Da giorni il Corriere della Sera parla
dell'intensa opera di convincimento che il PD sta esercitando su circa
15 senatori del M5S. In questo contesto, un appello come quello di
Settis & C. si rivela come il maldestro tentativo di mascherare una
squallida campagna acquisti. Quando Berlusconi compra i deputati altrui
manda Lavitola a rimpinguare il loro conto in banca. Quando è il PD a
farlo manda avanti gli intellettuali per illuminare le loro coscienze e vuole pure essere ringraziato in nome della storia. Chissà cosa ne pensano Rodotà e Zagrebelsky [SGA].
La vendetta del Grillo parlante sugli intellettuali di sinistra
di Luca Mastrantonio Corriere 11.3.13
Il
disprezzo di Beppe Grillo verso gli intellettuali del Pd ha ragioni
antiche e rappresenta una filologica nemesi collodiana. Sabato scorso ha
risposto ai primi firmatari di un appello al dialogo (Remo Bodei,
Roberta De Monticelli, Tomaso Montanari, Antonio Padoa-Schioppa,
Salvatore Settis e Barbara Spinelli) con dei versi di Giorgio Gaber.
Cortesi, rispetto a quanto scrisse nel 2009 sul blog: «venduti»,
«tartufi, cortigiani, zimbelli da esibire, spaventapasseri da
telegiornali di regime, ombre silenti, ciarlatani di piazza». Lanciano
appelli per la democrazia da sottoscrivere, anche on line, «appelli
vibranti che non servono mai». Gli intellettuali fanno «più schifo»
della classe politica perché non hanno mosso neanche un dito contro di
essa. Quando ad esempio — non lo cita, ma per lui fu un evento cruciale —
è stato cacciato dalla tv.
Ecco perché mandare gli intellettuali a
far da ponte con Grillo è come proporgli un convegno su Craxi! Anche
perché gli intellettuali di sinistra, in questi mesi, si sono limitati a
discettare sulle dosi di qualunquismo nel Movimento dell'ex comico.
Senza sporcarsi le mani — o la mente — salvo rare eccezioni, come il
collettivo Wu Ming. E lo sberleffo di Grillo è una vendetta ironica: per
anni i cultori del progressismo pedagogico hanno indicato come modello
di impegno intellettuale il Grillo Parlante. Umberto Eco e Alberto Asor
Rosa, in particolare, citavano l'insetto di Collodi come un mantra:
l'intellettuale deve essere una voce scomoda, una coscienza critica,
deve criticare la sua parte, rischiare di venire spiaccicato... Marcello
Veneziani ribatté a Eco: «Ridurre l'intellettuale al ruolo di ficcanaso
molesto significa farne una specie di difensore civico o di petulante
Beppe Grillo». E così fu (è). Il tanto invocato Grillo Parlante è
arrivato: si chiama Grillo Beppe. Intellettuale di riferimento degli
elettori dell'M5S. Un grillo parlante che urla, certo. Ma gli
intellettuali di sinistra? Per vent'anni molti hanno urlato contro il
regime tra battute e provocazioni (il berlusconismo peggio del
fascismo!) che ne hanno minato l'autorevolezza. Come cicale, travestite
da Grilli Parlanti.
Ma i pontieri giocano l'ultima carta
La via della trattativa «alla luce del sole»
E tra i «giovani turchi» si guarda al sindaco
di Maria Teresa Meli Corriere 10.3.13
ROMA — Il treno del Pd continua a correre su un doppio binario. Impresa improba, perché il rischio di deragliare è reale.
Le rotaie lungo le quali Bersani sta inseguendo la sua premiership
fanno tappa dai grillini. Convincerli, blandirli, agganciarli... tutti
obiettivi difficili, ma il segretario non demorde. E gioca su più piani
questa partita. Da un lato c'è Vasco Errani che continua a tessere la
rete del rapporto con gli eletti del «Movimento 5 Stelle». A lui e ad
altri parlamentari emiliani il compito di capire quale sia la
disponibilità degli eletti di Grillo. Poi c'è il canale di comunicazione
aperto con Sandra Bonsanti, figura di spicco del movimento Libertà e
giustizia: in lei il Pd individua la possibile intermediaria con i
parlamentari 5 Stelle. Quindi ci sono le amicizie personali. Il leader
toscano del movimento che fa capo al comico genovese si chiama Massimo
Artini: frequentava la stessa scuola di Matteo Renzi, ma, soprattutto, è
grande amico di Lapo Pistelli. Gli cura il sito Internet e lo conosce
da anni. Infine c'è la rete. Che serve per mobilitare un'ondata grillina
a favore dell'accordo con il Pd. Ieri c'è stato l'appello via Internet
di un gruppo di intellettuali che chiedono ai 5 Stelle di non voltare le
spalle al Partito democratico. Ma questo è solo un assaggio perché i
maggiorenti del Pd sanno bene che gli intellettuali più che attrarre
possono respingere questi ambienti: perciò si punta alla mobilitazione
«dal basso» del popolo della rete.
Domani verranno anche scelti i
due parlamentari che tratteranno «alla luce del sole» con i grillini.
Del tandem dovrebbe fare parte Laura Puppato, ma è chiaro che non è
quella ufficiale la diplomazia che riuscirà a sbloccare la situazione.
Nessuno in casa democratica crede che alla fine i 5 Stelle accetteranno
l'offerta della presidenza della Camera, il che complica ulteriormente i
giochi di Bersani. Già, perché se Grillo dicesse di sì il Pd potrebbe
offrire la guida dell'assemblea di palazzo Madama al Pdl senza incorrere
nell'accusa di voler «inciuciare». In questo schema il nome che era
stato scelto era quello di Gaetano Quagliariello. Ma se i grillini
insistono nel rifiutare questa offerta allora il Pd terrà per un suo
uomo (Dario Franceschini) la poltronissima di Montecitorio e cederà la
presidenza del Senato a un esponente della lista Monti (il nome più
gettonato fino a ieri era quello dell'ex europarlamentare del Pdl Mario
Mauro).
Del resto, lo stesso Bersani non sembra di certo sprizzare
ottimismo da tutti i pori e ieri ad alcuni parlamentari che gli
chiedevano lumi sulle trattative con i grillini per il governo
rispondeva con queste parole: «Non credo che siano possibili cambi di
casacca nell'immediato… magari più in là. E questo non risolve il
problema, tanto più che in questa situazione così complicata c'è la
variabile impazzita di Berlusconi. Se il Cavaliere vuole davvero le
elezioni le otterrà, è inutile prenderci in giro. Il quadro è così
instabile che basta una qualsiasi forzatura per non farlo reggere».
Ma, come si diceva, il treno del Partito democratico sferraglia anche su
altre rotaie. Dietro il Bersani che cerca di dare al suo partito ciò
che secondo lui merita, e cioè la guida del Paese, c'è uno stato di
agitazione permanente da parte del Pd. Non si sta parlando dei dirigenti
che hanno già fatto mostra di essere pronti a ripiegare su Renzi, nel
caso in cui il tentativo del segretario non vada in porto. Ora sono i
«giovani turchi» a muoversi. E non lo fanno più come una falange
compatta sotto l'insegna di «Bersani o morte». Adesso la nuova sinistra
del Pd annusa Renzi. Sì, proprio lui, quello che fino a poco tempo fa
era lo «spauracchio» dei giovani turchi, l'«uomo nero» contro cui
combattere nelle primarie prossime venture. Corre voce che anche
Bersani, il quale ha sempre detto di aborrire i «personalismi», abbia
aperto uno spiraglio alla via d'uscita che vede nel sindaco di Firenze
candidato premier di un centrosinistra alleato con Monti e con Vendola
(se ci sta).
L'altro giorno Matteo Ricci, presidente della provincia
di Pesaro, bersaniano, vicino ai giovani turchi, ha voluto parlare a tu
per tu con Renzi per capirne le mosse e per ribadirgli le sue idee.
Ricci aveva già anticipato al Foglio questa inversione di rotta: «Matteo
può essere il leader di una nuova generazione». Non si tratta di un
caso isolato. Già il sindaco di Bologna Virginio Merola aveva dichiarato
che Renzi rappresentava «l'unica speranza di rinnovamento». E persino
Orfini, che del sindaco rottamatore è stato acerrimo nemico fino a
pochissimi giorni fa, l'altro ieri ragionava così con un compagno di
partito: «Non è detto che occorra andare a una sfida all'Ok Corral con
Renzi: in realtà le nostre posizioni dopo le elezioni sono più vicine di
prima».
D'altra parte è sempre stato Bersani il primo a dire che
«la ruota deve girare». E ora potrebbe girare in favore del vento
renziano.
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