Spiace che non sia stato ricordato il ruolo di Giorgio Baratta [SGA.
L’avventura del «suo» film che spopola in Brasile La
pellicola di Cecilia Mangini e Lino Del Fra è diventata in America
Latina punto di riferimento di movimenti e studiosi del padre del
Partito comunista italiano. E pensare che quasi è arrivata per caso
di Gabriella Gallozzi l’Unità 9.7.13
STAVOLTA
NON È IL GIALLO DEL «QUADERNO» SCOMPARSO. O L’ULTIMA DISPUTA
INTERPRETATIVA TRA STORICI. STAVOLTA, ANZI, PIÙ CHE UNA «SCOMPARSA» È UN
RITROVAMENTO. A distanza di quasi quarant’anni e dall’altra parte
dell’oceano. Capita così che Antonio Gramsci, i giorni del carcere di
Lino Del Fra e Cecilia Mangini, vincitore del Pardo d’oro a Locarno 1977
e affidato all’oblio in Italia, sia «ricomparso» in Brasile, risalendo
poi l’intero continente latino americano, dove è diventato una sorta di
bandiera, di testo sacro su cui si stanno formando accademici e nuovi
movimenti. A cominciare dagli ormai storici Sem terra, proseguendo con
gli studenti universitari, e i responsabili delle più diverse
associazioni. Tanto da essere finito, il film, in diffusione
straordinaria allegato a un quotidiano brasiliano.
Come è avvenuta
l’insolita transoceanica? A dire il vero la storia è già diventata
leggenda. E ci piace raccontarla come tale, consapevoli, però, del
potere di «attrazione» che il pensiero di Gramsci gode da anni
soprattutto a certe latitudini. Se pensate, del resto, che nel cuore del
Bronx appena qualche settimana fa è comparso un murales con gli
occhiali rotondi e i folti capelli a contorno... Figuratevi come è di
casa in quell’America Latina diventata di fatto il vero laboratorio
sociale di quella sinistra, così mal concia, invece, nel vecchio
continente. Tutto parte da qui, infatti. Da quel grande seminario
dedicato al fondatore del partito comunista che si è tenuto a San Paolo
nel 2009. Una fiumana composta da delegazioni provenienti da tutti gli
angoli del globo. Studiosi, militanti, professori universitari,
esponenti di movimenti della lotta per la casa, per la terra, gli
«intellettuali organici» insomma. Ed è proprio nello zainetto di uno dei
rappresentanti della delegazione italiana che viene trasportato un dvd
di Antonio Gramsci, i giorni del carcere. Uscito da lì, è un attimo: il
film diventa subito uno dei materiali di studio della scuola di
formazione quadri di San Paolo, per poi proseguire il viaggio ovunque di
Gramsci si parli. Questa la leggenda, perché come ci riporta un
testimone oculare, Aimone Spinola, esperto in comunicazione sul versante
socio culturale con trascorsi e presente a San Paolo, consulente del
consolato venezuelano -, in realtà gli organizzatori dello storico
seminario, non solo avevano già la copia del Gramsci, ma addirittura
l’avevano sottotitolata in spagnolo e portoghese!
Con Riccardo
Cucciolla nei panni del grande pensatore sardo, il film di Lino Del Fra e
Cecilia Mangini, esemplari autori di quel cinema militante centrato
sull’analisi critica della realtà e del suo essere, non si limita al
racconto della reclusione. Come l’altro loro straordinario lavoro,
Allarmi siam fascisti, non si limita al Ventennio ma alla denuncia del
fascismo che permea il nostro dna. Così questo film, travalicando il
chiuso del carcere di Turi, porta fuori lo stesso pensiero gramsciano.
Compiendo su esso una lucida analisi, di pari passo con la stesura dei
Quaderni e la ricostruzione del suo impegno politico, stralci della vita
privata e «verità rivoluzionare» come pugni in faccia. La critica
all’involuzione autoritaria dell’Urss, le posizioni anti Stalin, il
conflitto con Togliatti e quindi con gli stessi «compagni» reclusi con
lui, la solitudine e l’isolamento. «Nel film c’è tutto aggiunge Spinola è
un toccare con mano il pensiero di Gramsci. Si capisce quindi la sua
enorme diffusione in un paese dove ormai sono gli ex alunni di Carlos
Nelson Coutinho, il primo ad aver tradotto i Quaderni, ad essere
diventati degli espertissimi ed autorevoli gramscisti. Qui non si tratta
solo di studi, come in Italia, ma di vera e propria prassi grasciana.
L’enorme egemonia del movimento contadino, diventato negli ultimi
trent’anni la punta avanzata della resistenza alla globalizzazione, non
sarebbe potuto essere senza Gramsci».
«Tutti i semi sono falliti
eccettuato uno che non so ancora cosa sia, ma che probabilmente è un
fiore e non un’erbaccia» chiosa il film con le parole di Gramsci. Quel
fiore, si vede, deve essere sbocciato dall’altra parte dell’Oceano. E
che sia il cinema, proprio quello che di semi ha tentato di piantarne
sempre, è un bel segnale di speranza. Nell’attesa che un giorno, ci sia
anche il suo «ritorno come è stato per Cristoforo Colombo», dice Cecilia
Mangini. E noi le crediamo.
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