Questo volume si interroga sulla natura e sulle trasformazioni dei supporti necessari per esistere ed essere riconosciuti come individui, per accedere cioè alla proprietà di sé. In mancanza di proprietà privata, la proprietà sociale ha rappresentato un’innovazione decisiva che ha permesso la riabilitazione dei non-proprietari, assicurando sicurezza e riconoscimento a partire dal lavoro. Oggi il vacillare delle protezioni sociali fa emergere il profilo inedito di un individuo per difetto che, sganciato dalle regolazioni della società salariale che gli consentivano di essere se stesso attraverso la partecipazione a risorse comuni, sembra destinato a indossare la propria individualità come un peso.
lunedì 8 luglio 2013
La crisi dell'individualità moderna secondo Robert Castel
Risvolto
Agli inizi della modernità, la
separazione della proprietà dal lavoro contrappone due modi di essere
individuo: l’individuo proprietario che, come dice Locke, è anche
«proprietario di sé» e la «classe non proprietaria», condannata al
disprezzo attribuito a coloro che, poiché non hanno niente, non sono
niente. L’abate Sieyès, principale ispiratore della Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino, vede ancora i lavoratori come «una
folla immensa di strumenti bipedi, senza libertà, senza moralità, senza
facoltà intellettuali, dotati solo di mani che guadagnano poco e di una
mente gravata da mille preoccupazioni».
Questo volume si interroga sulla natura e sulle trasformazioni dei supporti necessari per esistere ed essere riconosciuti come individui, per accedere cioè alla proprietà di sé. In mancanza di proprietà privata, la proprietà sociale ha rappresentato un’innovazione decisiva che ha permesso la riabilitazione dei non-proprietari, assicurando sicurezza e riconoscimento a partire dal lavoro. Oggi il vacillare delle protezioni sociali fa emergere il profilo inedito di un individuo per difetto che, sganciato dalle regolazioni della società salariale che gli consentivano di essere se stesso attraverso la partecipazione a risorse comuni, sembra destinato a indossare la propria individualità come un peso.
Questo volume si interroga sulla natura e sulle trasformazioni dei supporti necessari per esistere ed essere riconosciuti come individui, per accedere cioè alla proprietà di sé. In mancanza di proprietà privata, la proprietà sociale ha rappresentato un’innovazione decisiva che ha permesso la riabilitazione dei non-proprietari, assicurando sicurezza e riconoscimento a partire dal lavoro. Oggi il vacillare delle protezioni sociali fa emergere il profilo inedito di un individuo per difetto che, sganciato dalle regolazioni della società salariale che gli consentivano di essere se stesso attraverso la partecipazione a risorse comuni, sembra destinato a indossare la propria individualità come un peso.
ROBERT CASTEL
La fragile società del non lavoro
«Proprietà privata, proprietà sociale e proprietà di sé» può essere considerato il testamento dello studioso recentemente scomparso. Ha inoltre il pregio di presentare una lucida analisi della crisi sociale provocata dal neoliberismo e di proporre il reddito di cittadinanza come proposta per salvaguardare lo spirito del welfare state
APERTURA - Benedetto Vecchi il manifesto 2013.07.04 - 10 CULTURA
La parabola intellettuale di Robert Castel non è comprensibile senza il
suo coinvolgimento nel Maggio parigino. È a partire dalle barricate del
quartiere latino che la sua produzione subisce una svolta inaspettata.
Sociologo di formazione in debito con la tradizione delle scienze
sociali francesi, condivideva le riflessioni sulla modernità di Emile
Durkheim, laddove sottolineava la fragilità del legame sociale rispetto
il carattere tellurico, «rivoluzionario» dello sviluppo capitalistico.
Ma a differenza di Durkheim, era interessato anche alle istituzioni
sorte dalle ceneri dell'ancien régime che mostravano una grande capacità
di tenuta e performatività dell'ordine sociale rispetto a quelle
tendenza del capitalismo di rendere voltatile ciò che prima era solido,
per parafrasare una famosa frase di Karl Marx. Così il primo, importante
saggio Robert Castel lo ha dedicato all'istituzione psichiatrica, che
aveva e ha la funzione di garantire la riproduzione sociale, in una
prospettiva «pastorale» tesa a prevenire, rendendola inefficace, la
devianza dalla norma.
In quel saggio Castel non nasconde la sua sua
fonte di ispirazione - La storia della follia di Michel Foucault -, ma
prova ad alimentarla con una inchiesta sul campo. È con quel libro che
avviene la svolta teorica, che lo ha fatto diventare, anno dopo anno, un
intellettuale eterodosso. Vicino al partito socialista, si è
confrontato con le posizioni teoriche più radicali de marxismo
post-Sessantotto, accogliendone la pretesa di una politicizzazione
integrale dei rapporti sociali. Così, dopo la critica dell'ospedale
psichiatrico, e in sordina anche della psicoanalisi, intesa come una
forma di un diffuso controllo sociale, ha concentrato la sua attenzione
sull'altra grande «istituzione» del capitalismo, la fabbrica.
La maledizione del salariato
Castel
parte dal presupposto che il lavoro è la fonte della cittadinanza, ma
ne vede anche la crisi. Comincia infatti a scrivere sulla Metamorfosi
della questione sociale quando le pratiche del divorzio tra lavoro e
cittadinanza sono state già avviate. Quel saggio, infatti, rappresenta
il tentativo di storicizzare il rapporto tra lavoro e «democrazia
sociale», offrendo una provvisoria bussola per orientare l'esplorazione
della società postsalariale. Intraprende così un percorso teorico che lo
porta ad analizzare la precarietà e la crisi del welfare state,
condensato in due brevi, ma intensi saggi: L'insicurezza sociale
(Einaudi) e La discriminazione negativa (Quodlibet).
È quindi
illuminante l'intervista raccolta da Claudine Haroche sulle
contraddizioni del capitalismo, ma anche delle possibili via d'uscita
dalla violenza - Robert Castel ha scritto pagine molto appassionate
sulle rivolte delle banlieue, interpretate come disperate manifestazioni
contro le invisibili, ma tuttavia operanti barriere alla piena
cittadinanza di una parte della popolazione - che segnano la metamorfosi
della società salariale.
Il libro intervista è stato pubblicato in
Francia nel 2001 e ha come titolo Proprietà privata, proprietà sociale,
proprietà di sé (Quodlibet, pp. 148, euro 16). Ricordare la data della
pubblicazione è importante, perché il 2001 è l'anno della prima, globale
crisi del neoliberismo, cioè di un modello sociale, economico e
politico che ha posto nuovamente al centro della scena l'individuo
proprietario. Nelle scienze sociali, la figura dell'individuo
proprietario non incontra un forte dissenso, ma neppure una convinta
adesione. Robert Castel non è interessato a liquidarla come una
costruzione ideologica, bensì a stabilire quale sia stata la sua genesi,
rintracciandola nella filosofia liberale ottocentesca e individuando la
sua capacità mimetica di sopravvivenza quando si afferma la «proprietà
sociale», cioè la definizione costituzionale di un insieme di diritti
sociali tesi a definire una piena cittadinanza per chi proprietario non
lo era.
La trappola dei liberali
È la lunga stagione
del welfare state, la cornice giuridica che legittima una costituzione
materiale incentrata su una figura sociale, l'operaio, che rivendica
appunto la piena cittadinanza. Questo non significa che l'individuo
proprietario scompaia: si mimetizza, subendo quindi una metamorfosi.
Castel, tuttavia, è consapevole che con l'affermazione del modello
neoliberista l'individuo proprietario è un concetto che viene
radicalizzato. Per capire come è potuta avvenire tale radicalizzazione
compie un doppio movimento. La prima mossa è risalire al nesso tra
proprietà e cittadinanza stabilito da John Locke - è cittadino solo chi è
proprietario -; evidenziandone le contraddizioni, in particolare quando
l'economia politica deve considerare anche il lavoratore un
proprietario seppur particolare - possiede la sua forza-lavoro, che
vende e rinnova grazie al lavoro. È così che il lavoro va a costituire
una triade assieme alla proprietà la triade che ha plasmato le politiche
sociali nel Novecento. Per i liberali è il primo smacco: se anche il
lavoratore può essere considerato un individuo proprietario, la pretesa
di limitare la cittadinanza viene meno. Il secondo movimento compiuto da
Castel riguarda il welfare state, cioè il più coerente tentativo di
includere dentro l'ordine politico capitalistico il movimento operaio
attraverso il concetto di proprietà sociale costruita proprio per i
«non-proprietari». I diritti sociali sono la traduzione operativa di
questa «proprietà sociale».
Da questo punto di vista il welfare
state è la classica quadratura del cerchio: viene salvata la proprietà
privata, facendo però diventare il salariato la figura centrale del
processo produttivo. Il neoliberismo punta a distruggere tutto ciò,
riportando al centro della scena pubblica l'individuo proprietario. Ma
così facendo, destruttura tutte le forme di mediazione sociale e
politica che hanno garantito la stabilità, certo precaria, ma pur sempre
stabilità dello sviluppo capitalistico.
Dal vagabondo al precario
La
cancellazione o il ridimensionamento del welfare state rivelano una
violenza strisciante laddove rende incommensurabile la condizione del
proprietario e quella del salariato. Il proprietario, dicono i
neoliberisti, è il solo che ha il diritto alla piena cittadinanza,
mentre i salariati hanno diritto solo a una compassionevole protezione
stabilita discrezionalmente tesa solo alla sua sopravvivenza, condizione
necessaria per la messa al lavoro dei «non proprietari». Le lancette
della storia sembrano così messe indietro nel tempo, agli inizi cioè
della accumulazione primitiva
Castel evoca il vagabondo, la figura
simbolica della rivoluzione industriale che equipara al precario
contemporaneo, figura che non è depositaria di nessun diritto e
potenziale pericolo per l'ordine sociale da sottoporre a un ferreo
controllo - le politiche di attivazione coatta al lavoro, ad esempio -
perché la sua presenza è fondamentale nello sviluppo del capitale. Il
precario diviene inoltre la figura centrale delle insorgenze e delle
rivolte sociali. Ma ciò che è interessante nella posizione di Castel è
il suo rifiuto delle tesi espresse da molti «scienziati sociali» sulla
tendenza immanente del neoliberismo all'esclusione di ampie quote della
popolazione.
Il capitalismo neoliberista deve infatti operare
inclusioni differenziate, all'interno di una rigida gerarchia sociale
scandita dalla posizione lavorativa dal colore della pelle, dal genere.
Inoltre, e questo è uno dei passaggi dell'intervista che più di altri
sono controcorrente rispetto alle teorie sociali contemporanee, il
welfare state non è stata una parentesi, ma ha costituito la forma più
avanzata della modernità: la sua cancellazione, ripete Castel, mette a
rischio la sopravvivenza stessa della stessa modernità. Per questo, c'è
da aggiungere, le ricorrenti, seppur a geografia variabile, rivolte
contro il neoliberismo fanno riferimento a quei diritti sociali di
cittadinanza che hanno costituito, nel Novecento, la cornice politica di
critica al capitalismo. Inoltre, il contemporaneo precario ha una
caratteristica fondamentale che lo differenzia dal vagabondo. Da una
parte soffre di un deficit di appartenenza sociale, ma dall'altra
presenta un surplus di soggettività grazie ai processi di
soggettivazione messi in campo da oltre un secolo di conflitti di classe
e di di oltre quantan'anni di welfare state.
L'incubo del nuovo ordine
Senza
tornare alla spesso stucchevole discussione sull'esistenza o meno della
postmodernità, quello che emerge dal libro intervista di Castel è però
la fotografia di una impasse del capitalismo. Da una parte i
neoliberisti vogliono costruire l'«uomo nuovo» - l'individuo
proprietario - che decide la sua vita in base alla logica economica dei
costi e dei ricavi; dall'altra la diffusa resistenza al nesso tra
cittadinanza e proprietà privata. Il conflitto torna dunque a
manifestarsi in forme estreme e talvolta violente.
Il libro, è stato
ricordato, esce nel 2001, l'anno dopo il crollo del Nasdq e la fine del
sogno di vedere nella Rete il nuovo eden capitalistico. Dodici anni
dopo, la crisi del neoliberismo è ancora più radicale. Le pagine
dedicate alle possibili vie d'uscita dall'impasse vanno dunque lette con
attenzione. Specialmente quando intervistatrice e intervistato
discutono sul reddito di cittadinanza. Entrambi concordano nel
considerarlo la forma per un nuovo matrimonio tra lavoro e cittadinanza.
Ma è qui che lo schema di Castel presenta un'intima fragilità. Lo
sviluppo capitalistico non può garantire più la piena occupazione nelle
forme novecentesche. Paradossalmente può garantirla solo attraverso una
pervasiva e diffusa precarietà, dove l'intermittenza tra lavoro e non
lavoro è tanto convulsa quanto «normale» esperienza di vita. Da questo
punto di vista il divorzio tra lavoro e cittadinanza si è già consumato.
Il
reddito di cittadinanza è dunque una forma di mediazione sociale che
meglio si confà a una realtà fondata sulla figura del precario e su una
disoccupazione strutturale. È cioè una misura «riformista» che punta a
salvaguardare quella proprietà sociale affermatasi con il welfare state.
Non ha dunque niente di rivoluzionario, ma consente di modificare i
rapporti di forza nella società e relegare sullo sfondo, questa volta sì
per sempre, la figura dell'individuo proprietario. E apre lo spazio per
quel comune prodotto dalla cooperazione sociale. Consente cioè di poter
cominciare nuovamente a pensare la politica della trasformazione.
SCAFFALI
Dall'ordine psichiatrico alla questione sociale
BREVE il manifesto 2013.07.04 - 10 CULTURA
Docente e ricercatore all'«École des hautes
études en sciences sociales», Robert Castel non ha mai nascosto il suo
interesse per gli aspetti più problematici del «vivere in società». Dopo
una breve collaborazione con Pierre Bourdieu, ha concentrato la sua
attenzione alla psichiatria, alla fabbrica e alle istituzione del
welfare state. La sua griglia teorica trova poche eco nelle scienze
sociali francesi. Anzi si può tranquillamente dire che è stato più
studiato fuori dai confini nazionali che in Francia (i suoi scritti sono
stati molto discussi in Germania e in Americalatina). In Italia sono
stati tradotti: «Lo psicanalismo» (Einaudi), «L'ordine psichiatrico.
L'epoca d'oro dell'alienismo» (Feltrinelli), «L'insicurezza sociale. Che
significa essere protetti?» (Einaudi), «Le metamorfosi della questione
sociale. Una cronaca del salariato» (Sellino), «La discriminazione
negativa» (Quodlibet) e questo libro-intervista «Proprietà privata,
proprietà sociale e proprietà di sé» (Quodlibet).
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