sabato 15 giugno 2013
Ma chi spiega la politica estera a quelli del Fatto?
Ahamadinejad addio L’Iran ha scelto il nuovo burattino
Vincerà il riformista Rohani o il conservatore Jalili? Qualunque sia l’esito prenderà ordini dall’Ayatollah
di Robert Fisk © The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto 15.6.13
Ci
mancherà. Il ghigno sinistro, gli occhi luciferini, la barbetta da
conquistatore spagnolo, il presidente tiranno che una volta alle Nazioni
Unite ebbe l’ardire di dire che sul suo capo aleggiava una nuvola,
salvo poi smentire di aver detto una simile sciocchezza, e
successivamente ammetterla di averla detta quando gli fecero sentire la
registrazione nella quale si proclamava unto del Signore. Solo l’ex
primo ministro di Israele, Avigdor Lieberman – che una volta telegrafò
ai ministri degli Esteri europei inviando alcune foto del gran muftì di
Gerusalemme che parlava con Adolf Hitler – poteva tener testa a Mahmoud
Ahmadinejad quanto a irriducibile e sconfinata stoltezza. Roba da
sentirsi male per l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema della
teocrazia iraniana, e per Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele.
Entrambi erano razzisti. Ahmadinejad considera gli ebrei una razza
inferiore, Lieberman ha la stessa opinione degli arabi e tutti e due si
vergognano del loro Paese.
Ahmadinejad sapeva come mandare su tutte
le furie gli Stati Uniti, Israele, la Russia, gli esuli iraniani e
l’Unione europea contemporaneamente. Un giorno disse che la storia
dell’Olocausto era una “esagerazione” e che il regime israeliano avrebbe
dovuto essere “cancellato dalla carta geografica” e che Teheran avrebbe
proseguito sulla strada della tecnologia nucleare sebbene Israele e
Washington minacciassero di bombardare l’Iran. Per fortuna – o sfortuna –
la legge elettorale iraniana proibisce un terzo mandato da presidente.
Sapevano tutti che Ahmadinejad non avrebbe mai scatenato una guerra
nucleare – molti dubitavano che conoscesse la differenza tra fisica
nucleare ed energia elettrica – ma è riuscito a ergersi a personaggio da
odiare (malauguratamente per un Paese con un grande passato storico
come l’Iran) rivaleggiando con Gheddafi e con gli altri tirannelli del
Medio Oriente.
C’ERA anche il lato serio della faccenda. Noi lo
odiavamo, ma sottovalutavamo, anzi non prendevamo in considerazione
alcuna la popolarità di cui godeva tra i poveri. Alzi la mano chi sa
quanto crebbe il suo prestigio personale quando decise di istituire un
fondo pensionistico per migliaia di tessitrici di tappeti che a 40 anni,
a causa del loro massacrante lavoro, diventano cieche. Tuttavia non
possiamo nemmeno dimenticare le torture, le violenze, le brutalità, i
morti seguiti ai disordini scatenati dal risultato delle elezioni del
2009. La sua semplicità nascondeva uno spaventoso cinismo. Quando nel
2009, dopo la sua contestata vittoria, gli chiesi se era in grado di
garantire che mai più sarebbe stata impiccata un’altra giovane di 22
anni come quella trascinata al patibolo tra le lacrime della madre che,
attaccata al cellulare, continuava a cercare di salvare la vita alla
figlia, mi rispose: “Personalmente non ucciderei nemmeno una mosca”. E
poi mi impartì un patetico sermoncino sull’autonomia della magistratura
iraniana.
Intanto gli iraniani hanno votato dopo otto anni di
presidenza Ahmadinejad. I candidati sono sei. Il Consiglio dei guardiani
della Costituzione ha fatto in modo che né le donne né i riformisti
potessero avanzare la loro candidatura. Inoltre non ci sono partiti e i
candidati indipendenti debbono giurare fedeltà alla “guida suprema”,
all’ayatollah Khamenei. All’inizio i candidati erano 680. Il Consiglio
dei guardiani – un organismo che non è stato eletto da nessuno e che
consta di sei religiosi e sei giuristi – ne ha approvati otto. In
seguito due si sono ritirati volontariamente dalla corsa. Dei restanti
sei il favorito sembra essere il religioso Hassan Rohani che ha ottenuto
l’appoggio anche di alcuni esponenti del fronte riformista. In assenza
di candidati più credibili, Rohani appare la sola figura in grado di
dare un minimo di rappresentanza alle opposizioni. Saeed Jalili,
negoziatore nucleare iraniano, schierato su posizioni più conservatrici è
un altro dei favoriti. Noto per il suo stile di vita monastico e per
l’assoluta devozione alla guida suprema, Jalili è un intransigente
nemico dell’Occidente. “Voterò per Jalili”, ha detto Hossein, un
ventisettenne di Teheran. “È il solo che rispetta i valori della
rivoluzione. Inoltre ha a cuore il destino dei più bisognosi e dei più
poveri”. Mona, studentessa universitaria, dice che nella capitale si
respira un clima di euforia: “All’inizio non volevo votare. Nel mio
Paese le elezioni non sono libere. Ma ho cambiato idea dopo aver visto
l’euforia degli ultimi due giorni per le strade della capitale. La gente
ha disperato bisogno di un cambiamento e ho deciso di votare per
Rohani”. Comunque sia e chiunque la spunti, non ci saranno cambiamenti
significativi né per quanto riguarda i rapporti internazionali né per
quanto attiene alle ambizioni nucleari iraniane. In fondo su queste
questioni l’ultima parola spetta al falco Khamenei, non al presidente.
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