mercoledì 6 marzo 2013
Quando non ci capisce molto, Repubblica chiama anche Umberto Eco
“La chiave del successo di M5S è non apparire mai in televisione” “Grillo ha successo perché non va in tv ma l’aristocrazia dei blog ora non basta” Eco: quando la sinistra si dice vincente gli italiani votano a destra
intervista di Stefano Bartezzaghi Repubblica 6.3.13
SONO
passati pochi anni, professor Umberto Eco, da quando ha detto che a
volte avanziamo, ma «a passo di gambero». Parlava di «populismo
mediatico» e di paradossi della civiltà tecnologica. Con il successo
elettorale del Movimento 5 Stelle il gambero è ulteriormente arretrato?
«No,
non è arretrato perché siamo di fronte a un cambiamento epocale.
Arretrerebbe se Grillo insistesse a suggerire “faremo di quest’aula
sorda e grigia un bivacco per i nostri manipoli”, perché lo aveva già
detto Mussolini. Ma se ho delle esitazioni nei confronti di Grillo (che
evidentemente si trova in un momento di stallo perché sta passando dalla
protesta, in cui eccelle, alla gestione in positivo della sua
rappresentanza parlamentare) ho invece una certa speranza nei confronti
dei grillini anche se, non per colpa mia, non so ancora chi siano e cosa
esattamente pensino sul come gestire la cosa pubblica. Se non altro non
hanno ancora rubato».
Che cosa pensa della strategia che consente a Grillo di essere sempre in tv senza mai andarci?
«Io
una volta avevo detto “la chiave del successo è non apparire mai in
televisione”. Io non sono presente né su Facebook né su Twitter eppure
vedo che qualsiasi cosa scriva viene ripreso su vari siti, e non posso
fare un intervento nel più remoto seminario universitario che subito
vado su YouTube. Dunque complimenti a Grillo che ha capito questo
principio fondamentale: la comunicazione non è più diretta ma va come
una palla di biliardo, ovvero si parla a nuora perché suocera intenda (o
viceversa)».
L’insufficiente vittoria di Bersani è dovuta soprattutto a errori di comunicazione?
«Credo
di sì e proprio nella Bustina di Minerva per il prossimo numero
dell’Espresso dirò in sintesi che, quando Occhetto aveva annunciato di
aver messo in piedi una gioiosa macchina da guerra, è iniziata l’epoca
berlusconiana. E nel corso della scorsa campagna elettorale Bersani
asseriva che avrebbe vinto e governato. Tutti abbiamo pensato che
Bersani conducesse una campagna da gran signore, senza svaccare come i
suoi avversari (ed era vero), ma non abbiamo tenuto conto che ogni volta
che la sinistra si presenta come sicuramente vincente, perde. In un
talk show Paolo Mieli aveva detto che da almeno sessant’anni in Italia
il cinquanta per cento dei votanti non vuole un governo di sinistra o di
centrosinistra. Non chiediamoci ora perché, è un fatto che per evitare
un governo di sinistra (anche se l’aumento delle tasse è stato finora
fatto solo da governi di centrodestra) una consistente porzione di
elettori si è rivolta per cinquant’anni alla DC e per venti al
berlusconismo. Forse la proposta alternativa poteva essere Monti ma (e
anche questo è un fatto) non ha funzionato. Dunque la destra vince
quando la sinistra convince l’elettorato moderato che sarà essa a salire
al potere. Ne concludo che una dose di vittimismo è indispensabile per
non galvanizzare gli avversari. Ovvero, per vincere devi seguire il
principio (attuato da Berlusconi) del “chiagne e fotti”. Senza arrivare a
tanto il PD poteva seguire il principio del “keep a low profile”, tieni
sempre un “profilo basso”».
Tutti i partiti già esistenti hanno perso terreno.
«Credo
che i partiti siano restii ad accettare il cambiamento epocale, e
quindi danno ragione a Grillo quando usa l’appello (certamente
populistico) del tutti a casa. Naturalmente non si ha democrazia dicendo
che tutti i politici sono dei mascalzoni, ma che molti abbiano votato
secondo questa persuasione, ecco un altro fatto, e coi fatti non si
discute. Anche gli tsunami e le alluvioni sono un fatto, mentre chi fa
le processioni per far piovere di solito rischia la siccità».
Sembra
che Internet ormai possa giocare un ruolo preminente nella vita politica
italiana, ma l'Italia è ancora molto arretrata nell'alfabetizzazione
informatica e telematica.
«Questo è un problema capitale. Mi sono
ricordato di alcune pagine del Contratto Sociale di Rousseau, che avevo
studiato quando avevo dato con Norberto Bobbio l’esame di filosofia del
diritto. Ora Rousseau distingue, in parole povere, tra il Sovrano (che
non è il re bensì rappresenta la volontà genera-le), il popolo che lo
incarna e il governo che mette in opera le leggi volute dal popolo. Ma
sa benissimo che, se l’ideale della democrazia è l’agorà greca, dove
tutto il popolo, e cioè la totalità degli individui, partecipa alla cosa
pubblica senza mediazione, e vi debbono essere “più cittadini
magistrati che cittadini semplici privati”, il principio vale per gli
stati piccoli ma non può valere per gli stati troppo grandi “perché non è
pensabile che il popolo rimanga in perpetua assemblea per disimpegnare i
pubblici affari”. Rousseau è molto scettico circa le assemblee
rappresentative (e dunque i parlamenti) e pertanto ritiene che “più
ingrandisce lo Stato e più il governo dovrebbe restringersi in modo che
il numero dei governanti diminuisca con l’aumento della popolazione”.
Sono idee sue, che non discuteremo».
Rousseau confuta Grillo o Grillo confuta Rousseau?
«Il
grillismo parlamentare è una contraddizione, di qui gli imbarazzi di
Grillo, perché la sua idea era quella di un grillismo informatico. Cioè,
se è impossibile riunire a legiferare i cittadini su una piazza, si
crea la piazza informatica e mediante Internet in cui tutti parlano con
tutti si ricrea l’agorà ateniese, per cui il Sovrano è “on line”. Ma
l’idea non tiene conto del fatto che gli utenti del Web non sono tutti i
cittadini (e per lungo tempo non lo saranno) per cui le decisioni non
vengono prese dal popolo sovrano ma da un’aristocrazia di blogghisti.
Pertanto non avremo mai il popolo in perpetua assemblea. Questo è
l’impasse del grillismo che deve scegliere tra democrazia parlamentare
(che esiste, e che lui ha accettato partecipando alle elezioni) e agorà,
che non esiste più o non ancora. Una democrazia informatica è parsa
esistere nella cosiddetta primavera araba, e ora vediamo chi poi ne ha
approfittato».
Una rilevante quantità di intervistati ha mentito,
come sempre: ma questa volta hanno favorito in segreto un movimento che
predica la trasparenza. Sono i paradossi della «sondocrazia» ?
«C’è
la barzelletta di quel bambino a cui chiedevano sempre se era un bambino
e lui rispondeva una bambina, piombando nello sconforto i suoi
genitori, che evidentemente erano all’antica. Poi quando da adolescente
ha cominciato ad andare a ragazze i genitori gli hanno chiesto perché
allora diceva di essere una bambina. E lui ha risposto: “quando mi fanno
domande stupide do sempre risposte stupide”. Ecco, se qualcuno viene a
chiedermi per telefono per chi voterò (o anche che cosa penso del tal
prodotto) mi sento autorizzato a raccontargli una qualsiasi panzana».
Anche
in politica, come in letteratura e nella comunicazione massmediale,
sembra che il pathos oramai predomini sul logos. È altrimenti difficile
spiegare certi flussi che hanno portato per esempio sostenitori di Renzi
a votare per Grillo. È l'entertainment, o il “politainment”, che batte
la politica? La politica è diventata anch'essa soggetta alla legge
consumistica per cui tutto ciò che è nuovo è più attraente?
«In tempi
in cui il vecchio non suscita più passioni anche il nuovo può diventare
attraente. Ma il problema è che Nixon è stato battuto da Kennedy perché
si è mostrato in TV con la barba malfatta. Nixon doveva ispirare
sfiducia per ben altre ragioni, ma ha perso a causa del suo barbiere. Il
Sovrano di Rousseau non sempre ragiona con la testa ma (a essere
indulgenti) col cuore, e il cuore può fare brutti scherzi, come prova il
numero di divorziati e il prurito del settimo anno».
I “tecnici” in
politica non hanno avuto più successo degli intellettuali éngagés di una
volta. È una sconfitta della cultura e della competenza, proprio in
tempi che si vorrebbero meritocratici?
«Ma se hanno ammazzato
Socrate, perché fa domande del genere? E, francamente, perché e per chi
facciamo questa intervista? Ma in fondo siamo ancora gramsciani,
pessimismo della ragione e ottimismo della volontà».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento