martedì 9 aprile 2013
Recenti studi su Boccaccio
Nel settecentesimo anniversario della nascita, gli studiosi scoprono disegni, annotazioni e curiosità sull’autore toscano
di Francesco Erbani Repubblica 8.4.13
Una
leggenda vuole che Giovanni Boccaccio fosse un ladro. Una leggenda
condita da un’immagine: lo scrittore che fugge trafelato lungo le scale
dell’abbazia di Montecassino nascondendo sotto l’ampia veste uno, forse
due o addirittura tre codici sottratti a quella biblioteca. Non aveva
altro scopo, l’autore del Decameron, che quello di attingere alle storie
e alla lingua del mondo classico – Cicerone, Vitruvio, Tacito… – ma un
ladro è un ladro. Fu Giuseppe Billanovich, fra i grandi filologi del
Novecento, ad accertare che solo di leggenda si trattava e che nessun
indizio deponeva a carico di un Boccaccio predatore di manoscritti.
Eppure
quella di Boccaccio e dei manoscritti da lui posseduti e da lui stesso
copiati e sistemati nella sua biblioteca, del Boccaccio che si faceva
editore di testi latini e volgari e che tanta cura dedicava alla forma
del libro è una delle storie più attraenti fra quelle che lo scrittore
del Decameron abbia depositato negli annali della letteratura italiana.
Una delle storie che si sta arricchendo di sorprendenti scoperte,
realizzate tutte da giovani ricercatori, una specie di pattuglia di
segugi che rende lustro alle celebrazioni del settecentesimo
anniversario della nascita dello scrittore che occuperanno tutto il 2013
(Boccaccio, secondo diverse fonti, nacque a Certaldo fra il giugno e il
luglio del 1313). La più recente di queste scoperte è dei mesi scorsi.
Laura Pani, paleografa dell’università di Udine, ha trovato alla British
Library di Londra un manoscritto contenente l’Historia Langobardorum di
Paolo Diacono, un’opera risalente alla fine dell’VIII secolo. Laura
Pani è una studiosa di Paolo Diacono, del quale rincorre i manoscritti
nelle biblioteche di tutta Europa. Ma quel testo londinese ha qualcosa
di speciale. È un volumetto di pochi fogli, 32, e di piccole dimensioni,
21 centimetri per 13. Sotto gli occhi di molti studiosi per secoli,
ampiamente studiato, ha però tenuto nascosto il suo più profondo pregio.
È di mano di Boccaccio, pezzo mancante di un più corposo manoscritto,
in gran parte sempre autografo di Boccaccio, conservato alla Biblioteca
Riccardiana di Firenze. Laura Pani se n’è accorta perché il testo
londinese comincia dove finisce quello fiorentino e perché la grafia è
senza dubbio quella dello scrittore di Certaldo. Ora si procederà a un
restauro virtuale (la parte londinese non tornerà a Firenze). Ma almeno
uno dei misteri della biblioteca di Boccaccio è stato chiarito. Sono
emersi anche rilievi filologici. Racconta Laura Pani: «Nel copiare La
storia dei longobardi Boccaccio non segue fedelmente il testo, alcuni
capitoli li omette, altri li sintetizza, alcuni passaggi, invece, li
amplifica». Perché? «Non è ancora chiaro. Però a margine della
descrizione di un’epidemia di peste del VI secolo annota che un simile
flagello si abbatté a Firenze nel 1348. Ed è noto che la peste
raccontata nel Decameron trae ispirazione anche da Paolo Diacono».
Altra
scena. Altro paese. Toledo, Spagna. Luglio 2012. Due paleografi
italiani, Sandro Bertelli e Marco Cursi (il primo insegna a Ferrara, il
secondo a Roma) compulsano un altro manoscritto redatto da Boccaccio.
Già conosciuto dagli studiosi. Il volume contiene diverse opere e anche
la Commedia di Dante. Nell’ultimo foglio, bianco, si leggono appena due
parole: “poeta” e “sov”. Sembra una prova di penna. Più sotto, però, si
scorge una linea sottile che traccia un singolare percorso. I paleografi
hanno con sé una lampada Wood, un attrezzo che emette raggi
ultravioletti in grado di rendere visibili i pigmenti di un inchiostro
svanito. Roba da detective. Con cautela piazzano la lampada al di là del
foglio ed ecco comparire una testa di profilo, sormontata da una corona
d’alloro. La luce blu completa anche la scritta: «Homero poeta
sovrano»: una specie di didascalia, in realtà una citazione dal canto IV
dell’Inferno.
Boccaccio prosatore, Boccaccio umanista, Boccaccio
copista ed editore: ora anche Boccaccio disegnatore? «Che Boccaccio
disegnasse non è una novità, se n’è occupato il filologo Maurizio
Fiorilla, che ha dimostrato come fosse di Boccaccio persino un disegno
di Valchiusa in Provenza su un codice di Petrarca», dice Cursi. «A
volte, a margine dei suoi manoscritti traccia una manina con l’indice
puntato che gli serve per evidenziare un passaggio. O delle testine che
raffigurano personaggi del Decameron...
Mai però era stato rinvenuto un disegno così grande, che riempie quasi una pagina».
La
testa di Omero è ritornata nel buio da dove veniva. Senza lampada di
Wood non è visibile. Ma qualche tempo prima un altro ricercatore, Marco
Petoletti, docente alla Cattolica di Milano, aveva rintracciato una
testa molto simile a quella di Omero, più piccola di quella toledana.
Anche la scoperta di Petoletti merita di essere segnalata: in un fondo
della Biblioteca Ambrosiana di Milano ha rinvenuto un codice contenente
gli Epigrammi e altre opere di Marziale tutto di mano di Boccaccio.
Evento eccezionale in sé. Ma reso ancor più sorprendente dalle
annotazioni a margine. Boccaccio disegna teste (un Seneca, ad esempio),
ed esprime consenso e dissenso nei confronti del poeta latino
considerato un campione di versificazione popolare, non solo, ma anche
di facezie e di scurrilità. Accanto alla descrizione dello scaltro
Filomuso, Boccaccio scrive: “Frate Cipolla”, richiamando l’astuto e
truffaldino fratacchione protagonista di una celebre novella del
Decameron.
Ma quando Marziale enuncia il proprio realistico canone
poetico – «Hominem pagina nostra sapit», la nostra pagina ha il sapore
dell’uomo – lui sbotta senza remore: «Verum sapit hominem, dum cunnum
lingere, futuire et cacare et alia scribit», chiudendo con un’invettiva:
«Maledicatur poeta talis». E non bastandogli la maledizione e la
censura delle parole che indicano l’organo femminile, l’atto sessuale e
quello del defecare, aggiunge anche il disegno di una mano protesa in un
gestaccio. Maddalena Signorini è un’altra delle paleografe che si
dedicano a ricomporre la biblioteca di Boccaccio. Come Cursi, è allieva
di Armando Petrucci, maestro di tantissimi studiosi e fra i primi a
segnalare quanto Boccaccio mettesse cura all’elemento materiale del
libro, che deve aderire al contenuto. Lo scrittore si fa forte di
competenze sia grafiche (il tipo di scrittura: dalla mercatesca usata
dai mercanti fino alla ricca gotica) sia di confezionatore di libri (da
quello di piccole dimensioni a quello da banco) o di vero editore, che
si impegna a compilare antologie dantesco-petrarchesche da far circolare
con la stessa dignità dei classici latini. Signorini cerca di capire
quanto grande fosse la biblioteca dello scrittore. Al momento identifica
con sicurezza 31 manoscritti appartenuti a Boccaccio, un patrimonio di
grande rilievo, ma inferiore rispetto alla consistenza che si può
supporre (Petrarca ne possedeva 65). Lo scrittore di Certaldo, calcola
Signorini, ha copiato di sua mano almeno 18 di quei 31 manoscritti, un
po’ perché ci teneva alla cura del testo, un po’ perché non aveva gli
stessi mezzi di Petrarca, che invece poteva permettersi un proprio
copista per confezionare il suo Canzoniere (Boccaccio invece trascrisse
tutto il Decameron nel codice Hamilton, custodito a Berlino e a lui
attribuito con certezza nel 1962 da Vittore Branca).
Dove possono
essere gli altri libri appartenuti a Boccaccio? Perché, si domanda
Signorini, mancano del tutto opere religiose? Quando morì, nel 1375, lo
scrittore lasciò la sua biblioteca all’amico frate Martino da Signa
affinché la devolvesse al convento agostiniano di Santo Spirito a
Firenze. Molti libri andarono in diverse collocazioni, altri negli anni
si dispersero e finirono un po’ ovunque, come dimostrano i ritrovamenti
di Toledo e di Londra. Altro dato certo: si sa che Boccaccio possedeva
libri di autori molto diversi fra loro, meno selezionati di quelli che
custodiva Petrarca. Tanti quesiti, altrettante ipotesi, molti filoni di
ricerca. I risultati raggiunti negli ultimi anni confortano. Ma i
paleografi non sono studiosi facili agli entusiasmi o alle illusioni. La
caccia continua.
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1 commento:
Grazie! Interessante lettura! (Amo Boccaccio!)
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