Nell'argomentare le ragioni della decrescita, Latouche postula qui un Marx del tutto immaginario. Riporto a questo proposito alcune considerazioni che svolgevo nel mio saggio Modern Communism versus "nostalgia for community" in Karl Marx, in J. Zimmer, D. Losurdo (Hrsg.), Die Idee der buergerlichen Gesellschaft. Hegel und die Folgen, atti del simposio della Societas Hegeliana, Documenta Universitaria, Girona 2006 [SGA].
[...] Nessuna discontinuità presenta, rispetto
all’atteggiamento qui messo in evidenza, la lettera di Marx a Vera Zasulič
dell’8 marzo 1881, spesso strumentalmente utilizzata ai fini dell’invenzione di
un grottesco Marx “comunitarista”. Intervenendo sulla questione dell’obščina
russa, esaltata dai populisti e dai bakuniniani come base economico-sociale per
un passaggio diretto della Russia dal feudalesimo in dissoluzione al
socialismo, Marx certamente afferma che essa «è il punto di appoggio della
rigenerazione sociale in Russia». Egli avverte, però, che affinché ciò accada è
necessario «eliminare le influenze deleterie che l’assalgono da tutte le
parti», nonché «assicurarle condizioni normali di sviluppo organico»
(Marx-Engels, 1960, p. 237 = MEW, Bd. 35, p. 167). La cautela di queste parole
si spiega con l’intenzione di Marx di non sconcertare eccessivamente i suoi
interlocutori: l’obščina era infatti guardata con speranza anche dai
dirigenti del gruppo protosocialista russo, decisamente ancora immaturi sul
piano teorico e politico ma senz’altro più preparati dei loro epigoni attuali.
La sua volontaria cripticità si scioglie infatti completamente nelle tormentate
bozze preparatorie della lettera (Marx-Engels, 1960, pp. 237-44 = MEW, Bd. 19,
pp. 384-406). Qui Marx demolisce la mitologia nostalgica della comune rurale
russa. Il suo modello strutturale non è la comunità antica bensì quella
germanica, nella quale già abbastanza definito è il «dualismo» tra la proprietà
collettiva della terra e il suo uso ormai interamente privato (la terra viene
periodicamente assegnata in parcelle ai membri della comunità). Privata è anche
la proprietà della casa e della corte rustica, con tutte le possibilità di
accumulazione individuale, e di conseguente differenziazione sociale, che ciò
comporta. La comune russa è dunque propriamente una «fase di trapasso» dalla
comunità originaria alla «formazione secondaria», e cioè «dalla società basata
sulla proprietà comune» a quella «basata sulla proprietà privata», nonché
«sulla schiavitù e sul servaggio». Già questo basterebbe a chiudere il discorso
con i “marxisti comunitaristi”. Marx però aggiunge anche altro. Egli afferma
l’assoluta insufficienza dell’obščina, che sconta la necessità di
«spogliarsi gradatamente dei suoi caratteri primitivi», dei suoi elementi
naturalistici dunque, per compiere un salto di qualità e «svilupparsi» fino a
divenire «elemento della produzione collettiva su scala nazionale». Proprio i
residui naturalistici della comune, assieme agli influssi dovuti alla
diffusione dei metodi capitalistici, che generano conflitto tra i contadini
poveri e i kulaki, sono le «le influenze deleterie che l’assalgono da
tutte le parti» di cui parla la lettera. Infine, vediamo quali sono le
condizioni nelle quali, nonostante tutto ciò che abbiamo detto sinora, la
comune può essere un utile strumento di organizzazione sociale. La prima è la
«contemporaneità della produzione capitalistica», che potrebbe consentire all’obščina
di far proprie «tutte le conquiste positive» del capitalismo senza pagarne lo
scotto. La Russia, infatti, non vive «isolata dal mondo moderno» ma nella Modernità
- che i panslavisti o i populisti vogliano o meno - è ormai immersa. La seconda
condizione è la contemporaneità della «crisi» del capitalismo, ormai «in lotta
e con la scienza, e con le masse popolari, e con le stesse forze produttive
generate dal suo seno». La contemporaneità, cioè, della lotta di classe
consapevolmente organizzata e condotta sulla base dei principi politici del
socialismo scientifico. Determinante è dunque l’«ambiente storico» in cui l’obščina
si colloca. Solo grazie all’appropriazione delle moderne tecniche produttive
capitalistiche essa può porsi all’altezza del «lavoro cooperativo organizzato
su vasta scala» e introdurre l’uso delle «macchine», della «coltura meccanica»,
degli «utensili», degli «ingrassi», dei «metodi agronomici». Ma questa
«metamorfosi», che le darà una «pelle nuova», avrà un senso socialmente
positivo solo se sarà inquadrata nel contesto di una trasformazione generale
della società russa, nel quadro cioè di un processo politico rivoluzionario.
«Per salvare la comune russa», insomma, «occorre una Rivoluzione russa», una
rivoluzione socialista. A dire il vero, nemmeno questo, forse, potrebbe
bastare, senza un collegamento con il più generale movimento rivoluzionario internazionale.
Infatti, come Marx precisa nella prefazione alla 2° edizione russa del Manifesto
del partito comunista, pubblicata nel 1882, solo «se la rivoluzione russa
diverrà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le
due rivoluzioni si completino a vicenda», la comunità rurale «potrà servire
come punto di partenza ad uno sviluppo in senso comunistico» (Marx-Engels,
1960, p. 246 = MEW, Bd. 19, pp. 295-6). Rinunciamo qui a citare per esteso le
ulteriori precisazioni fornite su questo tema da Engels, dato che la sua
immeritata fama di “travisatore” del pensiero marxiano renderebbe tale sforzo
inutile. In ogni caso, sulla base di quanto abbiamo visto, ci pare di poter
dire che - con buona pace del sogno populista di una rigenerazione comunitaria
dalla “barbarie” del Novecento - anche sulla questione dell’obščina la
miglior interpretazione dell’autentico pensiero di Marx sia stata, una volta di
più, il programma di Lenin [...].
Serge Latouche: Incontri di “un obiettore di crescita”, Jaca Book
Risvolto
"Crescita, crescita": è la parola magica
pronunciata a sazietà per salvarci da crisi che non cessano di
succedersi... Questo per la pretesa dell'uomo di credere di poter
sfruttare senza limiti i suoi simili e il pianeta e di aver creato un
modello destinato a generare sempre maggior ricchezza, sempre maggiore
felicità. Tuttavia, a partire dalle tesi di Nicholas Georgescu-Roegen,
noi sappiamo che ciò non è possibile, mentre Ivan Illich e André Gorz ci
hanno insegnato che è possibile un altro schema di società, capace di
rispettare insieme l'ambiente e l'uomo. Gli "incontri" di Latouche sono
con gli indios latinoamericani, con l'autarchia italiana tra le due
guerre, con i precursori della decrescita, con la mercificazione dei
viaggi alle Seychelles, con l'Africa, con la Cina e con i dibattiti e le
esperienze in corso in Europa. L'opera ha un andamento quasi biografico
con il susseguirsi di avvenimenti, esperienze e riflessioni. Prefazione
di Patrick Piro.
Decrescita con Marx
Il filosofo economista affronta a modo suo il tema dell’anticapitalismo
di Serge Latouche l’Unità 1.10.13
Diciamolo
in maniera ancora più chiara: il prezzo da pagare per la libertà è la
distruzione dell’economico in quanto valore centrale e, di fatto, unico.
È un prezzo davvero tanto alto? Per me, certamente no: preferisco
infinitamente avere un nuovo amico piuttosto che un’automobile nuova.
Preferenza soggettiva, senza dubbio. Ma «oggettivamente»? Lascio
volentieri ai filosofi politici il compito di «fondare» lo
(pseudo)-consumo in quanto valore supremo.
Cornélius Castoriadis
Si
intitola «Incontri di “un obiettore di crescita”» il libro edito in
Italia da Jaca Book
che presenta una serie di articoli di Latouche
pubblicati sul settimanale francese «Politis». Ne anticipiamo un
capitolo
Uscire dal vicolo cieco della società della crescita,
significa trovare le vie che ci consentano di costruire il mondo «altro»
della sobrietà volontaria e dell’abbondanza frugale che noi riteniamo
possibile; prima però bisogna uscire dai solchi del pensiero «critico»,
ossia di quelle vecchie idee preconfezionate che costituiscono il valore
d’avviamento delle sinistre, di tutte le sinistre. Inventare modi nuovi
di fare politica significa ripensare la politica e trovare una
soluzione allo stallo della politica politicante. Una delle ragioni,
forse la principale, del fallimento del socialismo, è stata la volontà
egemonica di un discorso e di un modello. Non che non ve ne fossero
parecchi, tra leninismo, stalinismo, maoismo, trotskismo e
socialdemocrazia, ma nessuna corrente di pensiero e nessun modello
concreto è riuscito ad accogliere la pluralità della verità e la
diversità delle soluzioni concrete.
Certo, Marx, nella sua celebre
lettera del 1881 a Vera Zasulic, evocava la possibilità di un passaggio
diretto dalla comunità contadina tradizionale russa, il mir, al
socialismo, saltando la tappa capitalista. La possibilità di un percorso
diverso è stata ripresa anche per l’Africa, dopo l’indipendenza; ed è
stata nuovamente evocata a proposito degli zapatisti e delle comunità
indigene del Messico. Tuttavia, è noto che Engels, dieci anni dopo la
morte di Marx, si mostrava molto più scettico sull’argomento e che dopo
altri venti anni Lenin attaccava teoricamente e praticamente queste
«sopravvivenze», che Stalin avrebbe spietatamente liquidato. I vari
«marxismi reali» del Terzo Mondo non si sono mostrati più teneri nei
riguardi delle strutture comunitarie precapitaliste. La modernizzazione
«socialista» ha fatto tabula rasa del passato con una violenza e un
accanimento perfino maggiori di quelli della modernizzazione
capitalista, facilitando così il compito della globalizzazione
ultraliberista seguita alle sconfitte delle esperienze socialiste. La
straordinaria varietà di vie e di voci del primo socialismo
(frettolosamente liquidato con l’etichetta di socialismo romantico o
utopistico) era stata infatti ridotta al pensiero unico del materialismo
storico, dialettico e scientifico. Di conseguenza, la tolleranza della
pluralità poteva essere accettata solo come concessione provvisoria
tattica, che non modificava l’intolleranza di fondo. Tuttavia, si
potrebbe presentare paradossalmente la decrescita come un progetto
radicalmente marxista, progetto che il marxismo, e forse lo stesso Marx,
avrebbero tradito. La crescita, infatti, non è che il nome «volgare»
del fenomeno che Marx ha analizzato come accumulazione illimitata di
capitale, fonte di tutti i guasti e le ingiustizie del capitalismo.
È
già tutto, o quasi, contenuto nella famosa formula, spesso citata e
commentata (e infine rinnegata) dai guardiani del tempio: «Accumulate,
accumulate! Questa è la Legge e questo dicono i profeti!». L’essenza del
capitalismo risiede nell’accumulazione del capitale, resa possibile
dall’estorsione del plusvalore ai salariati. Assicurarsi un profitto
soddisfacente è una condizione dell’accumulazione che ha a sua volta
come unico fine la realizzazione di un profitto ancora maggiore. Questa
logica, come notava già Marx, s’impone ai singoli capitalisti, e chi non
vi si adegua sarà eliminato dalla concorrenza tra i capitali. In ultima
analisi, dire che la crescita o accumulazione del capitale è l’essenza
stessa del capitalismo, la sua finalità, è tanto corretto quanto dire
che esso si fonda sulla ricerca del profitto. Il fine e i mezzi sono in
questo caso intercambiabili. Il profitto è il fine dell’accumulazione
del capitale così come l’accumulazione del capitale è il fine del
profitto. Parlare di una crescita o di un’accumulazione del capitale
buone, di uno sviluppo buono – come, per esempio, una mitica «crescita
messa al servizio di una migliore soddisfazione dei bisogni sociali»–,
equivale pertanto a dire che esistono un capitalismo buono (verde o
sostenibile, magari) e uno sfruttamento buono.
Per uscire da una
crisi che è inestricabilmente ecologica e sociale, bisogna uscire dalla
logica dell’accumulazione infinita del capitale e dalla subordinazione
di tutte le decisioni essenziali alla logica del profitto. È per questo
che la sinistra, se non vuole rinnegare se stessa, dovrà abbracciare
senza riserve le tesi della decrescita.
Il 16 la presentazione a Milano
Serge
Latouche, presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», e
professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e
all'Institut d'études du developpement économique et social di Parigi, è
il teorico della decrescita. Conosciuto per i suoi lavori di
antropologia economica, Serge Latouche critica il concetto di economia
intesa in modo formale, ossia come attività di mera scelta tra mezzi
scarsi per poter raggiungere un fine. L’intellettuale sarà a Milano il
16, presso la Libreria Jaca Book (Via Frua 11, ore 18.30) per la
presentazione di questo libro.
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