martedì 15 ottobre 2013

Una biografia di Camus


Virgil Tanase: Albert Camus. Una vita per la verità, Castelvecchi, pagg. 284, euro 22

Risvolto
Albert Camus, lo scrittore e il filosofo, l'uomo che scelse la rivolta invece della rivoluzione, continua a parlare ai lettori di oggi con la stessa dolorosa consapevolezza con cui visse e parlò ai suoi contemporanei. La necessità e l'attualità del suo pensiero traggono forza dal radicarsi in un percorso esistenziale intenso, dalla nascita, cento anni fa, in un quartiere povero di Algeri, fino alla morte improvvisa, accanto al suo editore Michel Gallimard, in un incidente stradale nel 1960. Portatore di un umanesimo antidogmatico e solidale, Camus riconobbe presto la deriva totalitaria del comunismo, abbracciò criticamente l'anarchia e la sua denuncia non semplificatoria della questione coloniale venne facilmente travisata. Virgil Tanase, scrittore e drammaturgo romeno naturalizzato francese, dedica un'attenzione partecipe all'indipendenza delle sue prese di posizione pubbliche, scelte che subordinavano la politica al primato dell'etica, che gli procurarono attacchi da tutti i fronti e che si dimostrarono influenti e profetiche. Accanto alla genealogia delle opere maggiori - da "L'uomo in rivolta" a "Lo straniero" a "La peste" - Tanase si concentra sul rapporto di Camus con il teatro, non limitandosi ai testi, ma cercando di ricostruire la sua attività di regista e, soprattutto, la continua ricerca di progetti capaci di rispondere ai suoi interrogativi. 


Negli anni '50 prefigurava l'invasione dei migranti in Europa. Accusando l'Occidente d'aver smarrito le proprie radici 
Marcello Veneziani - il Giornale Lun, 14/10/2013

Camus, cent’anni da maneggiare con prudenza
Una nuova biografia indaga lo scrittore e i suoi tormenti, mentre in Francia una mostra
lo celebra evitando gli aspetti più problematici
di Paola Dècina Lombardi La Stampa 20.10.13 da Spogli
qui


Un uomo in rivolta contro la doppia verità del socialismo reale
Una biografia celebra, a 100 anni dalla nascita, un intellettuale mai organico. Nel nome del primato dell’etica sulla politica
7 nov 2013 Libero MARIO BERNARDI GUARDI

Rendere omaggio ad Albert Camus, a cento anni dalla nascita (7 novembre 1913), significa raccontarne la coraggiosa testimonianza di intellettuale impegnato ma disorganico. Come vien fuori dal profilo biografico ( Albert Camus. Una vita per la verità, Castelvecchi, pp. 284, euro 22) tracciato da Virgil Tanase, che, se dà spazio alla tumultuosa vita privata dello scrittore franco-algerino (tante donne, non pochi i danni), dedica particolare attenzione alle sue scelte pubbliche. Sempre scomode, visto che, all’insegna della giustizia e della libertà, subordinavano la politica al primato dell’etica.
Inclassificabile
Una vera e propria dichiarazione di guerra ai conformisti di tutte le chiese. A partire da quella comunista, che lo scomunicò nel 1937. Camus esasperava gli avversari e più che mai i “compagni”. Era come se facesse sua la carta di identità che Mersault, il protagonista dello Straniero, sbatte in faccia ai giudici che lo condanneranno a morte. «Non sono dei vostri», dichiara. Ha ucciso un arabo per errore, ma non si difende e quello che dice conferma la sua scandalosa eccentricità. Un alieno, un mostro. Uno che non crede a quanto per gli altri è articolo di fede. Appunto, uno “straniero” che difende il suo status di proscritto, non sa che farsene del conforto del prete e tranquillamente sale sul patibolo.
Camus è, come il suo antieroe, un individualista e un impolitico. Ma rifiuta il nichilismo e si apre all’umanità. Mettendola in guardia. Perché, finita la Seconda guerra mondiale, non sono finiti gli orrori. Tra questi c’è il socialismo reale. La cortina di ferro e fumo della oppressione-mistificazione marxista, eretta con la complicità di tanti intellettuali, tra cui il suo ex amico Sartre (i rapporti si rompono nel 1952), non può occultare la verità. E cioè che un’ideologia messianica come il comunismo ha partorito burocrazie oppressive e sanguinosi universi concentrazionari dove l’uomo libero è spogliato dalla sua dignità e poi annientato. La sfida non è accettare il patibolo con gelida indifferenza, alla Mersault, ma ribellarsi contro tutti i patiboli.
Camus non è certo tenero con le democrazie occidentali, ma ha già individuato nella menzogna comunista il nemico principale. Se ne è reso conto nel 1937, quando dopo 12 anni di militanza attiva all’insegna di un fervido anticolonialismo, è stato espulso dal Partito perché ne ha denunciato la deriva stalinista, il cupo dogmatismo e soprattutto l’ipocrita criterio della «doppia verità». Insomma, o sei al servizio dei servi di Stalin o sei bollato come nemico di classe. Per i comunisti, i libertari lo sono. Al pari dei reazionari, peggio dei reazionari. E L’uomo in rivolta, il saggio che Camus pubblica nel 1952, è, per i rossi alla Sartre, «un libro settario, il cui obbiettivo è sviare le masse dalla loro vocazione rivoluzionaria». Con l’aggravante dello «stile eccellente»: infatti, «l’arte letteraria occulta deliberatamente la vocazione reazionaria del testo». Per gli inquisitori sinistri il libro meritava il rogo. E il suo autore meritava il gran disdegno di tutto il mondo progressista, in ogni possibile variante cromatica.
Camus non se ne curava. Aveva messo tutto in conto. A partire dalla calunnia e dalla emarginazione. E altro ancora poteva capitargli. Lo sapeva, ma andava avanti. La verità è un dovere, la sfida un obbligo morale.
È quanto viene fuori anche dal Calendario della libertà a cura di Alessandro Bresolin ( Castelvecchi, pp. 110, euro 13,50), un’antologia che raccoglie svariati materiali di Camus (articoli, interviste, interventi pubblici ecc.) tra il 1939 e il 1956. Anni cruciali: di formazione, di trasformazione, di militanza senza più contrassegni di partito, in cui lo scrittore riflette su quel che è avvenuto in Spagna, si interroga dinnanzi all’immane conflitto in cui precipitano l’Europa e il mondo, dibatte intorno alla questione algerina, parte all’attacco dell’imperialismo sovietico, definisce il ruolo dell’intellettuale come l’atto di coraggio e di responsabilità di chi deve tener sempre la coscienza desta, mai eludendo scelte difficili e aspri confronti con la realtà.
Lancia in resta
Da leggere anche il bel saggio Né vittime né carnefici che Camus pubblicò nel 1946 su Combate che viene riproposto da una casa editrice libertaria come Elèuthera, insieme ad altri interventi, col titolo suggestivo di Mi rivolto, dunque siamo (a cura di Vittorio Giacopini, pp. 120, euro 12). Camus è perché si rivolta. Nel senso che, scelta la libertà, spezza le catene e insorge. Partendo lancia in resta contro tutti gli storicismi che, in nome del bene futuro e della futura liberazione umana, finiscono per legittimare regimi dove si incarcera, si tortura, si uccide. Col consenso degli intellettuali progressisti, ciechi e servi.

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