Le disuguaglianze insostenibili
di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini Repubblica 9.7.13
Mentre
le ultime rilevazioni dell’Istat indicano un vero e proprio crollo dei
consumi delle famiglie, uno studio commissionato dall’Unione Europea,
Gini-Growing inequality impact, ha messo in evidenza che l’Italia è tra i
paesi europei che registrano le maggiori diseguaglianze nella
distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito, e con livelli di
disparità superiori alla media dei paesi Ocse. Non solo: da noi la
favola di Cenerentola si avvera con sempre minor frequenza, nel senso
che le unioni si verificano non tanto tra fasce di reddito diverse ma
entro le stesse fasce frenando la mobilità sociale. Inoltre, appare che
la ricchezza si sta spostando verso la popolazione più anziana
accentuando il divario tra generazioni.
Il crollo dei consumi in
Italia è dunque associato ad un divario nella distribuzione della
ricchezza che si è accentuato durante la crisi: oggi circa la metà del
reddito totale è in mano al 10% delle famiglie, mentre il 90% deve
dividersi l’altra metà.
La domanda che si impone è: come siamo arrivati a questo punto?
La
risposta non è difficile: questa situazione va ricondotta al pensiero
dominante di ispirazione neoliberista, che si è affermato all’inizio
degli anni ’80 negli Stati Uniti e in Inghilterra e che poi ha
influenzato la politica economica dell’Unione europea. La teoria
economica neoliberista si fonda sull’assunto che la diseguaglianza non
inficia in alcun modo la crescita. Anzi, detassare redditi e soprattutto
patrimoni immobiliari e mobiliari dei più ricchi genererebbe un
“effetto a cascata” che dai piani alti della società trasferirebbe la
ricchezza fino ai piani bassi, portando ad un arricchimento generale e
ad una maggiore crescita. Questa idea ha aperto la strada alle
privatizzazioni e alla deregulation dei mercati finanziari (inclusa la
proliferazione dei paradisi fiscali) per permettere agli “spiriti
animali” di dispiegare liberamente tutta la loro forza propulsiva. Così
lo Stato diventa un “disturbatore”, fonte di sprechi e di inefficienza, e
pertanto deve essere ridotto ai minimi termini. “La società non esiste,
ci sono solo individui e famiglie. E nessun governo può far nulla. La
gente deve pensare a se stessa”: così Margaret Thatcher in una sentenza
diventata tristemente famosa.
Dall’inizio degli anni ’80, il drastico
ridimensionamento della capacità di intervento dello Stato
nell’economia e il progressivo indebolimento dei lavoratori, che
cominciano a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive,
interrompono l’espansione della classe media che si era registrata
nell’Età dell’Oro (1945-1973). Ma una crescita fondata su diseguaglianze
crescenti può destabilizzare l’economia riportando indietro di anni il
livello di benessere della popolazione. Joseph Stiglitz ha sintetizzato i
risultati delle sue ricerche in una formula che dimostra come
diseguaglianza e sviluppo economico siano inversamente proporzionali.
Insomma,
l’effetto a cascata auspicato dai liberisti non si è assolutamente
verificato e sono risultati evidenti gli effetti nefasti della
polarizzazione della ricchezza, così come era stato teorizzato da Karl
Marx.
Dopo la crisi esplosa nel 2008 lo Stato è dovuto intervenire
massicciamente per salvare il settore privato dal collasso, il che ha
determinato un’espansione rapidissima del rapporto tra debito pubblico e
Pil in tutti i paesi avanzati. E ora si è scatenata una nuova
controffensiva del settore privato e dei mercati per tagliare i servizi
sociali e più in generale la spesa pubblica aggravando la situazione
delle fasce più deboli ed alimentando diseguaglianze sempre più marcate.
Il
ceto medio è il vero motore dei consumi sia perché rappresenta la
fascia più larga della popolazione, sia perché tende a convertire in
consumi una percentuale proporzionalmente molto più elevata del proprio
reddito. Se far ripartire i consumi è una delle principali chiavi per
promuovere l’intera economia ecco allora l’importanza di politiche che
favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza ed il
rafforzamento della middle class.
La politica dei redditi deve dunque
tornare al centro della politica economica se vogliamo uscire dalla
crisi che sta alimentando tensioni sociali destinate a diventare
insostenibili.
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