
John Steinbeck:
Furore, nuova traduzione di S.C. Perroni, Bompiani
Risvolto
Pietra miliare della letteratura americana, Furore è un romanzo mitico,
pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in
Italia da Valentino Bompiani l’anno seguente. Il libro fu perseguitato
dalla censura fascista e solo ora, dopo più di 70 anni, vede la luce la
prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio
Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition
dell’opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e
la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962.
Nell’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua
terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come
migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera
nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è
sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria
“come un marchio d’infamia”. Al tempo stesso romanzo di viaggio e
ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, Furore è
forse il più americano dei classici americani, da leggere oggi per la
prima volta in tutta la sua bellezza.
Esce dopo più di 70 anni da quella di Carlo Coardi
La Stampa 12/11/2013 - libri
Il vero FuroreEcco il capolavoro di Steinbeck per la prima volta senza censure Sforbiciato dal fascismo il romanzo simbolo della Grande Depressione non era mai uscito in versione integraledi Simonetta Fiori Repubblica 9.11.13
È
considerato uno dei più bei romanzi del Novecento, ma in Italia ancora
non lo conosciamo. Per settant’anni abbiamo letto un altro libro
pensando che si trattasse diFurore, il capolavoro di John Steinbeck,
l’opera che gli valse un Nobel e un mito lungo un paio di generazioni,
oltre che una famosa canzone di Springsteen. L’odissea di Tom Joad e
famiglia, ovvero l’esodo biblico dei contadini dell’Oklahoma rimasti
senza terra e senza casa nell’America della Grande Depressione. Finora
l’abbiamo letto in una versione tagliata che ne stravolge lo spirito e
lo stile. Una riscrittura segnata da alterazioni, rimaneggiamenti e
diluizioni che fa dire all’attuale traduttore Sergio Claudio Perroni:
«Nella vecchia traduzione di Coardi non c’è traccia dell’originale di
Steinbeck». Un epitaffio, che però appare sorretto da prove
inoppugnabili.
Da oggi, dunque, chi non ha letto The Grapes of
Wrathin lingua originale potrà ritrovarne la forza espressiva nella
nuova edizione Bompiani curata da Luigi Sampietro, con la bella
traduzione di Perroni che ha lavorato sui diversi registri del testo
reintegrandone le pagine tagliate. Ma resta il caso clamoroso di una
censura culturale lunga sette decenni, cominciata con la prima uscita
diFurorein Italia, nel gennaio del 1940, XVIII anno dell’era fascista, e
interrotta solo oggi. È anche la storia paradossale d’un testo che fin
da principio fu accolto in modo ambivalente. Il suo debutto italiano
contribuì ad alimentare quel mito americano che strappava un’intera
generazione dalla palude autarchica voluta Mussolini. Il quale però
acconsentì alla prima edizione Bompiani diFuroreperché funzionale alla
battaglia contro le «demoplutocrazie » borghesi. Finché nel luglio del
1942 il ministero della Cultura Popolare respinse una nuova ristampa
dell’opera, «essendo il contenuto incompatibile con le nostre idee».
Anche i censori incamicia nera erano arrivati a percepirne la forza
d’urto. E tutto questo nonostante la cloroformia sparsa dal traduttore
Coardi.
E qui arriva l’aspetto clamoroso del caso Furore. Proprio
quell’edizione italiana che allora fece scalpore, indignando Prezzolini
per il linguaggio scurrile o facendo innamorare Vittorini per il
«mistero dell’uomo», era di fatto molto lontana dall’originale di
Steinbeck. E tale è rimasta fino a oggi. Una versione, quella resa da
Coardi, che non solo annacqua l’incisività del parlato in un giro di
frase tipico della prosa d’arte, ma arriva a sopprimerne i contenuti più
dirompenti. Un intervento censorio di carattere moralistico più che
direttamente politico, anche se poi l’addomesticamento complessivo
risponde al conformismo dell’epoca. «I tagli», ci dice Perroni, «sono
dettati da remore cattoliche nei confronti della spiritualità anomala di
Steinbeck. Non è un caso che la figura più manipolata sia quella di Jim
Casy, le cui iniziali sono le stesse di Jesus Christ. È una splendida
figura di profeta malgré soi che esprime un mix tra animismo e
panteismo, che poi è lo spirito alla base di tutto il romanzo». Anche i
riferimenti sconci vengono sforbiciati, ma solo se accostati a una
figura religiosa. Nella prosa prudente di Coardi sparisce il sesso del
predicatore («Pa’ sarà contento di vederti. Diceva sempre che avevi
l’uccello troppo lungo per fare il predicatore» si traduce in un più
pudico «Il babbo vi vedrà volentieri»). E quando Jim Casy dialoga con se
stesso, «thescrewing» («scopate») diventa «una malattia ». «Tra
l’altro», interviene Perroni, «nell’originale ci sono pochissime
parolacce. E l’accusa di romanzo osceno può trovare un appiglio quasi
esclusivamente nell’immagine finale della ragazza che allatta il
moribondo». A un certo punto salta anche una pagina sugli effetti
sciagurati prodotti da una lunga carcerazione: non può essere letta come
la censura di un regime che in galera ci spediva i dissenzienti? «Può
essere. Ma qui come altrove il taglio è ispirato da una sorta di ritorno
all’ordine, principio informatore di tutto il lavoro di traduzione.
Come se, più in generale, si volesse edulcorare lo spirito di ribellione
ai soprusi».
I taccuini di Perroni sono pieni di annotazioni
critiche. Tagli cospicui senza motivo apparente. Ribaltamenti di senso o
incomprensione del testo. Riscritture con assurde dilatazioni, «rese
ancora più incomprensibili dal fatto che i tagli dell’originale
avrebbero dovuto ridurre la foliazione». Libere interpretazioni con
sistematica distruzione del timbro biblico- retorico («Sarete ladri se
tenterete di restare, sarete assassini se ucciderete per restare»
diventa un elaborato «Non capite che, se v’ostinate a restare,
contravvenite alla legge sulla proprietà, e che se fate uso delle armi
siete dei delinquenti?»). In questo pasticcio di “straduzione” è
difficile trovare una ratio,se non un dubbio espresso da Anna Tagliavini
in un documentato saggio suFurore: forse Coardi – che probabilmente è
solo uno pseudonimo – non capiva bene l’inglese? Non tutti tra gli
americanisti di quella generazione avevano dimestichezza con la lingua.
Ma l’insipienza non basta a spiegare il taglio più clamoroso, la pagina
dell’ultimo dialogo con “ Ma’ ” che ha fatto di Tom Joad un mito
dell’antagonismo («Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto.
Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare, io sarò là. Dove c’è
uno sbirro che picchia, io sarò là...»). Zac. Sparito. Eppure Bruce
Spreengsteen ci avrebbe costruito sopraThe ghost of Tom Joad («Now Tom
said “Mom, wherever there’s a cop beatin’a guy//... Look for me mom I’ll
be there”...»). Ma noi non ce ne siamo mai accorti.
1 commento:
Non vedo l'ora di leggerlo...
Posta un commento