domenica 1 luglio 2012

La quotidiana diffamazione della Cina

"Da sinistra", questa volta: nello spirito del sincero anticapitalismo del Corriere [SGA].

L'esilio è il luogo dell'impotenza
«Divenni un rifugiato dopo i fatti di Tienanmen La mia Cina globalizzata oggi punta solo sui valori del mercato»di Yang Lian  Corriere 1.7.12 da Segnalazioni

E ' il 1993 l'anno che considero il più buio del mio esilio. Il sogno di tornare in Cina era ormai infranto, mentre il vagabondare nell'Occidente sconosciuto era più nebbioso che mai. Più che come vivere, era ancora più seriamente crudele capire come scrivere. Come posso creare una nuova profondità nella mia vita?
Quell'anno è stato uno spartiacque tanto quanto il 1976, durante la rivoluzione culturale: due «stazioni» in cui il destino mi aveva gettato violentemente, dove potevo solo affrontare un «per forza», una «impossibilità». Capivo chiaramente che avevo toccato il fondo. La realtà si svelava totalmente nel suo corpo nudo e orribile: una estrema imperfezione.
Ma, proprio come nel 1976, l'assenza di aiuti e il vuoto lasciati dalla morte di mia madre, mi hanno invece insegnato ad ascoltare il mio cuore. Sono diventati quell'inizio che, seppure lontano dalla «poesia», mi ha fatto toccare per la prima volta il «senso poetico» della vita: la profondità della poesia e la sua bellezza, il rapporto diametralmente opposto tra la giustizia e la disperazione cruda e vera. Forse ancora deve guardare alla morte di mia madre la poesia che è la mia vita?
In questi trent'anni lei non ha letto neanche una riga delle mie poesie. Però lei ha scritto me. Il suo sguardo è entrato a vivere in tutte le mie poesie. «Nascere nella forma della morte è il vero nascere», questa frase l'ho scritta prima dell'esilio dalla Cina. Forse comprende ogni esilio dentro e fuori dalla Cina? Come quando nel ‘93, lì su quel precipizio che domina l'oceano Pacifico, io usavo i quattro atti di Dove finisce il mare per trasformare l'esilio esteriore in un viaggio interiore, attraverso le diverse stratificazioni, verso una condizione dell'anima quasi onirica.
La perfezione è ideale. Ciò che vi è insito, più che tensione verso la completezza e la compiutezza, è una ricerca della mancanza — della consapevolezza dell'imperfezione. La nostra cosiddetta «soddisfazione» non è verso la realtà ma verso le acque morte dell'autoinganno spirituale. La parola «esilio» viene tradotta in cinese come «liu wang», che significa «liu» — «galleggiare-scorrere» — e «wang» — «morire». Il significato è scorrere verso la morte? O «scorrere» è già morire? O piuttosto è scorrere a partire dalla morte? Manca di coniugazione temporale e quindi in un tempo racchiude ogni esilio.
Chi ha tirato fuori questa parola dalle poesie di Qu Yuan nelle Domande al Cielo deve essere stato davvero un genio. Ha delineato e valutato la qualità dell'uomo: non riconoscersi in esilio non vuol dire che non sei in esilio, ma solo che non hai le capacità per riconoscerlo. Abbandonare la conoscenza è qualcosa di imperfetto, ma è una premessa, perché dall'abbandono ci si volga faticosamente verso la perfezione.
L'ideale si è ritirato, lasciando la realtà alla pratica, alla globalizzazione dei valori assoluti dello scambio. Il mondo di oggi, l'idea della politica e del sociale sono poveri fino allo stremo. E ogni persona si sente di una impotenza cosmica. E pure la maggior parte della letteratura non fa altro che coprire i buchi neri e abbellire il piattume. Nell'involucro dell'«uomo» si espande il puzzo di marcio e ci si chiede dov'è la perfezione.
Le caratteristiche cinesi dell'esilio post Rivoluzione Culturale e Piazza Tienanmen, ogni egoismo, freddezza cinismo e impossibilità, testimoniano da sempre l'assolutezza dell'imperfezione.
«Il punto del destino» è un punto senza via di fuga. Non rimane che guardare negli occhi al destino e alle viscere più profonde dell'uomo, per comprendere Qu Yuan, Ovidio, Du Fu, Dante. Anche la solitudine non ha coniugazione temporale. Quando il poeta della dinastia Tang, Wang Wei, scrisse «viaggiare fino a laddove le acque s'impoveriscono e sedersi a contemplare le nuvole salire», il senso poetico, spinto nuovamente verso il confine povero e reale, vede di nuovo aprirsi il mare dello spirito. Quando dico «commuoversi per il tradimento dell'antichità», vedo passare in un secondo migliaia di anni. I predecessori hanno lasciato in me il loro vissuto e non posso fare a meno di ricominciare da qui. La versione originale dell'idealismo è forse proprio la vita stessa. Forse l'assoluta imperfezione nasce da quella terribile parola che è «zhi dao-zhi tao» — «sapere»: quando uno conosce («zhi») il «tao», che possibilità nuove ha ancora? Ma allora è giusto così. Ogni vita è da sempre sul precipizio che sovrasta il nulla, e più è sola ed estrema più è ricca, e più non ci si appoggia su nessuna comunità e comodità, più la propria «ribellione estetica individuale» è profonda.
Questo va al di là della forma? È implicito nella ricerca di una forma dentro la vita o è al di là di essa? Nel continuo dare vita a un verso di poesia, finalmente si compie la perfezione della purezza della vita.
(Traduzione di Yang Shi)

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