venerdì 13 dicembre 2013

Un seminario su Foucault

San­dro Chi­gnola e Pier­paolo Cesa­roni (a cura di): La forza del vero. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de France (19781-1984), ombré corte, pp. 180, euro 15

Risvolto
L'ultima fase della ricerca teorica e filosofica di Michel Foucault inaugura un cantiere "greco" e tardoantico. L'archivio di testi sui quali egli lavora è fatto di scritture filosofiche maggiori (Platone, Aristotele, la tragedia) e solo apparentemente minori (gli stoici, i cinici). Per molti dei suoi interlocutori di allora, questa scelta apparve un ripiego o un fallimento: l'elaborazione della sconfitta politica del progetto complessivo di Foucault. Questi Corsi, la cui edizione è tutt'ora in corso, vanno invece valutati per quello che sono: il più avanzato laboratorio di una ricerca teorica e politica che - nelle parole dello stesso Foucault - non ha mai avuto ad oggetto il potere, quanto piuttosto i dispositivi di produzione della soggettività.

Contributi di Pierpaolo Cesaroni, Sandro Chignola, Frédéric Gros, Gaetano Rametta, Judith Revel e Paolo Slongo. 

Quello scarto etico dall’ossessione del potere.
Gli ultimi corsi del filosofo francese riletti alla luce delle tensione collettiva tesa a produrre nuove relazioni sociali 
Girolamo De Michele, il Manifesto 12.12.2013 


In un’intervista del 1981 Michel Fou­cault diceva: «il pro­blema non è quello di sco­prire in sé la verità del pro­prio sesso, ma di usare la ses­sua­lità per arri­vare a una mol­te­pli­cità di rela­zioni. Si tratta di chie­dersi quali rela­zioni pos­sono essere isti­tuite, inven­tate, mol­ti­pli­cate, modu­late attra­verso l’omosessualità». Que­sto divenire-omosessuale esprime bene la dire­zione verso cui, negli ultimi tre anni della pro­pria atti­vità, Fou­cault aveva orien­tato la ricerca. Non sor­prende, dun­que, che in que­sta tor­sione Fou­cault abbia dis­so­dato il ter­reno della tarda anti­chità, dedi­cando gli ultimi tre corso al mondo greco-romano: non cer­cando nella verità degli anti­chi il senso del pre­sente, ma pian­tando il con­cetto di par­rhe­sia, di «par­lar franco» nel cuore del tempo pre­sente.
Su que­sti ultimi anni del filo­sofo fran­cese giunge ora in libre­ria, come esito di una ricerca col­let­tiva, La forza del vero (ombré corte, pp. 180, euro 15), curato da San­dro Chi­gnola e Pier­paolo Cesa­roni, con saggi, oltre che dei cura­tori, di Fré­dé­ric Gros, Gae­tano Rametta, Paolo Slongo e Judith Revel. Appare chiaro, leg­gendo que­sti inter­venti, come l’analitica fou­caul­tiana cer­chi di libe­rarsi dall’«ossessione del potere» per ana­liz­zare «il sistema di mosse, stra­te­gie e tat­ti­che attra­verso le quali la force du vrai con­nota il con­tin­gente sistema di pra­ti­che per mezzo delle quali viene pro­dotta e gover­nata, anche sul lato del sin­golo, una fun­zione di sog­get­ti­vità inte­gral­mente assoggettata». 
Sfug­genti e opachi 

Si tratta insomma «non più di sco­prire quello che siamo, ma di rifiu­tare ciò che siamo»: que­sto il com­pito etico che com­porta l’assunzione della «forza» della verità. Basti pen­sare alla defi­ni­zione (tratta da Poli­bio) di demo­cra­zia come forma poli­tica fon­data sulla com­pre­senza di ise­go­ria (pari dignità per tutti i par­te­ci­panti al gioco demo­cra­tico) e par­rhe­sia, e alla sua let­tura (pro­ble­ma­tiz­zata da Rametta) come cri­te­rio diri­mente per il pieno eser­ci­zio alla cit­ta­di­nanza in un con­te­sto come quello attuale nel quale, come ricorda Chi­gnola, sovra­nità, rap­pre­sen­tanza e costi­tu­zione sono sem­pre più mar­gi­na­liz­zate «a favore di una cre­scita degli isti­tuti e dei corpi ammi­ni­stra­tivi» attra­verso i quali lo Stato «cala i pro­pri dispo­si­tivi di rego­la­zione» in un ambiente che non può che essere «sfug­gente e opaco», poi­ché solo a poste­riori, dopo averne valu­tato gli effetti in ter­mini di effi­cienza, ne sarà deter­mi­nata la legit­ti­mità.
In que­sto can­tiere di ricerca i mate­riali di Fou­cault pos­sono essere dispo­sti secondo il duplice punto di vista dei pro­cessi di sog­get­ti­va­zione e dell’etica del lavoro intel­let­tuale. Si tratta non solo di eser­ci­tare quella filo­so­fia ana­li­tica del potere che descrive i pro­cessi di gover­nance, «ma anche, e soprat­tutto, met­tere in evi­denza i pro­cessi di sog­get­ti­va­zione e di con­ti­nua tras-formazione che il potere incro­cia nell’atto del suo eser­ci­zio». Lo stu­dio di pro­ce­dure e isti­tu­zioni, disci­pline e appa­rati di gover­na­men­ta­lità com­porta anche la sco­perta di come il sog­getto, a sua volta, è capace di attuare stra­te­gia di desog­get­ti­va­zione e governo di sé: accanto, a lato, con­tro le tec­ni­che disci­pli­nari, ci sono le tec­ni­che del sé che per­met­tono ai sog­getti «di effet­tuare da sé un certo numero di ope­ra­zioni sui pro­pri corpi, animé, pen­sieri, con­dotte, in modo da pro­durre in essi una modi­fi­ca­zione, una tra­sfor­ma­zione».
La «sco­perta» del mondo antico e tar­doan­tico signi­fica pro­prio que­sto: uno scarto etico cen­trato sulle diverse decli­na­zioni della par­rhe­sia, del discorso che non enun­cia la verità come qual­cosa di ogget­tivo e pre-giudizievole, ma che ha la forza etica di ren­dere pos­si­bile un discorso vero. Non una strut­tura epi­ste­mo­lo­gica che ha la pre­tesa di «dire la verità sul sog­getto» – «un dispie­ga­mento di verità che àncora il sog­getto alla fun­zione che lo costi­tui­sce come tale», come ad esem­pio «la verità del libe­ra­li­smo àncora il sog­getto al suo sta­tuto di sog­getto libero che si muove sul mer­cato» (Cesa­roni), ma un’indagine sul modo in cui «il sog­getto, per ren­dersi mani­fe­sta­zione della verità, deve modi­fi­care se stesso, deve tra­sfor­marsi, deve dive­nire altro da ciò che è usual­mente». Non si tratta di discorsi astratti dalla ruvida sostanza delle cose: nel par­lare delle dif­fe­renti tec­ni­che ale­tur­gi­che, Fou­cault parla anche delle lotte che si anda­vano svi­lup­pando negli anni Set­tanta e Ottanta del Nove­cento. Lotte «tra­sver­sali», «imme­diate», cioè rivolte a obiet­tivi con­creti e imme­diati, ma soprat­tutto lotte che «met­tono in que­stione lo sta­tuto dell’individuo». E al tempo stesso, nell’ultimo corso sul dire franco dei Cinici, parla di uno «stile di mili­tanza» che rin­via al mili­tan­ti­smo gau­chi­ste, che «deve mani­fe­stare diret­ta­mente, nella sua forma visi­bile, nella sua pra­tica costante e nella sua esi­stenza imme­diata, la pos­si­bi­lità con­creta e il palese valore di un’altra vita»: una mili­tanza «nel mondo e con­tro il mondo», «che ha la pre­tesa di cam­biare il mondo». Il che com­porta un «ritorno» di Fou­cault alla filo­so­fia: per arti­co­lare una strut­tura etica da assu­mere come discorso che strut­tura il sog­getto che lo enun­cia, che non recide «il nodo poli­tico del rap­porto di governo, ma piut­to­sto vuole ren­derlo insta­bile e “problematico”». 
Una deci­fra­zione del sé 

In que­sta arti­co­la­zione Fou­cault inter­seca Mon­tai­gne, come mostra Slongo: sul ter­reno comune con Mon­tai­gne – che resta tutt’ora da esplo­rare – emerge l’esistenza di una linea di demar­ca­zione «tra una cono­scenza volta alla pra­tica di sé», che com­porta una con­ti­nua «tras-formazione» del sog­getto, e «una cono­scenza di sé fun­zio­nante come una deci­fra­zione di sé», come lavoro di scavo alla ricerca delle verità nasco­ste, dei pic­coli segreti spor­chi da por­tare alla luce e con­fes­sare. Ma forse, diceva Fou­cault in con­clu­sione delle sue con­fe­renze Sull’origine dell’ermeneutica del sé, «il pro­blema che riguarda il sé non è sco­prire cosa esso sia nella sua posi­ti­vità. Forse il pro­blema, oggi, è cam­biare que­ste tec­no­lo­gie. In que­sto caso, uno dei prin­ci­pali pro­blemi poli­tici dei nostri giorni sarebbe, alla let­tera, la poli­tica di noi stessi».

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