lunedì 8 luglio 2013
Neoliberismo, pena e controllo sociale: il libro di Loic Wacquant
Risvolto
A partire dalla metà degli anni Settanta gli Stati Uniti hanno
sperimentato una graduale sostituzione della regolazione della povertà
attraverso il welfare con un continuum carcerario-assistenziale che
intreccia e connette i discorsi, le pratiche e le categorie del workfare
con quelle di un apparato penale ipertrofico e iperattivo. Questa
passaggio, però, non riguarda tutti gli americani: esso si manifesta
soprattutto nei confronti dei poveri, dei pericolosi, dei reietti, di
coloro che si mostrano recalcitranti al nuovo ordine economico ed
etnorazziale che va delineandosi sulle ceneri del defunto sistema
fordista-keynesiano e del ghetto urbano in via di sgretolamento.
Colpisce dunque soprattutto il sottoproletariato di colore delle grandi
città, i segmenti dequalificati e precari della classe operaia, e coloro
che, rifiutando un "lavoro schiavistico" e un salario da fame, si
rivolgono all'"economia informale di strada".
La tesi a cui giungono i documentati saggi qui raccolti è che questa
trasformazione si presenta strettamente connessa alla complessiva
ristrutturazione neoliberista del mercato e dello stato. I nuovi criteri
di criminalizzazione e di controllo sociale rappresentano solo la punta
dell'iceberg di un complesso di politiche pubbliche che comportano la
riorganizzazione e il ridispiegamento dello stato. L'obiettivo è
rafforzare i meccanismi di mercato e di disciplinare il nuovo
proletariato postindustriale, tenendo a freno la disarticolazione
interna prodotta dalla frammentazione del lavoro, dal declino dei
programmi di protezione sociale e dalla conseguente ristrutturazione
delle consolidate gerarchie etniche.
La posta in gioco, allora, non è tanto la criminalità e la pena, quanto
la trasformazione di uno stato in grado di promuovere e fronteggiare le
condizioni economiche, sociali e morali che si manifestano all'ombra del
neoliberismo. Un trasformazione, del resto, che non ha tardato a
varcare l'oceano e a coinvolgere quasi tutti gli stati dei paesi
europei.
l'autore
Loic Wacquant insegna al Centre de sociologie européene du College de
France ed è professore associato di sociologia all'University of
California (Berkeley). Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo
Parola d'ordine: tolleranza zero (Feltrinelli, 2000), Anima e corpo
(DeriveApprodi, 2002), Punire i poveri (DeriveApprodi, 2006) e per i
nostri tipi Simbiosi mortale. Neoliberalismo e politica penale (2002).
La simbiosi mortale tra carcere e marginalità
Un articolato sistema di controllo sociale e di legittimazione della precarietà Una crescita abnorme di risorse per il sistema penale in nome della sicurezza
ARTICOLO Vincenzo Scalia il manifesto 2013.07.06 - 19 PAGINE
L'abilità dello studioso
consiste quindi nella capacità di mantenere la propria lucidità anche
nei momenti di acceso dibattito e di militanza politica e accademica.
Loic Wacquant rientra a pieno titolo in questa tipologia di
intellettuale. Negli anni della tolleranza zero e del securitarismo come
arma di lotta politica, i suoi lavori si sono rivelati uno strumento
efficace di disvelamento delle conraddizioni insite nella sicurezza e
nella penalità. L'ultima raccolta dei suoi lavori, Iperincarcerazione
(Ombrecorte, pp.150, euro 15), rappresenta un valido strumento per
orientarsi all'interno della galassia della «penologia» e della
sicurezza urbana e per disvelare i meccanismi di legittimazione del
discorso securitario. In polemica con gli studiosi che parlano di
incarcerazione di massa, Wacquant ci spiega come il problema,
all'interno della comunità scientifica, risieda a monte. A partire dalla
fine degli anni Settanta, con l'approssimarsi del reaganismo, si è
preferito ignorare le carceri come oggetto di studio per concentrarsi
sulla percezione di insicurezza che aleggiava nell'opinione pubblica e
sulle statistiche relative agli alti tassi di criminalità. A questa
tendenza, va sommata l' opacità della prigione, intesa come attitudine
degli operatori penitenziari ad occultare o presentare in modo alterato
la quotidianità dietro le sbarre. Le sviste più o meno consapevoli
evidenziate da Wacquant hanno perciò impedito di vedere che una guerra
alla criminalità non c'è mai stata, ma piuttosto si è trattato di una
guerra ai cittadini, in particolare ai membri delle cosiddette classi
pericolose (operai, disoccupati, minoranze etniche), attraverso la quale
è stato possibile realizzare una ristruttuazione qualitativa dello
Stato, che cessa di essere sociale, per diventare, in particolare negli
Usa, Stato penale. L'espansione della sfera penale, che oltreoceano si è
tradotta nell'aumento della popolazione detenuta da 100 mila a due
milioni di unità in un trentennio, senza contare l'esecuzione penale
esterna, non è servita soltanto a rassicurare una società sempre più
incerta e precaria. Le sentenze più lunghe hanno permesso di aumentare i
rischi derivanti dall'intraprendere attività illegali di strada, ma
soprattutto a ridurre la disoccupazione nella misura in cui gli
afroamericani espulsi dal ciclo produttivo ingrossavano massicciamente
le file dei detenuti. Si sono così create le condizioni per reclutare
una manodopera più docile, più sfruttabile e dequalificata, disposta a
lavorare dietro l'accettazione di salari ridotti. Simmetricamente a
questo processo, l'asse della spesa pubblica si è spostato dal welfare
state al potenziamento della macchina penitenziaria, col numero degli
addetti del settore cresciuto fino a superare il mezzo milione, e
l'indotto generato dalla costruzione delle prigioni, dalla manutenzione,
dalla refezione, e dai manufatti necessari al sistema penitenziario
(arredi, congegni elettronici e cosi via) ad espandersi. Il comparto
penitenziario è così assurto al rango di settore economico indipendente,
anche se, nota l'autore, non si può parlare di uno spostamento
dall'apparato militarindustriale al penitenziario-industriale.
Innanzitutto, perché non esiste una centrale di coordinamento come il
Pentagono e le agenzie penali sono decentrate. Inoltre, perché la
finanza, la Silicon Valley, la grande distibuzione vale a dire i settori
di punta dell'economia americana, realizzano fatturati che li pongono
di gran lunga in una posizione egemone all'interno dell'economia
statunitense. I prigionieri dell'iperincarcerazione si
contraddistinguono per portare un marchio specifico di classe, sesso e
razza. Si tratta soprattutto di maschi, operai, afroamericani, solo un
terzo dei quali aveva un lavoro a tempo determinato al momento
dell'arresto. Ci troviamo di fronte, dice Wacquant, ai prodotti
dell'iperghetto creatosi nelle metropoli americane sin dalla fine degli
anni Settanta, quando la delocalizzazione da un lato, l'esodo dei
bianchi operai ( i cosiddetti Reagan democrats ) e di classe media verso
i sobborghi, ha prodotto quello smantellamento della rete di protezione
sociale che ha spianato la strada all'espandersi del sistema penale
all'interno della società americana. Si è così realizzata quella
«simbiosi mortale» tra ghetto e prigione che Wacquant aveva sviscerato
in un suo precedente lavoro, all'interno della quale chi non finisce in
prigione sopravvive tra le spire del «welfare to work» che vorrebbero
introdurre anche in Italia: lavori precari, sottopagati, situati a
notevole distanza dal luogo di residenza, in cambio di un residuo
scadente di assistenza sociale, sotto l'impegno da parte dei fruitori a
non indulgere in comportamenti eccentrici. L'espansione della sfera
penitenziaria, dice Wacquant, svela il paradosso del neoliberismo, che
si manifesta come un sistema tanto deregolato verso l'alto quanto
disciplinare verso il basso, con l'intervento pubblico che non è stato
smantellato, ma semmai spostato dall'integrazione sociale alla
marginalizzazione permanente. Come se ne esce? Ovviamente rifondando un
welfare calibrato sui cambiamenti sociali degli ultimi anni.
ARTICOLO Valerio Guizzardi il manifesto 2013.10.03 - 10 CULTURA
LA PENA INFINITA
Il panopticon della povertàDopo gli Stati Uniti, la svolta neoliberista del sistema detentivo sbarca in Italia. Crescono i detenuti, il superaffollamento delle celle, ma non decolla la privatizzazione della gestione delle prigioni. Un percorso di lettura sul carcere come una istituzione finalizzata al controllo sociale di una popolazione sempre più impoverita
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