giovedì 26 aprile 2012
Una storia del popolo Rom
Santino Spinelli: Rom, genti libere, Dalai editore
Da sempre oggetto di sospetti e vessazioni, di persecuzioni e genocidi
(si pensi ai 500mila Rom e Sinti massacrati dai nazisti), il popolo Rom è
una delle più antiche minoranze del Vecchio continente, tra le più
dinamiche e radicate. Eppure di loro non sappiamo nulla, a partire dal
fatto che usiamo Rom come sinonimo di «zingari», mentre invece si tratta
di uno dei cinque gruppi etnici (oltre a Sinti, Kale, Manouches e
Romanichals) che costituiscono la popolazione romanì.
Per la prima volta, uno studioso Rom italiano ci offre una storia
complessiva di questo popolo, dalle migrazioni originarie alla
situazione contemporanea, abbracciandone la cultura e i valori sociali,
le espressioni artistiche, fino alle organizzazioni politiche.
Questo racconto ci restituisce l’identità «invisibile» dei Rom,
l’evoluzione di tradizioni e valori millenari tramandati nella
quotidianità: un’identità ignorata dagli stereotipi dei campi nomadi che
trasformano gli errori di pochi in colpa collettiva; relegata nel
ghetto della povertà ed esclusione sociale dalle stesse associazioni di
pseudo-volontariato; annientata, infine, dall’attuale politica di
assimilazione attraverso la Romfobia.
Appartengono alla popolazione romanì celebri attori come Michael Caine,
Bob Hoskins, Yul Brynner, Rita Hayworth, il calciatore Michael Ballack,
professori di prestigiose università, persino un Premio Nobel, un
Principe, un Presidente della Repubblica e un Beato. Se ci stupiamo è la
prova di quanto radicati siano i pregiudizi, di quanto utile sia questo
libro, frutto di venticinque anni di ricerche e scoperte, il cui
messaggio paradossale è che i Rom sono un popolo «normale» di «genti
libere», una libertà per nulla romantica, ma che è la forza di chi ha
preservato con tenacia la propria identità, resa misconosciuta da secoli
di discriminazione e propaganda.
Santino Spinelli in arte «Alexian» è un Rom italiano,
musicista, compositore, poeta, saggista. Ha due lauree, una in Lingue e
Letterature Straniere Moderne e l’altra in Musicologia, entrambe
conseguite all’Università di Bologna. È autore di numerosi articoli e
opere letterarie sul mondo Rom. Insegna Lingue e Processi Interculturali
(Lingua e cultura romanì) all’Università di Chieti. Con il suo gruppo,
l’Alexian Group, tiene numerosi concerti in Italia e all’estero.
Ha pubblicato partiture musicali per orchestra, ensemble e fisarmonica
sola con il titolo di Romano Drom («Carovana romanì») con l’Ut
Orpheus di Bologna e ha tenuto concerti con l’Orchestra Sinfonica
Abruzzese e con l’Orchestra Europea per la Pace a Strasburgo al Palazzo
del Consiglio d’Europa.
Il popolo Rom nomade per forza
Il libro di
Santino Spinelli ripercorre con ricchezza di documenti la dolorosa
storia delle «genti libere». Dalla deportazione dall’India allo
sterminio
nei lager nazisti, fino alla diaspora durante le recenti
guerre balcaniche
di Marco Rovelli
l’Unità 26.4.12 da Segnalazioni
Nella storia europea
non c'è popolo che abbia subito tante persecuzioni come il popolo Rom.
Perfino quando ricordiamo lo sterminio nazista, celebriamo solo la
Shoah, ma non il Porrajmos, ovvero la «devastazione» dei Rom. Eppure si
calcola che furono tra 500 mila e 1 milione e mezzo i Rom sterminati nei
lager. Di loro, però, eccedenza costitutiva, scarto inassimilabile
perfino nella memoria, non dev'esservi traccia. Ecco allora che un libro
come Rom, genti libere di Santino Spinelli (Dalai editore, 17,50 euro) è
indispensabile a tessere nuovamente un filo, assegnando un nome, un
volto e una storia a un'entità che da sempre viene disconosciuta,
manipolata, fatta oggetto di menzogne secolari che hanno dato
legittimità alla loro persecuzione.
Il libro di Spinelli, musicista e
intellettuale (insegna all'Università di Chieti), ci restituisce
anzitutto, con una rilevante mole documentaria, la storia del popolo
Rom. Che dall'India del Nord all' inizio dell'XI secolo, dopo le razzie
del sultano persiano Mahmud di Ghazni, venne deportato a occidente: e
proprio in Persia quelle differenti comunità si diedero il nome «Rom»,
ovvero «uomo».
Molto interessante il modo in cui Spinelli intreccia
la storia dell' esodo dall'India con il divenire della lingua romanì, un
itinerario di terre e culture attraversate, che mostra come in tutta
evidenza la lingua sia una sedimentazione di esperienze. A cominciare,
ad esempio, dalla parola «mare», di cui appunto i Rom fecero per la
prima volta esperienza in Persia. Di lì arrivarono nell'Impero
bizantino, dove vennero nominati Atsingani (da cui «zingari»), come una
setta manichea itinerante con la quale vennero confusi. Il primo modo
per non rispettare l'altro è occultarne il nome e l'identità, e
proiettargli addosso i nostri fantasmi (così anche «gypsy» e «gitano»
vengono da «aegyptianus»).
I Rom erano molto scuri di pelle, e
nell'Europa medievale questa era una cosa che spaventava, legata al
diavolo. E poi le loro «origini oscure», la lingua misteriosa
interpreta-
ta come slang furbesco, i diversi modi di vivere, la
pratica delle arti magiche e divinatorie (che li rese invisi alla
Chiesa): vennero così banditi da ogni territorio d'Europa.
L'arrivo
di queste genti era tanto più inaccettabile nel momento cui si
costruivano monarchie nazionali e signorie centralizzate, essendo un
elemento di instabilità. Si venne a creare così un circolo vizioso
inarrestabile. Nel 1498 l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo emanò un
bando: «chiunque può ammazzare e bruciare gli zingari senza commettere
reato». In tutta Europa si diffusero misure simili. Una parte
consistente di romanì intanto era resa schiava nei principati rumeni, e
tale rimase fino alla metà del XIX secolo: anche questo è un altro
immenso crimine contro l'umanità che è stato dimenticato, pure in
Romania.
IN ITALIA
Un altro capitolo ignoto è l'odierna
composizione della popolazione Rom in Italia: su 170mila persone
stimate, 60% sono cittadini italiani, prevalentemente stanziali,
abitando in case e esercitando svariati mestieri. 30mila sono venuti
dalla ex Jugoslavia e 40mila dalla Romania: anch'essi erano, prima delle
crisi sociali di quei Paesi, prevalentemente stanziali. Il presunto
nomadismo Rom è un'altra violenza esercitata ai loro danni. Chiedete a
un Rom se è lui che vuole stare in un campo. Vi risponderà di no. Ma
questo elemento di conoscenza, fondamentale per sviluppare una politica
basata sui diritti umani, di solito manca ai politici. Molte altre cose
che è necessario conoscere ci sono in questo libro (tutta la seconda
parte è dedicata agli elementi della cultura romanès: per ciò,
leggetelo.
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