Non bisogna essere scorretti e imputare a Vladimiro una ricaduta idealistica o un appiattimento sulla lettura più deteriore della filosofia della storia di Hegel. So bene che quando allude alla celebre massima stoica secondo la quale "Ducunt volentes fata, nolentes trahunt" non intende certo riferirsi a un destino soprannaturale al quale la prassi degli uomini debba necessariamente adeguarsi. So bene cioè che, da una prospettiva materialistica, fa riferimento a un contesto di dure condizioni oggettive e di rapporti di forza che a suo avviso determinerebbero in maniera stringente la scelta politica razionale, delimitando a monte il campo di ciò che è possibile e praticabile e utile da quello di ciò che è immaginario e velleitario.
Di questa stessa costellazione dei rapporti di produzione - o meglio, del modo nel quale bisogna fronteggiarli - è possibile certamente dare una lettura diversa da quella che a suo avviso andrebbe univocamente data, anche se farlo sarebbe molto noioso. Tuttavia, non si illudano quei compagni che a Vladimiro giustamente guardano come ad un punto di riferimento e che nella sua autorevolezza intellettuale cercano rassicurazioni e conferme. Non si illudano, perché l'analogia storico-filosofica utilizzata è ben chiara e non mi sembra affatto casuale nella sua crudeltà. E accanto alle ragioni di una scelta, essa indica anche le amare conseguenze che questa comporta. Conseguenza che nel caso di Seneca furono quelle di un'accettazione rassegnata ed eticamente convinta della necessità del proprio suicidio e della sua funzionalità al servizio del bene comune.
E' questo ciò che Vladimiro sta in realtà dicendo, sebbene con un linguaggio esoterico: nelle condizioni date, nel vicolo cieco nel quale i comunisti si sono stretti o sono stati costretti a stringersi, non c'è che una strada per ridurre il danno. Ma questa strada, che pure a suo avviso va percorsa fino in fondo, porta inevitabilmente al suicidio e dunque probabilmente non solo alla fine della ragion d'essere di quel partito che la percorre ma alla chiusura della questione comunista in Italia.
Il PdCI - nel quale non tutti hanno la consapevolezza tragica di Vladimiro ma molti, semmai, pretendono grottescamente di avere il vento della storia nelle vele e l'intelligenza del Togliatti degli anni Quaranta nel cervello - si avvia dunque a suicidarsi nella forma della subordinazione totale al campo di attrazione del centrosinistra e della totale perdita di ogni autonomia politica. Un "destino" nient'affatto imprevedibile e secondo me nient'affatto stoico, ma semmai sin dall'inizio inscritto nella natura strutturale di questo partito. Una natura che non data dal 1998 ma dal 1991 e che solo un'adesione volontaristica e per nulla materialisticamente meditata poteva rimuovere, riconducendone le contraddizioni all'influenza nefasta del "cossuttismo". Il PdCI potrà continuare magari a vivere formalmente e forse riceverà anche i rimborsi elettorali. Ma nel dichiararsi de facto pronto votare a favore di tutto ciò che di essenziale il centrosinistra gli ordinerà di votare esso sarà ben presto morto ed è anzi già morto rispetto ad ogni pretesa di rappresentare con credibilità e coerenza e in maniera organica le ragioni delle classi subalterne nel conflitto sociale (e non a caso il PdCI sembra scegliere la via della cooptazione e scommette tutto sulla propria capacità di operare una pressione interna agli equilibri corporatisti dello Stato post-democratico e neo-bonapartista).
Rifondazione Comunista, dal canto suo, si avvia parallelamente a suicidarsi nella forma di quella marginalità e inessenzialità che dei rapporti di forza non vuol sapere nulla. E si avvia verso la propria fine - almeno per quanto riguarda certe sue componenti interne - persino con la gioia irresponsabile del cavaliere della virtù che pensa di poter sconfiggere il corso del mondo.
Tuttavia questo suicidio è parallelo ma non è affatto simmetrico, perché la scelta di questo tipo di morte per isolamento non era affatto scontata da parte di Rifondazione, non era inevitabile ed è stata semmai condizionata dalla contrapposta e preliminare scelta del PdCI. Una scelta che sin dall'inizio di questa vicenda tutti - anche quelli che al PdCI sono approdati da poco - sapevano non essere mai stata in discussione nemmeno per un momento.
Non è simmetrico, perché il PdCI non fa che riproporre oggi - e in condizioni di rapporti di forza ancora peggiori - quello stesso schema di alleanze con il centrosinistra e quella stessa proposta di riduzione del danno che è stata già adottata 3 volte e per 3 volte è fallita con gravi conseguenze per la forza e la credibilità dei comunisti.
Non è simmetrico, infine, perché se proprio bisogna morire è più dignitoso farlo in piedi piuttosto che in ginocchio.
Comunque vada sarà una catastrofe. Non bisogna stupirsi del fatto che in pochi anni i comunisti in Italia si siano ridotti all'estinzione. C'è da stupirsi, semmai, che nonostante i terribili rapporti di forza politico-sociali, le loro contraddizioni interne, la loro deculturazione e i loro curiosi meccanismi di selezione al contrario dei quadri dirigenti, essi siano riusciti a restare in vita fino a questo momento [SGA].
Nessun commento:
Posta un commento