lunedì 8 aprile 2013
L'irresistibile tentazione di Napolitano di fare amicizia con gli americani
“Netta distanza dai comunisti”. I retroscena della visita a Roma nel ‘76
Repubblica 8.4.13
ROMA
— Oggi l’America gli rende omaggio e gratitudine, ma nella lunga guerra
fredda non mancarono le difficoltà. Un lungo report pervenuto dagli
archivi di Washington riguarda il comunista Giorgio Napolitano, che nel
novembre del 1976 — un anno dopo il rifiuto del visto americano per
decisione di Henry Kissinger — per ben tre volte tenta di incontrare a
Roma Ted Kennedy e per tre volte viene respinto. Così si legge nel
documento dell’ambasciatore americano John Volpe (contenuto nel database
di WikiLeaks), che riferisce a Kissinger sul soggiorno romano del
senatore democratico. Niente avviene a caso, nel corso del breve
viaggio. Sì all’incontro ufficiale con Zaccagnini e Craxi, Andreotti e
Leone. Porte aperte naturalmente per Gianni Agnelli. Con i comunisti
occorre invece cautela: quel che il Pci riesce a ottenere è un invito a
cena per Sergio Segre, responsabile degli affari esteri a Botteghe
Oscure, insieme però a trenta ospiti e — raccomanda Kennedy — niente
fotografie. Volpe riferisce a Kissinger ogni minimo dettaglio, anche la
disposizione a tavola degli ospiti, tenendo sempre ferma la bussola
della questione comunista. Tutto ruota intorno al rapporto con il Pci,
che proprio quell’anno nelle elezioni politiche di giugno tocca l’apice
del consenso elettorale con un clamoroso 34,4 per cento. In Italia
sempre più si parla di compromesso storico. E gli americani ne sono
terrorizzati. Italia, la minaccia rossaè il titolo della copertina di
Time uscito subito dopo le elezioni. Appena un anno prima Kissinger
aveva brutalizzato Moro: «Se fossi cattolico come lei, crederei anche
nel dogma dell’Immacolata Concezione. Ma non sono cattolico, e non credo
né a questo dogma né all’evoluzione democratica dei comunisti
italiani».
Kennedy è abile nello smarcarsi dalle questioni più
insidiose. Gli chiedono dell’eurocomunismo, «e lui se la cava
rispondendo che certo il Pci era diverso dal partito cinese e da altri
partiti comunisti. E alla domanda fondamentale, perché non avesse fatto
una breve visita ufficiale a Botteghe Oscure, il senatore ha risposto:
“Non sarebbe stato appropriato” ». Poi l’appunto dell’ambasciatore Usa:
«Ci risulta che siano stati fatti almeno tre tentativi per inserire
l’esperto economico del Pci, Napolitano, nella lista degli incontri, ma
la squadra di Kennedy ha rifiutato». Ad evitare che potessero circolare
voci su un’apertura ai comunisti — è lo stesso Volpe a suggerire questa
interpretazione — il rifiuto opposto a Napolitano serve a rimarcare che
«le distanze dal Pci sono ancora nette». Bisogna aspettare ancora due
anni prima che il dirigente comunista venga accolto negli Stati Uniti, e
sarà una visita importante, peraltro nei giorni del sequestro Moro.
Quanto a Kissinger, nel 2001 a Cernobbio, lo accoglierà festosamente
come “my favourite communist”. Ma Napolitano lo corresse con garbo:
“Your favourite former communist”, il tuo ex comunista preferito.
Il “pericolo rosso” è quello che segna l’intero decennio dei Settanta.
E
fin da principio si manifestò molto forte l’interesse verso Berlinguer.
Tra i documenti colpisce un’informativa dell’ambasciata di Sofia che
puntigliosamente descrive l’incidente stradale occorso al segretario al
rientro dal suo burrascoso incontro con il compagno bulgaro Zivkov, il 3
ottobre del 1973: l’automobile che lo trasporta viene investita da un
camion militare, Berlinguer sbatte la testa ma non è ferito gravemente.
La nota arriva appena 9 giorni dopo l’episodio e si limita a una
descrizione meticolosa, senza ipotizzare la possibilità di un attentato
da parte del Kgb. Sospetto che invece Berlinguer nutre immediatamente,
confessandolo però solo alla moglie e a pochi intimi. Non aveva prove e
forse non aveva neppure interesse a rendere pubblico questo timore, così
la notizia sarebbe uscita solo nel 1991, con quasi vent’anni di
ritardo. E perfino sulla sua salute, allora, l’Unità preferì sorvolare,
con l’effetto paradossale che i lettori del quotidiano comunista seppero
dell’incidente di Berlinguer qualche giorno più tardi degli americani.
Le
carte talvolta perdono il tono neutrale del resoconto asettico. Succede
quando l’ambasciatore Volpe viene a sapere che il segretario del
Movimento Sociale, Giorgio Almirante, è stato ricevuto alla Casa Bianca.
È il 30 settembre del 1975, la sua nota per Kissinger trasuda
incredulità e rabbia. «Eppure avevo fortemente raccomandato che ciò non
accadesse », s’indigna l’ambasciatore. «Perfino i nostri amici sperano
che non sia vero». Ricorda le responsabilità di Almirante nel regime di
Salò. «Come possiamo continuare a ergerci a paladini della democrazia e
della libertà, fermamente contrari agli opposti estremismi?». È a
rischio la credibilità americana. «Occorre chiarire ufficialmente che
non è cambiata la nostra linea contro il neofascismo». Lo spettro del
Msi, conclude drammaticamente Volpe, deve essere allontanato.
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