Dall'unica donna nel governo rivoluzionario di Lenin, Aleksandra Kollontaj, alle denunce futuriste di Marinetti della famiglia come null'altro che una tenda beduina; dalla battaglia di Mustafa Kemal contro la famiglia tradizionale musulmana agli sfollati della guerra civile spagnola e alla famiglia «modello» nazista di Joseph Goebbels: un percorso comparativo di straordinaria forza che racconta le vite memorabili di donne e uomini di fronte ai terribili avvenimenti novecenteschi.
Questo libro stabilisce un collegamento costante tra la storia della famiglia e la piú ampia e drammatica storia della prima metà del Novecento. Finora nessuna storia del XX secolo aveva posto al centro della propria analisi la famiglia né aveva esaminato i momenti chiave della rivoluzione e della dittatura attraverso le lenti della vita familiare. Ginsborg attinge a un repertorio sterminato di fonti e letture per mettere insieme immagini e storie che fotografano le dinamiche familiari e il loro contesto sociale e politico. Coniugando storia sociale, narrazione biografica e storia della cultura, Ginsborg concentra la sua indagine comparativa su cinque paesi: la Russia, nel passaggio dall'Impero allo Stato sovietico; la Turchia, dall'Impero ottomano alla Repubblica; l'Italia fascista; la Spagna della rivoluzione civile; e la Germania, da Weimar allo Stato nazista. Costruendo ogni capitolo come una piccola biografia di un personaggio emblematico - da Halide Edib e Margarita Nelken, ad Aleksandra Kollontaj; dal gerarca nazista Goebbels al futurista Marinetti e al comunista Gramsci - lascia intravedere sullo sfondo la vita familiare degli stessi grandi dittatori - Stalin e Hitler ma anche Atatürk, Franco e Mussolini. Emerge un quadro in cui le risorse delle famiglie - affetti, rete, solidarietà, segreti e lealtà - si fanno sentire anche quando il loro mondo sembra totalmente schiacciato dai regimi dittatoriali.
Le mutazioni familiari
Intervista a Paul Ginsborg «Un’altra lente per la Storia»
intervista di Rachele Gonnelli l’Unità 27.10.13
Vita di famiglia
Il «privato» fa la storia del Novecento: uno studio di Paul Ginsborg Un progetto ambizioso che inserisce l’istituto familiare nella grande storia, e lo mette in relazione con le politiche, le idee, le ideologie, le utopie rivoluzionarie e reazionarie che hanno attraversato la prima metà del ’900di Jolanda Bufalini
IL DESTINO DI MILIONI DI FAMIGLIE DURANTE LA GUERRA CIVILE RUSSA CHE, «per orrori e perdite di vite umane superò la prima guerra mondiale»; quello di altri milioni nel tragico passaggio dall’impero ottomano alla Turchia moderna. La guerra civile spagnola, la Germania di Weimar e l’ascesa di Hitler, le famiglie «approvate» e quelle escluse ed eliminate, il fascismo della tassa sul celibato. Famiglia Novecento di Paul Ginsborg illumina un aspetto sorprendentemente trascurato dagli studi storici sul XX secolo, immettendo l’istituto familiare nella grande storia. Ginsborg riferisce il gesto della sua amica sociologa madrilena Elisa Chulià a spiegare il perché nella gran parte degli studi storici la famiglia rimanga dietro le quinte: «Si è portata le mani al volto intrecciando le dita a formare una grata davanti agli occhi». Grate, persiane, tende, persino, vengono in mente, gli specchi da cui le beghine olandesi guardavano ciò che accade in strada al riparo della loro casa.
L’operazione, portata avanti con una complessa metodologia comparativa, è tirare fuori la famiglia dalla dimensione domestica per metterla in relazione con le politiche, le idee e le ideologie, le utopie rivoluzionarie e reazionarie che hanno attraversato la prima metà del 900, le stesse tensioni fra individui e famiglia di provenienza, i mutamenti straordinariamente potenti nel passaggio dal mondo contadino all’industrializzazione: la Germania hitleriana è il paese più moderno del tempo, la popolazione è urbanizzata, le ragazze lavorano e amano la vita indipendente, la natalità è bassa. Eppure l’ideale propagandato dal regime con i suoi formidabili mezzi di comunicazione è rurale. La famiglia ideale, rappresentata in un olio di Adolf Wissel nel 1939, è incorniciata da un ambiente campestre, numerosa e ariana. Nulla a che vedere con la rappresentazione caotica in un interno urbano e affollato che ne aveva fatto Max Beckman nel 1920. Nella esposizione universale del 1937 nessun padiglione eguagliò quello spagnolo, per il quale Picasso aveva dipinto Guernica. A sinistra nella grande tela c’è la rappresentazione di una maternità disperata, la testa del bambino morto ciondola all’indietro, il grido della madre si alza verso il toro che la sovrasta. Nello stesso padiglione era esposto un fotomontaggio: accanto ad una donna immobilizzata nel rigido costume tradizionale c’è la «donna nuova», «capace di prendere parte attiva nella creazione del futuro». Eppure nel movimento anarchico spagnolo non si produsse alcuna riflessione sulla famiglia, le mogli degli anarchici erano rinchiuse in casa come tutte le altre donne spagnole. Nella tela di Zeki Kaik Izer, La via della rivoluzione, Ata Turk in giacca e cravatta avvolge con il braccio destro una famiglia cittadina medio borghese, lei indossa un tubino nero e un cappellino da passeggio. Sono loro, la famiglia nucleare borghese e non quella patriarcale tradizionale, il punto di riferimento dei giovani turchi. Ata Turk copiò il codice svizzero della famiglia. Non c’è nulla di agiografico ne La famiglia dipinta da Sironi, pittore di regime ma artista grandissimo, né oro alla patria, né prole numerosa da mandare al fronte. Nei manifesti russi che propagandano la costruzione delle mense, sedute a tavola con gli impiegati, stanno le operaie con il fazzoletto da lavoro in testa, aspirazione a liberare la donna dalle incombenze domestiche.
La narrazione storica di Ginsborg è resa affascinante dalla scelta di aprire ogni capitolo (ciascuno dedicato a un paese) con personaggi simbolo. Ci sono le storie familiari dei dittatori e ci sono alcuni ritratti strepitosi. Aleksandra Kollontaj e Inessa Armand in Russia, Halide Edib, protagonista femminile in una società patriarcale del movimento progressista turco. Tommaso Marinetti per il quale la famiglia era «una tenda di beduini». Straordinario il ritratto di Magda Quandt Goebbels, che con i suoi sette figli, divenne il simbolo della madre nazista.
«La famiglia non è solo oggetto, scrive Ginsborg destinataria dell’azione del potere politico ma anche soggetto, protagonista della storia». La famiglia e lo stato sono «due sistemi dinamici» che non necessariamente vanno alla stessa velocità né nella stessa direzione. Per quanto forte sia la pressione, la repressione, per non parlare del genocidio e delle soppressioni eugenetiche, le famiglie «dispongono di particolari codici e culture di resistenza». «Flessibilità, solidarietà, reti, segreti gelosamente custoditi» che entrano nel gioco della sopravvivenza in condizioni terribili: «La radicata cultura clientelare», scrive Ginsborg in un parallelo fra Urss e Italia fascista consentì in questi paesi «alle famiglie di scalare le pareti dello Stato apparentemente verticali». Il libro si ferma al 1950. Dopo vennero alla ribalta «nuove problematiche sulle modalità con cui le famiglie, nell’ambiente radicalmente nuovo delle libertà civili e politiche, si posero in connessione con la società civile e lo Stato democratico». Ma «questa è un’altra storia». I meccanismi e le risorse che nell’età delle dittature «servirono a mantenere viva la memoria di ciò che era stata la libertà» fanno esprimere all’autore «scetticismo nei confronti di uno schema interpretativo che utilizza il totalitarismo come filo conduttore». Quegli stessi meccanismi di salvezza potrebbero essere alla radice del «familismo amorale» di cui Ginsborg ha scritto altrove.
L'architrave di famiglia
Paul Ginsborg esamina la vita familiare in cinque Paesi nei primi 50 anni del XX secolo raccontando l'evoluzione della società e le riforme giuridiche che si sono susseguitedi Donald Sassoon Il Sole 2.3.14
«È sorprendente – scrive Paul Ginsborg – come nella maggioranza degli studi sul XX secolo le famiglie restino perennemente dietro le quinte». Questo è vero se pensiamo a grandi indagini storiche come Il secolo breve di Hobsbawm o Le ombre d'Europa. Democrazia e totalitarismo nel XX secolo di Mark Mazower, dove la famiglia è quasi assente. Per rimediare a questa carenza servirebbero studi di analoga portata che mostrino in che modo il corso degli eventi politici ed economici abbia influenzato o sia stato influenzato dalle famiglie. Sarebbe un'impresa non da poco, perché servirebbe qualcuno in grado di stabilire se i cambiamenti nella struttura delle famiglie siano stati dovuti a cause "interne" (abbastanza improbabile) o a eventi esterni, come per esempio cambiamenti delle leggi, emigrazioni, guerre o sviluppo economico. Bisognerebbe delineare la configurazione della vita familiare all'inizio del periodo preso in esame e poi tracciare un quadro dei cambiamenti e delle cause di tali cambiamenti. Inoltre, questo lavoro andrebbe realizzato in forma comparativa, in modo da poter valutare se una cosa come il calo della fecondità sia dovuta a fattori che trascendono le differenze religiose o politiche.
Famiglia Novecento non fa niente di tutto questo. È un libro abbastanza strano, in realtà. Da un certo punto di vista, è difficile non apprezzarlo per quello che è: un'antologia di eventi e fatti disparati, raggruppati sotto l'intestazione generica di "famiglie". È una lettura molto piacevole, dove si trova un gran numero di eventi che avevamo dimenticato, o che non avevamo mai saputo. Ginsborg propone una serie di esempi presi da cinque Paesi nella prima metà del XX secolo: Russia/Unione Sovietica, Italia, Spagna, Impero Ottomano/Turchia e Germania. Perché proprio questi Paesi? Perché hanno subito, più di altri in Europa, cambiamenti di grande rilevanza: la transizione rivoluzionaria dal regime zarista all'era sovietica, inclusi gli anni terribili della guerra civile e poi della collettivizzazione, la transizione dall'era liberale al fascismo per quanto riguarda l'Italia, la guerra civile in Spagna, Weimar e il nazismo in Germania, e in Turchia, per concludere, la fine dell'Impero Ottomano e la rivoluzione guidata da Kemal Atatürk. Al confronto quello che è successo in Francia o in Gran Bretagna può apparire di minore importanza. Ma è proprio così? Le due maggiori democrazie europee non hanno subito cambiamenti di regime e il loro sistema politico è rimasto sostanzialmente immutato nei primi cinquant'anni del XX secolo, ma sono passate per due grandi guerre, con un bilancio di vittime smisurato; sono state devastate dalla spaventosa epidemia di spagnola del 1918, che uccise 250mila persone nel Regno Unito e 400mila in Francia; durante la Seconda guerra mondiale, la Francia fu occupata e la Gran Bretagna bombardata. Andare a guardare l'evoluzione della famiglia in questi due Paesi poteva fornire un interessante elemento di comparazione. Le famiglie inglesi e francesi sono rimaste più stabili di quelle dei Paesi interessati da grandi conflitti politici e militari? I cambiamenti nella struttura della famiglia e nelle relazioni di genere sono influenzati da evoluzioni economiche di lungo termine, molto più che da eventi catastrofici di breve durata come guerre e dittature. Per esempio, negli Stati Uniti l'età media del matrimonio registrò un brusco calo dopo il 1945, quando il Paese fu coinvolto in numerose guerre, ma tutte di importanza relativamente minore rispetto alla Guerra di Secessione e alle due guerre mondiali. Oggi la maggioranza dei primi figli negli Stati Uniti (e in alcuni Paesi europei) nasce prima del matrimonio: un chiaro segnale, con disappunto dei tradizionalisti, che l'era del matrimonio come base per la procreazione forse sta per giungere a termine. Queste recenti evoluzioni sono state causate da fattori economici e culturali, non da guerre e rivoluzioni.
In ogni sezione Ginsborg ci presenta un affascinante schizzo della vita familiare di alcuni personaggi famosi, quindi fornisce una descrizione dei cambiamenti, in alcuni casi realmente rivoluzionari, intervenuti nel diritto di famiglia (divorzio, aborto, legislazione sul matrimonio, uguaglianza: è la parte più interessante); poi accenna alle proposte di riforma dell'istituto familiare, di solito semiutopistiche, e infine propone delle descrizioni (un po' superficiali) di famiglie "vere". Quest'ultima è la parte meno convincente del libro. Non è particolarmente illuminante, per esempio, leggere che nella Russia zarista «nelle campagne le donne venivano "trattate con grande brutalità" da mariti spesso ubriachi», perché ovviamente una cosa del genere non era limitata ai mariti russi. Erano più brutali e ubriaconi dei mariti di Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna? Probabilmente sì, ma quali dati ci sono a supporto? Tra l'altro, nella stessa parte Ginsborg descrive le condizioni di vita terrificanti nelle fabbriche della Russia zarista, dove gli operai, appena emigrati dalle campagne, riuscivano comunque a spedire a casa a moglie e figli una parte dei loro miseri salari: non tutti erano degli alcolizzati insensibili, quindi. E definire come patriarcale la vita familiare in Russia o in Turchia non è certo una rivelazione, considerando che la famiglia patriarcale era un tratto quasi universale e non certo limitato al periodo preso in esame, nei cinque Paesi sconvolti da turbolenze.
L'autore dedica molto più tempo a parlarci delle famiglie "speciali", le famiglie dei personaggi famosi: Lenin, la femminista bolscevica Inessa Armand (l'amante di Lenin), Aleksandra Kollontaj, l'unica donna commissario nel primo Governo rivoluzionario russo, Marinetti e Mussolini, Goebbels e Francisco Franco (un marito migliore di Mussolini, a quanto pare: non che questo ci dica qualcosa di utile sulle differenze tra il suo regime e il fascismo, o sulla "famiglia"), Kemal Atatürk e la famosa nazionalista femminista turca Halide Edib (descrivendo il suo matrimonio infelice e le sue battaglie in favore dell'uguaglianza delle donne), e tanti altri. Ma non ci dà nessuna spiegazione per queste scelte. Perché Marinetti e non D'Annunzio? Perché non c'è nulla sulla contessa Daisy di Robilant, una fascista-femminista fuori dagli schemi, che si batté con un'energia non comune in favore delle donne non sposate. È perché Halide Ebid ci ha lasciato due volumi di memorie piuttosto egocentrici, mentre Daisy no?
La parte sui cambiamenti del diritto di famiglia è prevalentemente descrittiva, con in aggiunta un commento, che va da una misurata approvazione (come per le riforme realizzate in Unione Sovietica e in Turchia) a una condanna esplicita (Italia e Germania). Ma il compito dello storico è spiegare, non dire «questo è buono, questo no». È chiaro che nella nostra ottica contemporanea le riforme "migliori" sono quelle che facilitano il progresso verso una maggiore uguaglianza tra uomini e donne, una maggiore facilità di divorzio e un approccio laico al matrimonio: la conseguenza è che le riforme realizzate in Unione Sovietica e nella Turchia di Atatürk sono più "moderne" di quelle realizzate in Italia o in Spagna, dove, con il Concordato nel primo caso e la vittoria di Franco nel secondo, la Chiesa incrementò il suo potere.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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