mercoledì 27 giugno 2012
Agli islamofobi ipocritamente femminofili di casa nostra va ricordato che in Italia solo nel 1981 furono abolite le attenuanti per il "delitto d'onore"
Quando la gelosia uccide
Lo scandalo del delitto d'onore, eredità terribile dei classici
di Eva Cantarella
Corriere 27.6.12 da Segnalazioni
Nessuno
poteva dirlo meglio di Giuseppe Pontiggia. Oggi il peggior nemico dei
classici è un nemico che non li affronta, ma li ignora: la
programmazione scolastica. Un nuovo nemico che «delude, amareggia,
scoraggia per la sua stupidità. Dilapidare — noi che ne saremmo i
beneficiari diretti — l'eredità classica, è una ignominia e uno spreco
che nessuna nazione consapevole si permetterebbe». Da allora, le cose
sono precipitate, e una scuola appiattita sul presente ha reso ancor più
forte la necessità di ripetere che la prima funzione della scuola è
quella di formare cittadini dotati di ragione e di coscienza critica:
che i classici, appunto, aiutano in primo luogo a costruire. Non perché,
beninteso, essi siano depositari di valori superiori, eterni e
immutabili, come un tempo si diceva. Ci sono aspetti della loro cultura
oggi inaccettabili: l'idea che la schiavitù fosse naturale, ad esempio, o
che la ragione delle donne fosse diversa e inferiore. Ma per noi è
essenziale conoscere anche questi aspetti. Al di là delle rotture e le
discontinuità che hanno segnato i millenni che ci separano, infatti,
alcuni di essi sono arrivati sino a noi, insieme ad alcune delle regole
giuridiche a questi ispirate. Tra le quali (non potendo ovviamente
occuparci di tutte) ce n'è una sulla quale oggi vale la pena riflettere:
la regola che garantiva pene irrisorie a chi commetteva un «omicidio
per causa d'onore», cancellata dal nostro codice penale solo nel 1981,
dopo aver superato resistenze che solo il suo antichissimo radicamento
riesce a spiegare.
La giustificazione della causa d'onore nasce in
Grecia. Più precisamente nella prima legge ateniese, che nel 621-620
a.C. segnò la fine della cultura della vendetta, sino a quel momento
considerata l'unico modo per difendere l'onore. A partire da quel
momento l'omicidio divenne un reato punito con pene irrogate da
tribunali appositamente istituiti: morte per l'omicidio volontario,
esilio per quello involontario. Ma nel fare questo la legge stabilì
un'eccezione: chi sorprendeva in casa propria un uomo che intratteneva
rapporti sessuali con la propria moglie, madre, figlia, sorella o
concubina non veniva punito. Il suo omicidio infatti era «dikaios», vale
a dire legittimo. Rimasta in vigore per tutto il corso della storia
greca, la regola ispirò Augusto, che nel 18 d.C. concesse al padre
l'impunità per l'uccisione della figlia e del suo amante sorpresi in
flagrante in casa propria o del genero, e al marito, in determinate
circostanze, per l'uccisione dell'amante (uccidere la figlia, anche se
sposata, spettava solo al padre). L'impunità concessa da Augusto era
dunque meno estesa di quella prevista da Draconte, ma nei secoli
dell'impero si ampliò molto sensibilmente. Solo nel 556 Giustiniano
cercò di limitare le uccisioni, con una regola sulla quale vale la pena
soffermarsi: per uccidere impunemente i mariti dovevano preventivamente
inviare all'amante tre diffide scritte. Una regola molto discussa,
specchio ed esempio di una lunga, veramente lunghissima durata delle
mentalità. Per secoli, infatti, la regola delle tre diffide, sempre in
vigore, venne osteggiata suscitando crudeli ironie. Quando, nell'XI
secolo, il diritto romano ricominciò a essere studiato nelle università,
i giuristi si divertivano redigendo dei formulari quali ad esempio
(riportato da Giovanni Nevizzano d'Asti tra XV e XVI secolo), quello che
così suonava: «Io, Martino di Cornigliano in questi scritti denunzio
te, Tristano de Bravi, perché ti sospetto di commettere adulterio con
mia moglie. Astieniti dunque dall'incontrarti con lei e dal parlare con
lei. Se lo farai, io dichiaro in questi scritti che userò contro di te
del rimedio concesso dal diritto...».
Superfluo notare lo sbeffeggio
del marito, il cui nome, Martinus de Cornigliano, è una dotta
attestazione dell'antichità di due termini che tornano con frequenza non
solo nel linguaggio popolare, ma nelle successive opere della
giurisprudenza: «cornua» e «cornutus». Ma proseguiamo: sul finire del
XVI secolo (1583), Giulio Claro Alessandrino scrive che i mariti non
osavano denunciare la moglie adultera «per non incorrere nell'infamia
perpetua che ricade su di loro a causa di una malvagia consuetudine»: i
giudici infatti — scrive Felino Sandeo — deridevano chi proponeva
un'accusa di adulterio, al punto che per i mariti saggi era meglio
«tenersi le corna ("cornua") nel petto». Oppure uccidere, con margini di
impunità sempre più ampi. Il Senato milanese, ad esempio (sentenza 26
aprile 1588) stabilì che l'onore del marito era offeso dal semplice
fatto che si potesse pensare che egli era «cornutus», e successive
sentenze dichiararono che era suo dovere uccidere la moglie adultera e
il complice. E così, rafforzata dal consenso costante della
giurisprudenza, l'idea che l'onore familiare fosse legato al
comportamento sessuale femminile superò anche il secolo dei Lumi.
Neppure la critica illuminista, infatti, mise in discussione la causa
d'onore che, nel 1810, arrivò nel primo codice penale francese come
causa di totale esclusione della pena.
Diverse le previsioni delle
legislazioni italiane, per le quali la causa d'onore non escludeva
totalmente la pena, si limitava a limitarla. Ma allo stesso tempo
estesero l'attenuante alla moglie che uccideva il marito traditore e
alla madre e alla sorella che uccidevano figlia o sorella, anche se non
sposata. E da questi codici la regola giunse al primo codice unitario
(Zanardelli, 1890), e nel 1930, pressoché invariata, al codice Rocco,
che non richiedeva più che gli amanti fossero sorpresi in casa e in
flagranza. Bastava che l'assassino agisse «nell'atto in cui scopriva» la
relazione illegittima. Così che la «causa d'onore» veniva concessa, ad
esempio, a chi aveva scoperto la relazione aprendo una lettera o
ascoltando una telefonata. Le innovazioni introdotte dai codici
italiani, dunque, erano state notevoli. Ma i custodi dell'onore
familiare erano sempre gli uomini: l'estensione del beneficio era stata
concessa alla moglie in considerazione dei suoi «sentimenti di affetto»,
e a madri e sorelle perché il comportamento sessuale illecito di
un'altra donna della famiglia metteva in discussione la loro onestà. Per
vedere cancellato questo articolo, lo abbiamo detto, si è dovuto
attendere il 1981. Ma non sono mancate sentenze successive che hanno
concesso a chi aveva ucciso per causa d'onore l'attenuante di aver agito
«per motivi di particolare valore morale o sociale». E le cronache
odierne, purtroppo, ci costringono a ricordare che esistono ancora
sacche nelle quali questa mentalità non è sparita. Una ragione in più
per studiare i classici: oltre che per i loro grandissimi lasciti, anche
per alcune imbarazzanti eredità, che ci aiutano, comunque, a orientarci
in questo difficile presente.
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