martedì 20 marzo 2012

Ancora sul "Manifesto del nuovo realismo" di Maurizio Ferraris

Fine del postmoderno
È la realtà che ci emancipa
Critica, ontologia, illuminismo le parole chiave del «nuovo realismo» che secondo Ferraris  fotografa la filosofia attuale
di Mario De Caro da: Il Sole 24 ore del 18 marzo 2012


In uno dei sequel più celebri della storia della letteratura Alexandre Dumas padre fa reincontrare, D’Arta-gnan, Porthos, Athos e Aramis vent’anni dopo. È il 1648 e il contesto in cui l’impavido quartetto si trova ad agire è profondamente cambiato: alla solida pace sociale e politica garantita dal potere assoluto della monarchia, che lasciava spazio solo a qualche gioco di palazzo, si è sostituita la violenta fronda dei nobili contro la reggente Anna d’Austria e l’odiato Mazarino. In venf anni ciò che appariva perenne si è dissolto.
Qualcosa di simile è capitato anche nella filosofia contemporanea. È passato solo un ventennio da quando, nella seconda edizione del suo Realism and Truth, Michael Devitt osservava a malincuore come l’antireali-smo fosse assai più popolare del realismo. Devitt guardava al mondo filosofico anglosassone dove, in effetti, tra gli avversari del realismo c’erano, a vario titolo, filosofi del peso di Dummett, Kuhn, Feyerabend, Goodman, van Fraassen, Davidson, Wright, Hacking nonché (sebbene proprio allora avesse cominciato a virare sulle posizioni realiste che sostiene ancora oggi) Putnam. La situazione era analoga nella filosofia continentale, in cui dominavano filosofi fortemente ostili al realismo come Derrida, Gadamer, Foucalt, Lyotard, Latour, Rorty, Vattimo, Baudrillard e Lacan. Parole come “verità”, “realtà”, “oggettività” e, appunto, “realismo” erano assai poco gradite.
Ma ora, passati i fatidici vent’anni, il realismo è tornato in gran voga, sia in ambito continentale sia – con forse ancora maggiore evidenza – in ambito analitico. Si sa però che i mutamenti intellettuali, per quanto rilevanti, spesso vengono notati solo a posteriori: come nella storia del re nudo, allora, per farci apprezzare la forza del ritorno del realismo ci voleva lo sguardo acuto di un osservatore fuori dagli schemi. Come Maurizio Ferraris, il quale dopo aver acceso la scorsa estate un vivace dibattito sul tema vi toma ora con sistematicità con il suo Manifesto del nuovo realismo. Un libro che coniuga originalità e rimarchevole chiarezza e che farà certamente discutere.
«Nuovo realismo», nota Ferraris nel prologo, è un termine descrittivo: «semplicemente la fotografia… di uno stato di cose». Ma la sua modestia è eccessiva perché, oltre a offrire una lettura illuminante dello Zeitgeist filosofico, questo libro offre anche preziose indicazioni sulle ragioni del fallimento dell’anti-realismo e, soprattutto, offre indicazioni originali sulla direzione che il nuovo realismo dovrebbe prendere. Ferraris discute in particolare la crisi del postmodernismo, la filosofia antirealistica più popolare in ambito continentale (in ambito analitico la crisi delle concezioni ostili al realismo ha avuto in parte ragioni diverse). In questo senso è cruciale, a suo giudizio, che il postmodernismo abbia prodotto esiti pratici che suonano come una reductio ad absurdum delle originarie istanze emancipatorie di questa concezione. Così, nello scrivere che la guerra del Golfo era soltanto un evento televisivo, Baudrillard non voleva certo sostenere l’imperialismo della dinastia bushiana. Ma le parole dell’ineffabile Karl Rove, quando dichiarava «noi siamo ormai un impero, e quando agiamo creiamo una nostra realtà», non erano forse sinistramente assonanti a quella di Baudrillard? Insomma: secondo Ferraris, nel corso degli anni il postmodernismo, da presunto strumento di liberazione, si è trasformato in instrumentum regni. Un esito infausto, alla cui luce il ritorno in auge del realismo non appare troppo sorprendente.
Ma quanto c’è di nuovo nel «Nuovo realismo»? Per alcuni, ad esempio Umberto Eco, non molto, al punto che dovremmo piuttosto parlare di ritorno del «Vetero realismo». In parte ciò è vero (quando mai si pesca Eco ad aver torto del tutto?): al contrario della scienza, la filosofia non può dimenticare la sua storia e, certo, il realismo di oggi è debitore di quello del passato. Tuttavia, ci sono anche cose nuove e importanti. Più specificamente, secondo Ferraris tre sono le parole d’ordine fondamentali del nuovo realismo – ontologia, critica, illuminismo – e in ognuna di esse c’è qualcosa di antico, ma anche qualcosa di nuovo.
Per quanto riguarda l’ontologia, la classica scienza dell’essere, il suo ritorno in auge non implicache sia tornato popolare il cosiddetto “realismo metafisico”, l’idea secondo cui esisterebbe una e una sola descrizione corretta e complessiva del mondo, cui corrisponderebbe una sola Ontologia (con la lettera maiuscola, come scrive ironicamente Putnam). II mondo si articola in modo vario e complesso e diversi sono gli apparati concettuali con cui lo si può descrivere e spiegare: Ferraris, per esempio, insiste molto sul fatto che l’esistenza degli oggetti sociali, a differenza di quella degli oggetti fisici, è legata all’agire intenzionale degli esseri umani. Ma il realismo è anche la condizione necessaria (anche se non sufficiente) della possibilità di criticare efficacemente l’ordine costituito: anche quello, sfuggente, del mondo globalizzato. Solo ciò che esiste, in quanto esiste oggettivamente, può essere cambiato.
Infine, secondo Ferraris il nuovo realismo porta in sé una fondamentale istanza illuministica, ossia la fiducia nella forza liberatoria della ragione e della scienza. È su questo punto che forse si appunteranno le critiche dei postmoderni: come si può ritenere, domanderanno, che l’illuminismo porti all’emancipazione, se storicamente esso ha generato forme di acquiescenza, tecnocraticamente orientate, verso le disparità sociali e politiche? Questa obiezione però è inadeguata, se non altro perché ignora il recupero storiografico del cosiddetto “Illuminismo radicale”, su cui in questi anni hanno magistralmente insistito Margaret Jacob e Jonathan Israel. La cultura illuministica non fu affatto omogenea al proprio interno e sviluppò anche tendenze radicali, che rappresentarono una minaccia importante per l’ordine costituito. In quella tradizione il nuovo realismo può dunque trovare l’ispirazione per continuare la battaglia ideale di cui il postmoderno si era inizialmente fatto promotore, ma da cui è uscito mestamente sconfitto.

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