Se i dirigenti di ciò che rimane dei partiti comunisti credono in quello che dicono - e cioè che è possibile, utile, necessario, ecc. perseguire in questa fase un accordo con il PD - il partito che ha governato la fase neoliberista e da ultimo ha sostenuto il golpe Napolitano-Monti -, significa che intendono consapevolmente reiterare l'errore che più di ogni altro ha tolto ogni credibilità alla sinistra radicale e ai comunisti: la subalternità. Con la conseguente inutilità politica dovuta alla continua contraddizione tra ciò che si dice (rappresentare le classi subalterne) e ciò che si vorrebbe fare (partecipare a maggioranze che concentrano la ricchezza verso l'alto). Cosa gravissima, nel pieno di una crisi della quale non abbiamo ancora visto nemmeno l'inizio.
Se invece dicono quel che dicono per scelta tattica - inserire il mitico cuneo nelle leggendarie contraddizioni tra la base del PD e i dirigenti... - significa che si credono furbi ma non hanno più i piedi per terra. E non si rendono conto che così facendo, con il clima che c'è nel paese, ad ogni loro intervento pubblico perdono una barca di voti senza acquistarne nemmeno uno.
Del tutto inutile è la lezioncina retorica ascoltata infinite volte sulla tattica-strategia, oppure sul confronto programmatico, sui contenuti, sul Compromesso storico, sulla Svolta di Salerno, sul patto Molotov-Ribbentrop, ecc. ecc. Amenità che tutti sanno essere la favole che vengono raccontate per tenere buoni quei pochi militanti che rimangono. Quello che invece si vede è questo: un agitarsi scomposto per dire "ci sono anch'io, non dimenticarti di me" a chi forse non vorrebbe nemmeno imbarcarli.
Spiace dirlo, ma se fosse solo questo ciò che rimane della tradizione comunista in questo paese, allora questa storia - che a lungo ci siamo ostinati a tenere in vita in maniera artificiale - si sarebbe giustamente conclusa. E tanto varrebbe mettersi il cuore in pace, piuttosto che infierire con l'accanimento terapeutico.
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