venerdì 24 maggio 2013

Cina e Occidente nel libro di Renata Pisu

Né Dio né leggeRenata Pisu: Né Dio né Legge. La Cina e il caos armonioso, Laterza pagg. 154 euro 15

Risvolto
In questo libro Renata Pisu racconta storie di ieri e di oggi ed è un racconto di chi ha vissuto in Cina e l’ha compresa nel profondo del suo cuore. Va dalla predicazione dei missionari gesuiti alla più grande ribellione della storia cinese a metà Ottocento. Dai difficili tentativi di modernizzazione del Celeste Impero, quando fu necessario inventare una parola per dire ‘religione’, alla violenza della guerra dei Boxer; dal dichiarato ateismo dell’epoca di Mao e delle Guardie Rosse all’attuale rinascita di una religione popolare, che fonde buddhismo, daoismo e confucianesimo.
Se ora si assiste alla convergenza di elementi cinesi e occidentali, sarebbe sbagliato giungere alla conclusione che stanno diventando come noi. È più probabile che noi si sia obbligati a diventare più simili a loro in un prossimo futuro.


Il caos calmo della nuova Cina

Nel saggio di Renata Pisu la storia di una cultura ancora regolata dall’“armonia”

di Umberto Galimberti Repubblica 24.5.13


Non basta sapere l’inglese per intendersi con i popoli lontani da noi. Occorre conoscere la loro simbolica, ovvero il modo con cui pensano, credono, concepiscono il mondo e il rapporto che hanno con uomini e cose. Non solo quindi gli usi e i costumi, ma la loro visione del modo da cui gli usi e i costumi discendono. In questo senso il libro di Renata Pisu, Né Dio né Legge. La Cina e il caos armonioso (Laterza, pagg. 154, euro 15,00) è un libro utilissimo, anche per la grande esperienza che la giornalista ha maturato in quella terra, dopo aver frequentato per quattro anni l’Università di Pechino e dopo essere stata corrispondente da quelle terre a partire dal 1984, prima per La Stampa e poi per Repubblica.
I cinesi non pensano come noi. Non hanno mai adottato la nostra logica dualistica che distingue l’essere dal non essere, Dio dal mondo, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, l’anima dal corpo, e nonostante tutti gli sforzi dei missionari, che a più riprese, a
partire dal Cinquecento, cercarono di parlare a loro con le nostre parole, ogni tentativo fallì, perché per i cinesi non c’è un cielo al di là della terra, un’anima che sopravvive al corpo, una legge che regola le condotte, ma solo un’“armonia” che lega gli uomini alle cose e ai propri simili e che, quando è infranta, è la vera causa della sofferenza
e dell’infelicità.
K’ung-fu-tzu, che noi abbiamo latinizzato con il nome di Confucio, non proponeva una dottrina, ma la semplice “Rettificazione dei nomi” per cui: «Un sovrano è un sovrano, un suddito è un suddito, un padre è un padre, un figlio è un figlio», e se ciascuno si attiene al suo nome e ai compiti che gli derivano, l’ordine sociale e politico risulta perfettamente adeguato all’ordine cosmico e l’armonia si compie. Questa armonia viene ribadita anche dal taoismo, che la tradizione fa risalire al Lao Tzu (IV secolo a. C.), il quale, con il libro delle “cinquemila parole” (Tao-tê-Ching), supera la dottrina confuciana dei “nomi” perché, in un mondo dove tutto diviene e nulla permane, ogni tentativo di fissare in un nome il senso delle cose, naufraga. «Il Tao che tutto presiede è senza nome e ogni nome che gli viene attribuito non è il suo nome. Il Senza-nome è origine del mondo celeste e terrestre». Così recita il taoismo che sposta l’armonia dal mondo umano a quello cosmico, dove i due principi dello yin e dello yang ne regolano il ciclo. Seguendo questo movimento naturale senza ostacolarlo, l’uomo raggiunge quell’armonia in cui consiste la felicità.
Sia il confucianesimo, sia il taoismo esprimono una simbolica che è l’esatta antitesi di quella occidentale, la cui caratteristica peculiare si manifesta proprio nell’intervento umano sullo svolgimento naturale delle cose per piegarle al proprio volere. Questo tratto, che Nietzsche segnalerà come «volontà di potenza», caratterizza il modo occidentale di pensare che, articolandosi per concetti (cum-capio), rivela la sua natura prensile (ribadita anche dal tedesco “ Be-griff”, da “ greifen”, afferrare). Da questo modo di pensare non poteva non seguirne quell’agire che è un conquistare, un infrangere l’armonia del mondo per imporre il proprio ordine. Un ordine che oggi rivela tutta la sua incertezza e soprattutto la sua imprevedibi-lità, per cui guardiamo il cielo e ci affidiamo ai suoi presagi per conoscere il futuro. Anche l’antica cultura cinese, come opportunamente ci ricorda Renata Pisu, guardava il cielo e la cosmica armonia, ma non per conoscere il loro futuro, ma per vedere se le loro parole, i loro gesti, lenti, agili, violenti, modificavano le stelle, il loro equilibrio, la loro luce, il loro giro. Perché anche il gesto dell’uomo, anche il più segreto come il gesto sessuale, produce armonia o disarmonia nel cosmo che non ci ignora.
E allora anche nell’incontro sessuale come scrive Renata Pisu: «Bisogna seguire la legge dell’unità degli opposti che si alternano ritmicamente, perché niente è mai tutto yin come niente è mai tutto yang.
Sessualmente parlando non c’è uomo che non sia anche un po’ donna e non c’è donna che non sia anche un po’ uomo». E questa è la ragione per il maestro Tung-Husüan osserva che: «Se l’uomo si muove e la donna non risponde, o se la donna è eccitata e l’uomo non accondiscende, allora l’atto sessuale danneggia non soltanto l’uomo, ma anche la donna, perché una simile unione, contraria al rapporto stabilito da lo yin e lo yang, infrange il perfetto equilibrio che esiste tra il Cielo e la Terra».
A questo punto resta da chiedere a Renata Pisu se di questa antica simbolica confuciana e taoista c’è ancora traccia nella Cina di oggi e più in generale in quell’Estremo Oriente, che a me pare abbia assimilato per intero la simbolica dell’Occidente che ha nella volontà di potenza il suo tratto specifico. Che ne è infatti del rispetto della natura in quella terra? Che ne è dell’aria negli immensi agglomerati umani? Che ne è delle condizioni e degli orari di lavoro? Che ne è dell’ “armonia” che lo governava senza bisogno di un Dio o di una Legge? Non è che la legge occidentale del mercato ha spezzato quell’ “armonia” dove l’antica sapienza cinese collocava la felicità dell’uomo?

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