giovedì 13 giugno 2013

Bakunin in Italia

Michail Bakunin: Viaggio in Italia, elèuthera.

Risvolto
Nelle sue vorticose peregrinazioni, ora per partecipare a un'insurrezione ora per sfuggire a un arresto, Bakunin soggiorna spesso in Italia, soprattutto negli anni Sessanta dell'Ottocento. Più che essere attratto dalle bellezze del paese, l'obiettivo che si propone è di incendiare l'immaginazione delle masse povere italiane per fondare una società di liberi ed eguali. Tra una cospirazione e l'altra si rivela però un  acuto osservatore dei mali di un paese appena unificato e già afflitto da quei vizi con cui facciamo i conti ancora oggi: un meccanismo di prelievo fiscale tanto vessatorio quanto inefficace, l'uso personale del potere da parte degli amministratori della cosa pubblica, lo strapotere della burocrazia, il ruolo invasivo della Chiesa… Insomma, lo sguardo a volte indignato ma a volte divertito del rivoluzionario russo mette in luce un'Italia che non stentiamo affatto a riconoscere. Sembra quasi che lo Stato unitario si sia ripetuto uguale a se stesso nel corso dei decenni, riproponendo nel tempo i tanti vizi e le scarse virtù che già Bakunin coglieva centocinquant'anni fa.

Raccolti gli appunti di viaggio dell'agitatore russo
Fino alla rivolta di Romagna raccontata da Bacchelli


Quando Bakunin sognò la rivoluzione in Italia
Michele Smargiassi La Repubblica 13-06-2013

È Mikhail Bakunin ma parla proprio come un lumbardMatteo Sacchi - il Giornale Lun, 24/06/2013


Bakunin all’Italia unita
«Che triste questa democrazia» Ecco cosa pensava di noi
In una raccolta a cura di Lorenzo Pezzica emerge il giudizio complessivo che il leader aveva del nostro Paesedi Anna Tito l’Unità 12.10.13

«UNO STATO DISASTRATO E DISASTROSO CHE SI MANTIENE A STENTO SOLO SCHIACCIANDO IL PAESE SOTTO IL “PESO DELLE IMPOSTE»: così scriveva Michael Bakunin, che giunse in Italia nel 1864 poco dopo l’unificazione a opera di Garibaldi e Cavour e dopo aver viaggiato, anche in manette, per inseguire le rivoluzioni d’Europa, anche in manette.
Nel triennio 1864 – 1867, cruciale per il nostro Paese, osservò l’Italia reale e colse gli elementi essenziali delle questioni legate alla recente unificazione: un sistema fiscale vessatorio e inefficace, una gestione personale e disinvolta del potere, una diffusa «questione morale», lo strapotere della burocrazia e della consorteria, «la casta statale per eccellenza», a suo dire, una vasta congrega di persone «integerrime» dedite a depredare con sistematicità la povera Italia, la presenza invasiva della Chiesa. Parole tutte che popolano il nostro vocabolario attuale. Ne emerge innanzitutto il praticismo politico, un’espressione attraverso cui Bakunin definisce un qualcosa ancora senza no-
me, ma destinata ad avere grande spazio nella storia italiana, di allora e di adesso: il trasformismo. Sì, la società italiana descritta da Bakunin appare divisa in caste impermeabili al cambiamento e restie ad allontanarsi dal potere.
Prima amico e poi nemico giurato di Karl Marx, nonché fondatore dell’anarchismo moderno, l’anarchico russo visse a Napoli, Firenze e Ischia prima di ricominciare le sue peregrinazioni per l’Europa e infine morire nel 1876 in Svizzera, all’età di 62 anni, e finire seppellito, lui che per tutta la vita aveva combattuto la proprietà, come rentier, su iniziativa di un assai disorientato funzionario svizzero.
Fu per decenni la «bestia nera» delle polizie europee: «bisogna avere il diavolo in corpo» diceva, e lui l’aveva, nel corpo e nello spirito. Nelle sue vorticose peregrinazioni, da «braccio pratico» della rivoluzione libertaria e suo «instancabile commesso viaggiatore», ora per sfuggire a un arresto, ora per partecipare a un’insurrezione, Bakunin fu attratto dalle bellezze del Paese, ma vi soggiornò con il principale obiettivo di «incendiare l’immaginazione delle masse povere italiane per fondare una società di liberi ed eguali».
«Italiani! Gli eventi precipitano. La bancarotta dello Stato si avvicina da un lato, e dall’altro la rivoluzione avanza inesorabile»: tra una cospirazione e l’altra osservò acutamente i mali di un Paese appena unificato e già afflitto da quei vizi con cui facciamo i conti ancora oggi: un meccanismo di prelievo fiscale vessatorio e inefficace, l’uso personale del potere da parte degli amministratori della cosa pubblica, lo strapotere della burocrazia, il ruolo invasivo della Chiesa... Insomma, lo sguardo di volta in volta divertito e indignato del rivoluzionario russo mette in luce l’Italia odierna. Sembra quasi che lo Stato unitario si sia ripetuto uguale a se stesso nel corso dei decenni, riproponendo nel tempo i tanti vizi e le scarse virtù che già Bakunin coglieva un secolo e mezzo orsono. Bakunin descrive una società italiana divisa in caste impermeabili al cambiamento e restie a lasciare il potere.
Dalla raccolta Viaggio in Italia, curata dallo storico e archivista Lorenzo Pezzica (Eleuthera, 144 pp., 12 euro), che raccoglie saggi brevi e lettere private, oltre che una più che esauriente biografia di Bakunin, emerge il quadro complessivo del giudizio del leader anarchico sull’Italia, quello di «uno Stato che si mantiene solo schiacciando il Paese sotto il peso delle imposte», nonché dalla democrazia a dir poco «misera» e agli albori: «Che triste è questa democrazia italiana! Se si radunano tutte le sue risorse intellettuali, forse si riuscirà a partorire una sola idea».
Bakunin imputa in gran parte i disastri dell’Italia appena unificata agli eredi del «mazzinianesimo», per il quale «popolo» è un termine astratto che indica tutti gli abitanti, senza un programma capace di coinvolgere le masse popolari, che predica la rivoluzione ma che non la vuole; ma il rivoluzionario Bakunin accusa anche un Paese
che «non sa trovare una propria collocazione e un proprio equilibrio, in cui le classi povere si affidano alla Chiesa perché è l’unica presenza autorevole sul territo-
rio».

Nessun commento: