mercoledì 20 marzo 2013
Editoria: la borghesia stracciona italiana non riesce più a farsi fare credito e il Corriere finisce sul baratro
Corriere, un dramma da miseria e (ex) nobiltà
I giornalisti e Della Valle sfidano gli azionisti che vorrebbero far pagare ad alktri i loro errori
di Giorgio Meletti il Fatto 20.3.13
Nei
cosiddetti salotti buoni milanesi, vuoi per l’atmosfera ovattata, vuoi
perché con l’età l’udito cala, la notizia che a Roma sta cambiando tutto
è come se non fosse mai arrivata. E così al Corriere della Sera si sta
perpetuando un clima da furbetti della Seconda Repubblica, una
riedizione in salsa meneghina di “Miseria e nobiltà”.
Oggi e domani
il quotidiano di via Solferino non sarà in edicola per uno sciopero dei
giornalisti. Protestano contro il piano di ristrutturazione
dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, il quale, nonostante
una carriera quasi tutta alla Microsoft, ha ideone premoderne come
quella di licenziare centinaia di persone per ridare salute ai conti
dell’azienda. E naturalmente a spese dello Stato, il che non guasta mai
quando devi rendere conto delle tue strategie e un drappello di
azionisti tanto blasonati e sussiegosi (con nomi come Mediobanca,
Generali e Intesa Sanpaolo e cognomi come Agnelli, Pesenti, Tronchetti),
quanto squattrinati e avidi. I numeri dicono tutto. La Rcs Mediagroup
ha quasi un miliardo di debiti perché nel 2007 si indebitò per un
miliardo per comprare in Spagna la società Recoletos, che in realtà
valeva molto meno. Nel 2012 una ulteriore svalutazione di oltre 300
milioni della stessa Recoletos ha contribuito a far chiudere i conti Rcs
con un rosso previsto in 400 milioni di euro (dal cda del prossimo 27
marzo la sentenza definitiva). Poi ci sono i periodici che perdono e il
settore libri che perde. Il Corriere della Sera va ancora bene e chiude
anche il 2012, con fatica, in utile.
Quando una società butta via un
miliardo per comprare una società che non lo vale, logica vuole che gli
azionisti facciano un bel sospirone e la ricapitalizzino. Il problema è
che gli azionisti del Corriere vogliono comandare, per esempio litigando
sul nome del prossimo direttore da mettere al posto di Ferruccio de
Bortoli, ma non pagare. Cioè vogliono i diritti dell’azionista ma non i
doveri. E poi i tempi sono grami, e per molti di loro, nobiltà decaduta
del capitalismo, tirare fuori la loro quota di un miliardo è troppo
doloroso, a volte addirittura impensabile. Mediobanca, primo azionista
Rcs con il 14 per cento, in questo momento non ha 140 milioni da buttare
su una società che produce molto potere e vanità, ma pochi utili. Carlo
Pesenti, nobilec ementiere di Bergamo, non ha sottomano quegli 80
milioni da sottoscrivere per la sua quota. E pensate che per la
accomandita Giovanni Agnelli di John Elkann e parenti sia così facile
cacciare i 100 milioni corrispondenti al 10 per cento di Rcs posseduto?
Così
anche l’aumento di capitale “ridotto” (solo 400 milioni) non è detto
che venga varato, perché per molti dei padroni del Corriere è ancora
troppo. Molto più semplice dire a Jovane di raddrizzare Rcs con i mitici
tagli. E lui annuncia che manderà a casa 110 dei 360 giornalisti del
Corriere, lasciando intendere che per lui, e quindi per i lettori, non
cambia niente se un terzo della redazione, la parte più esperta, va a
casa. Tutto per risparmiare 15-16 milioni all’anno con i
prepensionamenti, grazie agli “scivoli”, pagati dallo Stato per
altrettanti 15 milioni. E dunque nel tempio del libero mercato si
apparecchia tutto questo psicodramma per dichiarare lo “stato di crisi” e
arraffare quella quindicina di milioni dalle tasche del contribuente.
Il cosiddetto Gotha del capitalismo italiano, anziché riconoscere
sportivamente di aver sbagliato con Recoletos e ridare a Rcs il miliardo
bruciato in Spagna, secondo tradizione si sta già organizzando per
farsi dare un po’ di soldi pubblici e poi far pagare il resto ai
dipendenti del gruppo editoriale, creando di colpo 800 nuovi
disoccupati.
L’intervista data ieri a Repubblica da Diego Della
Valle, azionista di Rcs con l’8,7 per cento, ma tenuto fuori dal patto
di sindacato, cioè dalla coalizione di soci che comanda, segnala che
sullo sfondo del drammatico passaggio del Corriere si sta preparando una
resa dei conti spietata all’interno del sunnominato Gotha. Il
proprietario della Tod’s lancia un segnale preciso sullo stato dei
rapporti. In primo luogo rivendicando che lui ha capito il passaggio
d’epoca, tradotto nella formula “le azioni si contano e non si pesano”,
che ribalta le regola aurea su cui il fondatore di Mediobanca Enrico
Cuccia ha fondato il potere delle famiglie, squattrinate e avide. In
secondo luogo confermando di essere in guerra contro il presidente di
Intesa San-paolo Giovanni Bazoli, avviato, a 80 anni, a un nuovo mandato
al vertice della prima banca italiana; e contro John Elkann, presidente
della Fiat. Il più giovane e il più vecchio sono eletti a simboli di
un’oligarchia che “non ha fatto meno danni al Paese della politica” e
che pensa solo a garantirsi “il potere personale e la poltrona”. In
terzo luogo Della Valle fa capire che l’asse con il numero uno di
Mediobanca, Alberto Nagel, è di nuovo saldissimo. Come ai tempi in cui i
due fecero fuori Cesare Geronzi dalla presidenza delle Generali. Sarà
una primavera caldissima anche per il potere economico.
L’Ingegnere continuerà a occuparsi di editoria come presidente del Gruppo L’Espresso
De Benedetti passa il testimone ai figli trasferito il controllo della Cdb Sapa
Rodolfo sarà presidente esecutivo di Cir e Mondardini ad
Repubblica 20.3.13
MILANO
— Carlo De Benedetti esce dall’accomandita di famiglia e trasferisce il
controllo del gruppo Cir-Cofide ai figli. Come annunciato lo scorso 29
ottobre 2012 ieri è stato perfezionato il trasferimento a titolo
gratuito del controllo della Carlo De Benedetti & Figli Sapa,
azionista di maggioranza di Cofide, dal fondatore Carlo De Benedetti ai
tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo. Il trasferimento è avvenuto con la
modalità del cosiddetto “patto di famiglia”. I tre eredi, che ora
detengono la totalità del capitale della Carlo De Benedetti & Figli
Sapa, hanno deciso di mantenere l’attuale denominazione della società e
di alternarsi alla presidenza con mandati triennali. Il trasferimento
delle azioni sancisce dunque quel passaggio generazionale di cui
l’Ingegnere si è fatto promotore per dare continuità alla tradizione
imprenditoriale di famiglia, iniziata con il padre Rodolfo e la sua Tubi
Metallici Flessibili.
Un’azienda che fu interamente ricostruita dopo
la guerra e nella quale Carlo vi entrò nel 1959 come responsabile
vendite. «Da mio padre ho imparato il culto dell’impresa. Io ho spinto
assai più in là le attività di famiglia. Ora tocca ai miei figli», ha
detto De Benedetti in un’intervista al Sole 24 Ore lo scorso ottobre.
E
i figli sono pronti a raccogliere il testimone. Rodolfo, primogenito di
Carlo e amministratore delegato di Cir da 18 anni, assumerà la carica
di presidente esecutivo sia di Cir sia di Cofide con le assemblee del
prossimo 29 aprile. Al suo fianco arriverà Monica Mondardini che
assumerà la carica di amministratore delegato di Cir mantenendo la
stessa posizione al Gruppo L’Espresso. «Ha fatto un lavoro
straordinario, io e mio padre ne abbiamo apprezzato la competenza
professionale e le doti umane — aveva dichiarato Rodolfo in
un’intervista a Repubblica —. Il suo impegno a 360 gradi costituirà un
arricchimento per la Cir ma anche per L’Espresso». Gli altri due figli
di Carlo, Marco (oggi a capo del fondo Carlyle in Europa) ed Edoardo
(medico in Svizzera) non hanno incarichi operativi nel gruppo Cir-Cofide
ma saranno azionisti che si avvicenderanno alla presidenza della Sapa
con mandati triennali in modo da assicurare una assoluta pariteticità di
ruoli all’interno della holding. Il passaggio di consegne dal padre ai
figli, comunque, non comporterà cambi di strategia per quanto riguarda
le attività del gruppo Cir-Cofide presente in quattro settori di
business: editoria con il Gruppo L’Espresso, componentistica auto con
Sogefi, energia attraverso Sorgenia e sanità con la Kos.
L’Ingegnere,
che continuerà a occuparsi di editoria come presidente del Gruppo
L’Espresso, ieri intervenendo a una conferenza ha fatto una previsione
sul governo che verrà: «Penso che se ci sarà un governo sarà di breve
durata, perché dopo il cambiamento della legge elettorale si tornerà a
votare. Io penso così, anche se mi auguro che Bersani ce la faccia,
perché mi sembra che sia anche il più legittimato dal punto di vista del
numero dei seggi che ha in Parlamento».
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