martedì 29 gennaio 2013
L'archivio Giorgio Colli è in rete
Giorgio Colli è in Rete (con Socrate)
Il
pensatore che ha curato le opere di Nietzsche diffidava della parola
scritta Invitava gli allievi a dialogare tra
loro e con i grandi del
passato. Ora rivive grazie a un sito
di Edoardo Camurri Corriere La Lettura 27.1.13
L'iniziativa è paradossale e affascinante insieme. Ne parliamo con
Alberto Banfi, quarantaquattro anni, bibliotecario per ragazzi a
Seregno, che da anni ha iniziato a lavorare insieme a Enrico Colli
(morto il 30 luglio del 2011) proprio a questo progetto. «Grazie al web —
dice — è possibile raccogliere quell'interesse per Colli che altrimenti
è difficile catalizzare attraverso le scuole, le istituzioni, i
giornali e i media tradizionali; parliamo di un filosofo che ha trovato
pochissimo spazio nell'università e nella critica». A complicare le
cose, e a renderle perciò ancora più interessanti, è il fatto che
Giorgio Colli ha scritto pochissimo, preferendo un lavoro diretto con
gli amici e con i collaboratori: «Colli aveva capito che l'unico modo
per fare cultura, in quel periodo, era il lavoro editoriale» spiega
Banfi spingendo ancora più in là un paradosso che si può riassumere
così: rivive sul web un grande filosofo inattuale la cui unica
concessione culturale alla contemporaneità erano le grandi fatiche
editoriali (per dirne una: Colli curò per l'Adelphi appena fondata da
Luciano Foà, Roberto Bazlen e Roberto Calasso l'edizione critica
dell'opera completa di Friedrich Nietzsche; e sul sito è possibile
leggere una parte dell'affascinante corrispondenza con Luciano Foà a
proposito di questo incredibile progetto editoriale nato alla fine degli
anni Cinquanta). Viene in mente un passo che si legge nel suo Dopo
Nietzsche (Adelphi) e che può essere applicato a lui stesso: «Nietzsche —
scrive Colli — attacca Socrate come se fosse vivo, come se lo vedesse
dinanzi a sé. Questo è il grande fascino della sua inattualità. Essere
fuori del tempo ma avvicinare il passato, trattare l'assente come
presente». Il web, chi lo studia lo ripete spesso, è capace infatti di
trattare l'assente come presente, in una sospensione del tempo che
sembra poco per volta erodere il pregiudizio collettivo nei confronti
della storia e del progresso. Considerazioni abbastanza conturbanti
anche se, lo ammetto, arrivano dopo l'entusiasmo per l'immediato, cioè
per lo spettacolo che si prova davanti a tutto il materiale che si può
trovare sul sito web dell'archivio Giorgio Colli. Ho trovato per esempio
innamorevole la ricostruzione che Clara Valenziano, scrittrice, prima
moglie di Valentino Parlato, ha fatto degli anni di Lucca quando,
immediatamente dopo la guerra, Giorgio Colli insegnava filosofia in un
liceo di quella città e i suoi allievi la studiavano secondo lo spirito
più classico dei grandi greci: «Molto presto fu deciso, per dare basi
più solide alle nostre discussioni, di organizzare la lettura di testi.
L'autore più letto fu Platone. Ed è comprensibile che, quando a Lucca si
seppe che leggevamo il Simposio e ci banchettavamo su, la cosa fosse
considerata deplorevole: del resto era vero che quasi sempre qualcuno
finiva sbronzo». Il Simposio li rese famosi. «Anzi, malfamati» precisa
la Valenziano che poi aggiunge: «Fu il primo dialogo che leggemmo,
l'Alcibiade, ad aiutarmi a capire quello che Colli intendeva quando
diceva che dovevamo formare "una comunità di amici uniti dal vincolo
della conoscenza e da una particolare qualità dell'anima". È il passo
dove Socrate dice che come un occhio, se vuol guardare se stesso, deve
specchiarsi nell'occhio — sede della vista — di un altro, così l'anima,
se vuol conoscere se stessa, deve guardare nell'anima — sede del sapere —
di un altro: deve specchiarsi, manifestarsi, esprimersi».
La rievocazione di quell'esperienza filosofica, come si dice, vale il
viaggio. Come vale la pena sorprendersi leggendo sempre sul sito il
diario del 1944 dove il ventisettenne Giorgio Colli confidava come buon
proposito: «Preparare sin d'ora il sistema filosofico definitivo» (può
fare sorridere, ma è l'unica ambizione vera dei grandi filosofi).
Giorgio Colli diffidava della comunicazione scritta; si legge nella sua
Filosofia dell'espressione (Adelphi): «Qualcosa di sinistro appartiene
alla scrittura: chi legge si sente spinto ad abbreviare i passaggi, a
saltare qualcosa, come per un'oppressione innaturale di fronte a una
struttura macchinosa. La parola viva richiama direttamente l'universale,
mentre di fronte allo scritto, che dovrebbe richiamarlo indirettamente,
si salta lo stadio della parola o meglio si confonde in una cosa sola
parola e universale». Diffido delle teorizzazioni sul web, ma è
eccitante pensare che l'aristocratica diffidenza di Giorgio Colli nei
confronti della scrittura in nome di una comunità di eletti e di eguali
con la quale fare filosofia possa essere attraversata dalla freccia di
una comunità 2.0 di appassionati di Giorgio Colli. Anche se il maestro è
assente, importante è trattarlo come presente. Guardarsi negli occhi.
Anche attraverso un sito web.
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