domenica 12 gennaio 2014
Gillo Dorfles
Come Klee , oltre Klee: Dorfles pittore zen
Un percorso filosofico nel cuore del Novecento E l’«Immaginario» contro l’«incubo della ragione»
di Arturo Carlo Quintavalle Corriere 12.1.14
Al primo piano della Fondazione Marconi un gruppo di grandi opere
dipinte a metà degli anni Novanta da Gillo Dorfles si impone subito per
la forza dell’impianto, per la novità della scrittura, ma anche per la
misteriosa, concentrata figurazione. I titoli, intriganti, sono fuori di
ogni tradizione: L’orecchio di Dio , Crisalide gialla , Simbiosi di
esseri , Metamorfosi di piante , Custodire l’intervallo ; a questi si
aggiunge un dipinto senza titolo: Verde.
Simbiosi di esseri e Verde sembrano voler insistere su un medesimo tema,
la vitalità della crescita, ritagli ameboidi che racchiudono forme
spermatiche, figure nella tradizione di Paul Klee piuttosto che di Mirò
ma con dentro altro che, a prima vista, non si comprende. In Crisalide
gialla la matrice sono ancora le ricerche kleeiane fra primo e secondo
decennio, ed ecco le forme della crescita, dell’eterna rinascita, la
forza dei neri e dei gialli che ritroviamo in L’orecchio di Dio , quasi
una dilatata maschera del teatro kabuki dove il numero demoniaco «666»
anima lo spazio denso di segni.
Chiave per capire questo gruppo di opere è Custodire l’intervallo : qui
una figura, animale o vegetale che sia, colori arancio e rosato e
bianco, domina lo spazio rettangolare secondo un ritmo largo: qui
proprio l’intervallo, il silenzio, il tempo della composizione è la
chiave per capire. Spiega Dorfles: «Silenzio come cessazione del rumore,
del suono, d’ogni attività esplicita, ma anche silenzio come presenza
di qualcosa che non è definibile… silenzio come pausa, come intervallo
fra due suoni, due parole: una pausa nella quale sia possibile attingere
alle ancora inespresse forze creative» (1988). Ecco dunque il rapporto
fra il colore, la grafia, lo spazio mentale di queste forme di lunga
durata nella storia del pittore.
Dorfles è stato un protagonista dell’arte europea dal 1948 in poi ma la
sua novità, la sua dirompente distanza dai compagni di strada non è mai
stata valutata appieno, salvo in tempi recentissimi (Sansone). Se si
ripercorrono gli scritti che raccontano delle sue origini triestine,
dunque mitteleuropee, e si vedono i suoi primi dipinti, persino i pochi
degli anni Trenta legati alla teosofia, e poi quelli fondamentali del
decennio del Mac (Movimento arte concreta) fra 1948 e 1958, si scopre la
distanza dalle geometrie di Max Bill e ancora le ricerche da Veronesi a
Soldati a Munari. Dorfles così spiega le sue scelte: «Mi ha sempre
interessato un’arte intelligente. Per dare un prototipo di quest’arte
direi Klee, l’artista che ho amato di più. Né Picasso né Mondrian.
Piuttosto Mirò, insomma artisti che mostrassero, oltre alla qualità
pittorica, un’intelligenza teorica» (1989).
Le parole di Dorfles ci fanno capire altre opere in mostra: una carta
del 1992, quasi un’ameba sconvolta rosa e verde su fondo blu; un nucleo
bianco con filamenti rossi e verdi del 1993; e poi Gran cornuto (2004) e
Il giocoliere (2006) o Il fustigatore (2007) che evocano quel mondo di
maschere, personaggi, burattini e, alla fine, di angoscianti angeli
della morte che Klee inventava alla fine.
Nel comporre gli spazi, gli intervalli quasi musicali nelle proprie
opere Dorfles propone un modello di lettura, quella che lui stesso
suggeriva per i dipinti di Mirò. Dunque «abolizione dell’elemento
simmetrico», quindi «ricerca del vuoto», poi «colore timbrico»,
«bidimensionalità», «creazione di un alfabetario di segni privilegiati»,
«aspetto grafico decorativo del lettering », «personaggi fantastici e
decisa ricerca dell’asimmetrico e del ritmico» (1981). In mostra altri
dipinti rispondono a queste scelte: Due simbionti , Doppia visione ,
Nucleo centrale , Circonvoluzione , Simmetria sconfitta , Strega marina ,
Bleu vincente . Dorfles questo suo nuovo racconto lo ha inventato nel
decennio del Mac, l’Informale e la Pop gli hanno fatto lasciare ai
margini per quasi vent’anni la pittura, poi, dagli anni Ottanta, ecco il
grande ritorno: opere chiave nella storia dell’arte europea, discorso
diverso da quello surrealista, diverso dall’astrazione geometrica,
insomma una ricercata sintesi fra mondo organico e processi percettivi
delle culture in Occidente e in Oriente. Ma dove nascono questi nuovi
dipinti? Non dalla psicoanalisi freudiana, ma da una distinta
consapevolezza della psicologia della Gestalt intesa come trasformazione
della forma e del senso dei segni nel tempo, dunque del loro mutevole
valore simbolico studiato da Carl Gustav Jung in Simboli della
trasformazione (1912).
Sarebbe però sbagliato chiudere Dorfles in questo recinto, per lui il
senso del silenzio, diciamo da John Cage in qua, è momento determinante
dell’esperienza dell’arte che deve cercare il «recupero dell’Immaginario
in un’epoca come la nostra che vive spesso sotto l’incubo della
ragione» perché «da sempre (è) il pensiero simbolico, mitico, quello
capace di svelare all’uomo le maggiori e più complesse situazioni
dell’esistenza» (1986) sia nella creatività artistica che scientifica.
Dorfles, con la sua pittura, propone una dimensione filosofica diversa,
quella dell’asimmetria contro la simmetria, quella della lunga durata
contro il consumo delle immagini, ed è la riflessione zen quella che
traspare nelle sue figure, è la scoperta del tempo lungo della
meditazione, la scoperta dell’intervallo, della visione appiattita non
prospettica, e poi la evocazione dell’ambiguità delle forme vegetali,
animali, seminali. La novità di queste pitture sta nella loro
organicità; certo, la loro matrice va indietro fino ai primi disegni
degli anni Trenta, ma adesso le opere sono dense di nuove
consapevolezze. Dorfles è consapevole della qualità della propria
ricerca. Così, in un’intervista del 2003: «Guarda che se ho una modesta
opinione di me come critico, nell’ambito della pittura mi sento a un
livello altissimo... queste opere sono soltanto mie e… di conseguenza,
rappresentano qualcosa di unico». La mostra va meditata lentamente,
aprendo un nuovo dialogo con il più alto protagonista di una nuova arte
«organica» intesa come ponte fra Oriente e Occidente.
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