lunedì 15 aprile 2013
Franz Kafka ha denunciato Milan Kundera per diffamazione
Non dice una parola sull´aspetto fisico del protagonista, K. né sulla sua vita prima delle vicende narrate
Una combinazione unica di comicità e tristezza, gravità e leggerezza senso e non senso
Un testo dell
o scrittore boemo in esclusiva per "Repubblica"
di Milan Kundera Repubblica 13.4.13
Si
sono scritte un numero infinito di pagine su Franz Kafka, eppure è
rimasto (forse proprio grazie a questo numero infinito di pagine) il
meno compreso di tutti i grandi scrittori del secolo scorso. Il
processo, il suo romanzo più noto, cominciò a scriverlo nel 1914,
esattamente dieci anni prima che uscisse il primo Manifesto dei
Surrealisti, i quali non avevano la più pallida idea dell´immaginazione
«sur-realista» di un Kafka, autore sconosciuto e i cui romanzi sarebbero
stati pubblicati molto tempo dopo la sua morte. È perciò del tutto
comprensibile che questi romanzi che non assomigliavano a nulla siano
apparsi estranei al calendario della storia letteraria, nascosti in un
luogo che apparteneva soltanto al loro autore. Eppure, malgrado
l´isolamento, le loro anticipazioni estetiche rappresentavano un evento
che non poteva non influenzare (anche se a scoppio ritardato) la storia
del romanzo. «È Kafka che mi ha fatto capire che un romanzo si poteva
scrivere in un altro modo», mi ha detto una volta Gabriel García
Márquez.
Si sono scritte un numero infinito di pagine su Franz Kafka,
eppure è rimasto (forse proprio grazie a questo numero infinito di
pagine) il meno compreso di tutti i grandi scrittori del secolo scorso.
Il processo, il suo romanzo più noto, cominciò a scriverlo nel 1914,
esattamente dieci anni prima che uscisse il primo Manifesto dei
Surrealisti, i quali non avevano la più pallida idea dell´immaginazione
«sur-realista» di un Kafka, autore sconosciuto e i cui romanzi sarebbero
stati pubblicati molto tempo dopo la sua morte. È perciò del tutto
comprensibile che questi romanzi che non assomigliavano a nulla siano
apparsi estranei al calendario della storia letteraria, nascosti in un
luogo che apparteneva soltanto al loro autore. Eppure, malgrado
l´isolamento, le loro anticipazioni estetiche rappresentavano un evento
che non poteva non influenzare (anche se a scoppio ritardato) la storia
del romanzo. «È Kafka che mi ha fatto capire che un romanzo si poteva
scrivere in un altro modo», mi ha detto una volta Gabriel García
Márquez.
Kafka, come si può vedere chiaramente nel Processo, analizza
i protagonisti dei suoi romanzi in maniera del tutto particolare: non
dice una parola sull´aspetto fisico di K. né sulla sua vita prima dei
fatti narrati nel romanzo; anche del suo nome ci permette di conoscerne
soltanto una lettera. Invece, dal primo paragrafo alla fine del libro,
si concentra sulla situazione del personaggio, sulla situazione della
sua esistenza.
Il Processo esplora la situazione di colui che è
accusato. All´inizio tale accusa si presenta in modo piuttosto
divertente: un mattino due signori del tutto ordinari giungono a casa di
K., che è ancora a letto, per informarlo, nel corso di una piacevole
conversazione, che è accusato e che l´esame del suo caso andrà per le
lunghe. La conversazione è tanto assurda quanto comica. Del resto,
quando Kafka lesse per la prima volta questo capitolo ai suoi amici,
tutti si misero a ridere.
Delitto e castigo? Ah no, queste due
nozioni dostoevskijane non c´entrano assolutamente nulla. Ciononostante
reggimenti di kafkologi le hanno considerate come i temi principali del
Processo. Max Brod, il fedele amico di Kafka, non ha il minimo dubbio
che K. nasconda una grave colpa: secondo lui K. è colpevole di
"Lieblosigkeit" (incapacità di amare); allo stesso modo Eduard
Goldstücker, un altro celebre kafkologo, pensa che K. sia colpevole
«perché ha lasciato che la sua vita si trasformasse in quella di una
macchina, di un automa, di un alienato» e così facendo ha trasgredito
«la legge alla quale tutta l´umanità deve sottomettersi e che recita:
sii umano». Ma ancora più frequente (e io direi ancora più stupida) è
l´interpretazione contraria che, per così dire, orwelizza Kafka: secondo
tale lettura K. è perseguitato dai criminali di un potere "totalitario"
ante litteram, com´è il caso, ad esempio, del celebre adattamento
cinematografico del romanzo realizzato nel 1962 da Orson Welles.
Ora,
K. non è innocente né colpevole. Egli è un uomo colpevolizzato, cosa
del tutto diversa. Sfoglio il dizionario: il verbo colpevolizzare è
stato usato in Francia per la prima volta nel 1946 e il sostantivo
colpevolizzazione ancora più tardi, nel 1968. La nascita tardiva di
queste parole prova che non erano banali: ci facevano capire che ogni
uomo (se posso io stesso giocare con i neologismi) è colpevolizzabile;
che la colpevolizzabilità fa parte della condizione umana. La
colpevolizzabilità è sempre fra noi, sia quando la nostra bontà teme di
ferire i deboli, sia quando la nostra viltà ha paura di offendere quelli
più forti di noi.
Kafka non ha mai formulato riflessioni astratte
sui problemi della vita umana; non amava inventare teorie; atteggiarsi a
filosofo; non assomigliava né a Sartre né a Camus; le sue osservazioni
sulla vita si trasformavano immediatamente in fantasia; in poesia - la
poesia della prosa.
Un giorno K. è invitato (da una voce anonima, per
telefono) a presentarsi la domenica successiva in una casa di periferia
per partecipare a una breve inchiesta che lo riguarda. Per non
complicare e tanto meno prolungare il processo, decide di ottemperare
all´invito. Dunque ci va. Sebbene non sia stato convocato a una ora
precisa, si affretta. All´inizio vuole prendere un tramvai. Poi si
rifiuta per non umiliarsi, grazie a una puntualità troppo docile,
davanti ai suoi giudici. Tuttavia non desidera prolungare lo svolgimento
del processo e perciò si mette a correre; sì, corre (nell´originale
tedesco la parola "correre", "laufen" si ripete tre volte nello stesso
paragrafo); corre perché vuole salvare la sua dignità e, allo stesso
tempo, per non arrivare in ritardo a un appuntamento la cui ora resta
sconosciuta.
Tale combinazione di gravità e leggerezza, di comicità e
tristezza, di senso e non senso, accompagna tutto il romanzo fino
all´esecuzione di K. e fa nascere una bellezza strana e incomparabile;
mi piacerebbe definire questa bellezza, ma so che non ci riuscirò mai.
- (traduzione di Massimo Rizzante)
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