lunedì 17 giugno 2013

Una innovativa corrente marxista negli USA: il trotzkismo...


Ma un trotzkismo molto radical chic, come si evince dall'articolo in fondo.
Un saggio di questo mirabolante pensiero qui [SGA]:





Italian Lessons


On Italian communism and the path not taken between the horrors of state socialism and the bankruptcy of modern social democracy.

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Italian Lessons

On Italian communism and the path not taken between the horrors of state socialism and the bankruptcy of modern social democracyby Bhaskar Sunkara
5.8.13 http://jacobinmag.com/author/bhaskar/


Italian Lesson
Marxisti? No, giacobini creativi
di Marilisa Palumbo Corriere La Lettura 16.6.13

Sul suo profilo Twitter — «non il miglior barometro del mio pensiero», dice con un sorriso insieme timido e ironico — si definisce il «Don King del marxismo occidentale». Non male il paragone col leggendario manager di pugilato per Bhaskar Sunkara, 23enne figlio di immigrati indiani che con la sua rivista politica ultra-radical, «Jacobin», ha attirato l'attenzione del «New York Times» e superato per diffusione testate storiche della sinistra a sinistra del Partito democratico come «Dissent».

Lo incontriamo a New York, giacca e t-shirt nere, al Black Swan, un pub all'incrocio tra Bedford Avenue e Lafayette, dove Brooklyn non è ancora il regno degli hipster («ma ci stiamo arrivando, tempo 4 o 5 anni»). Più che del milieu culturale del quartiere-rifugio dei giovani creativi in cui sono nate riviste come «The New Inquiry», «Triple Canopy» e il loro fratello maggiore «N+1», Sunkara si sente figlio, dice, dell'«età di Internet». È in Rete, nei lunghi mesi del 2009 in cui una malattia lo costringe a sospendere gli studi alla George Washington University, che incontra un gruppo di persone come lui insofferenti nei confronti della sinistra tradizionale. «In quel periodo — racconta — leggevo moltissimo, cosa che non avevo mai potuto fare prima: ho sempre lavorato per pagarmi gli studi».

Da quelle letture e da quegli scambi nasce, nel 2010, l'idea di un magazine online: «Facevo tutto io, dall'editing al web design». Non un grande successo, all'inizio. Ma Bhaskar insiste, investe i suoi risparmi, stampa un trimestrale («una scelta tattica, quella della carta: ci ha fatto guadagnare visibilità e prestigio») e alla fine, complice il dibattito culturale accesosi attorno a Occupy Wall Street, che «Jacobin» cavalca, il vento cambia. Gli abbonamenti crescono (sono oltre tremila oggi) e il sito arriva a 250 mila visitatori unici al mese. Un successo decretato dai millennials.
Ma che cosa spinge la generazione post-ideologica a sfogliare una rivista marxista? «Siamo cresciuti dopo la caduta del Muro, non associamo il socialismo al totalitarismo. E il capitalismo non ci offre più una visione del futuro». La sinistra, secondo Bhaskar, con la sua tendenza alla frammentazione e all'auto-emarginazione, non riesce a costruire un cambiamento politico su quello culturale che attraversa la società: «Anche Occupy, che pure ha avuto il merito di politicizzare parte di una generazione, è un movimento relativamente piccolo e auto-compiaciuto». Radicale ma pragmatico, Sunkara vuole invece parlare a un pubblico più ampio. «Guarda questa doppia pagina — dice aprendo l'ultimo numero, il decimo, di "Jacobin" — sembra "Businessweek"».
La grafica, opera di Remeike Forbes, ventiduenne di origini giamaicane, un diploma alla Rhode Island School of Design, è semplice ed elegante. «Voglio che "Jacobin" sia una rivista mainstream — spiega il suo inventore — non nel contenuto, certo, ma nella confezione. Voglio essere professionale». Sunkara non percepisce uno stipendio, ma paga i suoi autori. «Anche gli stagisti, 15 dollari l'ora», precisa orgoglioso. I progetti in cantiere sono tanti, compresa una serie di libri per la casa editrice Verso. E da pochi giorni addio alle riunioni nei bar: «Jacobin» ha una vera redazione, a pochi passi da qui.

Marilisa Palumbo La Lettura

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