martedì 26 novembre 2013

Il revisionismo storico italiano e il rimpianto per un fascismo che non seppe essere americano fino in fondo


Il rimpianto è del recensore, non dell'autore [SGA].

Lucio Villari: America amara. Storie e miti a stelle e strisce, Salerno editrice

Risvolto
I legami tra l’Europa e gli Stati uniti sono antichi e complessi: dobbiamo molto a un paese che, non senza contraddizioni, ha inventato un modello di democrazia e un concetto nuovo delle libertà politiche e sociali, e ha partecipato generosamente a due guerre europee anche in nome di questi valori. Politica, letteratura, musica, cinema: un mondo vitale e attivo che continua a esercitare un fascino particolare che non può essere semplificato in adesione ideologica o in altrettanto semplice rifiuto politico. Evoluzione del capitalismo, situazione politica ed economica – dalla grande crisi del 1929 al New Deal di Roosevelt al maccartismo agli scandali bancari e finanziari alla presidenza Obama – questa “America” si ripropone come un rinnovato e piú aperto modello di Stato sociale. Lucio Villari rilegge alcune pagine della storia degli Stati uniti tra passato e presente, con l’intenzione di identificare alcuni nodi essenziali del suo formarsi come nazione, del suo appartenere alle radici culturali dell’Europa, ma anche del suo negarsi a esse rinnovandosi e inventandosi come un mondo nuovo. L’autore si sofferma sul rapporto tra l’Italia e gli Stati uniti. un’“america” vissuta come sogno, come terra promessa, con speranze talvolta infrante. Il “sogno americano” ha influenzato la nostra cultura, la letteratura, l’arte, l’economia, il costume. 

Quell’amicizia finita male tra Mussolini e Roosevelt
I forti motivi di sintonia tra il fascismo e il New Deal
di Paolo Mieli Corriere 26.11.13



Quando il New Deal voleva imitare il modello dell’Iri
23 mar 2014 Libero MAURIZIO STEFANINI

«In questo 10 giugno, la mano che teneva il pugnale l’ha affondato nella schiena del suo vicino», fu il commento di Franklin Delano Roosevelt alla decisione di Mussolini di dichiarare guerra alla Francia, il 10 giugno 1940. «Sinistra figura» e «nella storia non si è mai vistounpopoloretto da un paralitico», furono alcune delle risposte del Duce. Eppure, all’inizio del suo mandato vi era stata tra idueuna curiosa attrazione reciproca, cui Lucio Villari ha dedicato molte pagine del suo recente America amara. Storie e miti a stelle e strisce ( Salerno, pp. 118, euro 9,90).
Un capitolo in particolare s’intitola «Mussolini scrive a Roosevelt», e si riferisce a una lettera di cui proprio Villari nel 2000 scoprì l’esistenza: «L’unica lettera che Mussolini abbia inviato al presidente americano ed è un messaggio privato e riservato con toni di grande cordialità». Spedita il 24 aprile 1933, esattamente nel cinquantesimo dei primi Cento giorni che segnarono l’esordio del New Deal, scritta in un inglese con qualche imprecisione e firmata «sinceramente vostro Mussolini», rispondeva alla «richiesta di avere uno scambio di idee sui problemi economici e politici del mondo ai quali gli Stati Uniti e l’Italia sono reciprocamente interessati», attraverso l’invio a Washington come suo rappresentante del ministro delle Finanze Guido Jung.
Jung era stato incaricato di informare Roosevelt «con quando grande interesse» il leader del fascismo stesse «seguendo il lavoro del Governo degli Stati Uniti». Inoltre portava il dono di riproduzioni di codici di Virgilio e Orazio conservati alla Biblioteca Laurenziana di Firenze. Il 7 luglio successivo Mussolini avrebbe pubblicato per l’agenzia Usa Universal Service un articolo intitolato «Roosevelt e il sistema», in cui, riferendosi al libro appena pubblicato dal presidente Looking Forwardse osservando come «molti si sono domandati, in America e in Europa, quanto “fascismo” ci sia nella dottrina e nella pratica del Presidente Americano», aveva espresso ammirazione per il modo in cui Roosevelt si era liberato «dai dogmi del liberalismo economico».
Non risultano risposte a quella lettera. Ma il fatto che a sua volta il New Deal fosse interessato al modello Iri è dimostrato dal viaggio in Europa che Rexford Tugwell, sottosegretario all’Agricoltura di Roosevelt e in pratica ideologo dello stesso New Deal, fece nel 1934 proprio per confrontarsi con le varie risposte che stavano venendo date alla crisi. Nel diario che tenne, a sua volta oggetto di un altro capitolo del libro di Villari, si riferisce di un suo discorso all’Istituto internazionale di agricoltura di Roma e anche di un colloquio con Mussolini. «La sua forza e l’intelligenza sono evidenti, come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana. È il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso». Un’invidia su cui peraltro un’altra annotazione getta un’ombra un tantino inquietante. «Trovo che l’Italia sta facendo molte cose che mi sembrano necessarie. E aogni modosi sta ricostruendo materialmente in maniera sistematica. Qui la brava gente si preoccupa del bilancio, eccetera. Certo Mussolini ha gli stessi oppositori di F. D. Roosevelt. Ma ha il controllo della stampa, per cui non possono urlargli menzogne ogni giorno». Insomma, l’ideologo di Roosevelt rimpiange di non avere anche lui un Miniculpop e la possibilità di mandare i rompiscatole al confino!      

Nessun commento: