lunedì 23 luglio 2012
Nuovi dettagli chiariscono ancora meglio il ruolo di Gorbaciov nella storia dell'idiozia universale
Grigore Cartianu: La fine dei Ceausescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche ( Aliberti, pp. 624, euro 18)
La morte di Ceausescu decisa da Urss e Usa
Un saggio del giornalista romeno Cartianu
ricostruisce gli eventi del dicembre 1989 Altro che rivoluzione di
popolo: a eliminare il Conducator fu un colpo di Stato
22 lug 2012 Libero SIMONE PALIAGA
Le immagini in bianco e nero scorrono tremolanti e sfocate. Un
uomo e una donna siedono dietro a un tavolo di legno e ribattono ai capi
d’imputazione elencati da un giudice. L’orgoglio dell’accusato traspare
dal tono delle risposte e la tracotanza del magistrato dal suo piglio
inquisitoriale. Poi una breve sospensione e le riprese passano
all’esterno dell’edificio a inquadrare due corpi esanimi accasciati a
terra.
È trascorso solo qualche istante dalla fucilazione seguita a un processo
sommario di appena due ore. Al suolo, riversi, Nicolae ed Elena
Ceausescu, il presidente della Repubblica socialista di Romania e sua
moglie. Sono immagini che giacciono nella memoria e fanno il paio con
quelle del crollo del Muro di Berlino: qui c’è gioia, là solo sangue. Le
separano nemmeno due mesi.
Gorbaciov isolato
È il giorno di Natale del 1989 e la Guerra Fredda è agli sgoccioli. Il
quarantennale confronto tra Usa e Urss batte gli ultimi colpi e a
franare sono i Paesi d’Oltrecortina. Il presidente sovietico Michail
Gorbaciov si fa promotore del passaggio di potere dalle mani degli
stalinisti ai riformisti. Tocca a lui avviare in Urss, a partire dagli
anni Ottanta, le riforme necessarie per mantenere il controllo della
situazione. E, per custodire intatta la sfera d’influenza di Mosca sui
Paesi satelliti, le impone anche agli alleati. Ma né Erich Honecker, a
capo della DDR, né Todorov Jivkov, alla guida della Bulgaria, né
Ceausescu l’ascoltano.
Per spodestarli e spingere le riforme serviranno manovre di palazzo e
rivolte di piazza pilotate dall’Urss. Solo così volti vergini meno
compromessi con il vecchio comunismo sì, ma comunque fedeli a Mosca,
avrebbero preso le redini della situazione. In una manciata di settimane
le vecchie gerarchie capitolano, una a una. D’altronde la sovranità
limitata non finisce alla morte di Breznev...
Tale suona l’ipotesi formulata da Grigore Cartianu ne La fine dei
Ceausescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche ( Aliberti, pp. 624,
euro 18). Secondo il giornalista anticomunista sarebbero stati uomini
agli ordini di Mosca ad appiccare i disordini che trascineranno nella
polvere il Conducator per assicurarsi un nuovo governo ancora legato
all’Urss.
I rapporti tra i due vicini non sono idilliaci da tempo. Quando Nicolae
Ceausescu sale al potere nel 1965, comincia a governare in maniera
autonoma, disinteressato ai diktat dell’ingombrante orso sovietico. Non
solo nel 1968 decide di opporsi all’invasione sovietica della
Cecoslovacchia. Negli anni Settanta inaugura anche una politica di
avvicinamento con gli Stati Uniti fino a diventarne partner commerciale
privilegiato. Scelte non facili negli anni della Guerra Fredda.
L’indipendenza da Breznev e la decisione di perseguire l’interesse
nazionale invece dell’interesse ideologico non lo mettono in buona luce
presso gli alleati.
Le relazioni di buon vicinato rimangono, ma progressivamente Mosca
infiltra le alte gerarchie romene con propri agenti per sorvegliare
l’operato di Bucarest. E non si tratta di figure di seconda fila:
spetterà proprio a loro, secondo la ricostruzione dettagliatissima di
Cartianu, liquidare Ceausescu soffiando sul fuoco delle insorgenze di
Timisoara e di Bucarest.
Benché i dissapori vengano da lontano, la svolta precede di pochi
giorni la rivolta nella capitale romena. Il 2 e 3 dicembre del 1989, tre
settimane prima della morte di Ceausescu, Gorbaciov incontra a Malta il
presidente americano George Bush. Se ufficialmente si occupano delle
ultime tappe della distensione, di fatto la discussione scivola sugli
imminenti interventi americano e sovietico su Panama e Romania. Gli Usa
sperano di decapitare l’imbarazzante narcotrafficante Noriega,
presidente dello Stato centroamericano, e i sovietici Ceausescu senza
intralciarsi. Ma il Conducator intuisce il gioco il giorno dopo, quando
vola a Mosca per un incontro di alto livello con i vertici del Patto di
LA FUCILAZIONE
I coniugi Ceausescu furono giustiziati da un plotone d'esecuzione a
colpi (oltre 100) di Kalashnikov Varsavia e Gorbaciov gli ingiunge di
dimettersi.
Poi la situazione precipita. Dal 9 dicembre numerosi turisti
entrano in Romania con visti sovietici e ungheresi. Rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente i viaggiatori raddoppiano, sfiorando i 67
mila. Sarebbero, stando alla ricostruzione, agenti stranieri addestrati
per allestire le diverse fasi della caduta dell’inaffidabile regime
carpatico. Trascorre qualche giorno e il 17 dicembre a Timisoara e il 22
a Bucarest esplodono le rivolte contro Ceausescu.
Vittime inutili
Ormai la miccia è accesa. Il Conducator e la moglie si
asserragliano nel Palazzo del Comitato centrale, ma sono incoraggiati
alla fuga, mentre la stampa internazionale denuncia migliaia di vittime
per le strade della capitale. Incomincia il tam tam mediatico di
demonizzazione. Il potere non sta più nelle sue mani. Nel giro di poche
ore sullo scranno del potere siedono Ion Iliescu, prossimo presidente
della Romania, Silviu Brucan e il generale Nicolae Militaru, tutti,
secondo Cartianu, legati ai servizi sovietici. Perché allora la partita
non viene chiusa subito, quando ancora Ceausescu era a Bucarest e gli
uomini al soldo di Mosca al suo fianco?
«Il calvario dei Ceausescu e della Romania», ammonisce Cartianu,
«sarebbe potuto finire il 22 dicembre 1989. Non ci sarebbe stato più
bisogno di quasi mille morti. Ma la semplificazione dello scenario
avrebbe rovinato i piani di alcuni individui dotati di un’insana sete di
potere, i quali avevano bisogno che scorresse del sangue. Avevano
bisogno della loro rivoluzione. E senza una loro rivoluzione non
avrebbero potuto rivendicare per se stessi il potere perché provenivano
dalle strutture più alte del partito».
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