolini. Convinto che Togliatti fosse troppo incline al compromesso con la Democrazia cristiana e avesse rinunciato alla rivoluzione proletaria, Seniga fece un giro tra gli appartamenti segreti sui quali il Pci gli aveva affidato la supervisione affinché ci si potessero rifugiare i propri dirigenti in caso di colpo di Stato reazionario. A uno a uno, Nino li svuotò di documenti riservati, di parte dei fondi che vi erano nascosti e si dileguò. L'obiettivo di Seniga era di smuovere Pietro Secchia, il numero due del Pci che su Togliatti aveva analoghe opinioni. I soldi, in quel caso, costituivano il carburante che mandava avanti la macchina del partito, forza di massa intenta a ramificarsi per l'Italia con una sezione per ogni campanile.
Secondo l'analisi marxista, è la struttura a influenzare la sovrastruttura, l'economia a determinare in gran parte le scelte politiche. La logica del progetto di Seniga era quasi cartesiana, ma in politica 2+2 non fa necessariamente quattro. Secchia non se la sentì di assecondare sollecitazioni considerate avventuriste. Sapeva che anche in Unione Sovietica l'idea di destabilizzare l'Italia troppo in fretta non avrebbe trovato le sponde necessarie.

A Seniga il partito diede la caccia per giorni in ogni luogo: per rintracciarlo si mobilitarono ex partigiani comunisti con altrettanta esperienza in attività militari e clandestine, furono organizzati pedinamenti, attivati confidenti. Nel frattempo, il 28 luglio arrivò a Secchia un espresso. Lo aveva spedito Nino per informarlo in codice di avergli lasciato 50 mila dollari in assegni «per dar battaglia». La richiesta all'uomo del quale era stato collaboratore: decidere se dedicarsi alla famiglia o battersi «in seno al partito per affermare i giusti principi e il giusto costume».
Il gruppo dirigente del Pci subì in silenzio una scossa difficile da confessare. Come chi scrive ebbe modo di sapere, raccogliendo testimonianze di Seniga e Antonello Trombadori, i soldi portati via erano fondi che il Pci aveva ricevuto clandestinamente da Mosca. Né Togliatti né Secchia potevano denunciarne la scomparsa alla polizia. Si trattava di 421 mila dollari, ha spiegato Seniga a Carlo Feltrinelli che lo ha intervistato per il suo libro Senior Service.
Con i soldi, Nino non comprò appartamenti nel centro di Roma. Finanziò la sua testata Azione comunista, poi fondò la casa editrice «Azione comune». Scottato dall'aver visto da vicino i tentacoli del mostro sovietico nella versione italiana di una ferrea ragione di partito, diventò un socialista libertario. «Mio padre aveva deciso di darsi uno stipendio da operaio specializzato», ha ricordato il figlio Martino nel commentare il libro postumo di Giulio Seniga Credevo nel Partito. «Sia lui che mia madre non hanno mai acquistato o posseduto un immobile», ha scritto. Infatti il padre, con la sua giacca anni Cinquanta anche decenni dopo, malgrado i suoi occhi azzurri tutto era fuorché un dandy lussuoso. E' morto nel 1999 dopo aver vissuto in centro. Ma in un appartamento in affitto del Comune di Milano.

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