lunedì 18 marzo 2013
Xi Jinping al Congresso del Popolo
Il discorso dell'«imperatore» Xi: lotta alla corruzione per la rinascita
«Ci batteremo con spirito indomito per il rilancio della nazione»
di Guido Santevecchi Corriere 18.3.13
PECHINO
— La lunga marcia del passaggio dei poteri dalla quarta alla quinta
generazione di leader della Cina comunista è compiuta. Al presidente Xi
Jinping si è aggiunto il premier Li Keqiang. Ieri i due si sono
presentati ai cinesi e al mondo. Xi con un discorso dal contenuto molto
nazionalista ai tremila delegati del Congresso del popolo: promettendo
di «portare avanti la grande causa del socialismo con caratteristiche
cinesi» e di «battersi con spirito indomito per il grande rinascimento
della nazione e il sogno cinese». Poi incitando «soldati e ufficiali
dell'esercito a tenersi sempre pronti a combattere e vincere». E non
dimenticando di attaccare ancora sul suo fronte preferito, quello della
lotta alla corruzione: «Bisogna ripudiare risolutamente formalismo,
burocratismo e stravaganza», ha detto. Ha concluso scomunicando anche
«l'edonismo», vocabolo per il quale non pochi delegati arrivati dalle
più lontane province dell'Impero di Mezzo avranno dovuto ricorrere al
dizionario mandarino.
Li Keqiang, economista di 57 anni, si è
concesso ai giornalisti in una conferenza stampa molto coreografica e
molto di regime: nell'enorme sala tutta marmo e colonne smaltate di
rosso, molti posti erano occupati da schiere di tizi vestiti di nero con
auricolare da bodyguard, da sedicenti giornalisti cinesi che non
prendevano appunti, hostess molto carine. Nessuna domanda a sorpresa,
tutto era stato concordato. I giornalisti, anche quelli occidentali,
servivano al nuovo capo del governo per annunciare la linea.
Al primo
punto Li ha posto la riduzione del ruolo dello Stato. «Ci siamo imposti
una rivoluzione per ridurre la presenza del governo, sapendo che
dovremo scuotere interessi acquisiti e che questo sarà difficile. Ma io
parlo con la gente e so quello che vuole: meno burocrazia. Prometto che
la ridimensioneremo drasticamente, cancelleremo un terzo delle
autorizzazioni amministrative necessarie all'attività economica privata.
E prometto che taglieremo le nostre spese, da quelle per le auto
pubbliche ai viaggi, e non costruiremo nuovi palazzi governativi». La
Cina spende per la macchina burocratica circa 140 miliardi di euro
l'anno e si rivolge soprattutto a multinazionali globalizzate (che
dovranno rifare i conti).
Li ha detto che l'altra priorità sarà la
crescita: «Puntiamo a mantenerla stabile al 7,5% nei prossimi dieci
anni». Ma uno dei guasti della corsa per diventare seconda potenza
economica del mondo è stato il grande aumento della diseguaglianza
sociale. Secondo i dati Onu, il 13% dei cinesi vive ancora con meno di
un euro al giorno. Per ridurre il divario tra popolazione cittadina e
contadini la ricetta è l'urbanizzazione. I pianificatori del regime
vogliono portare altri 400 milioni di cinesi in città nei prossimi dieci
anni. Il governo promette di investire 40 trilioni di yuan per
costruire città medie (500 mila-1 milione di abitanti) e piccole (meno
di mezzo milione). Questa spesa in infrastrutture permetterà, secondo i
calcoli dei consiglieri di Li, di sostenere la domanda interna.
Un
giornalista cinese ha chiesto (gli è stato «suggerito» di chiedere) se
finirà il sistema dei campi di lavoro rieducativi, i famigerati laojiao:
«Ci stiamo lavorando, entro l'anno la riforma dovrebbe essere pronta».
Altra
domanda: ha visto la nebbia sporca che avvolge Pechino stamattina? «Ho
visto oggi e ho visto in tutti questi giorni e so che è così in tutta la
Cina orientale. Non dobbiamo più inseguire la crescita a spese
dell'ambiente», ha risposto in tono grave il premier. E ha concluso in
modo filosofico: «Non è buono essere poveri in un bell'ambiente, ma non è
buono neanche essere ricchi in un ambiente degradato. E in definitiva
respiriamo tutti la stessa aria, poveri, ricchi e governanti».
Al
corrispondente dell'Associated Press Usa è stato consentito di sollevare
il tema dell'hackeraggio cinese ai danni di Washington. Li è stato
conciliante: «Ci trattate da presunti colpevoli, invece di scambiarci
accuse sarebbe meglio collaborare con idee concrete per la sicurezza
cibernetica».
Tempo scaduto. Ma Li, magnanimo, s'è offerto di porsi
una domanda da solo: la Cina avrà una politica estera aggressiva nel
Pacifico? «No, perché noi abbiamo sofferto per colpa di altri in diverse
epoche. Ma tra atteggiamenti pacifici e difesa dell'integrità
territoriale della Cina non c'è contraddizione». E sorridendo e
salutando con ampi gesti è uscito.
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