lunedì 13 gennaio 2014
I compiti dello Stato: Fidia lo scultore e Pericle "keynesiano"
Massimiliano Papini: Fidia. L’uomo che scolpì gli dei, Laterza, pagine 296, € 19
Risvolto
«Venne il dio sulla terra dal cielo a mostrarti l’effigie, o tu andasti a
mirarlo, Fidia, in cielo». Questo si diceva del colosso di Zeus a
Olimpia, una delle sette meraviglie del mondo, opera di Fidia,
insuperabile nel rappresentare la maestà e la bellezza degli dei.
Peccato che l’unica testimonianza personale rimasta dello scultore sia
un piccolo vaso a Olimpia con l’iscrizione parlante: «Io sono di Fidia».
E le tante statue in oro e avorio, in bronzo e in marmo, che fine hanno
fatto? Tutte scomparse. E tutte le nuove opere sull’acropoli di Atene,
«realizzate in breve tempo per durare a lungo», furono veramente sotto
la sua sovrintendenza? Anche il sodalizio con Pericle, inscindibile per
gli autori antichi, quanto fu vero? E dov’è la sua mano nella
decorazione del Partenone? Lì di certo Fidia realizzò una magnifica
statua in avorio con 1.000 chili d’oro che costò più del tempio: l’Atena
Parthénos. Ma non tutto filò liscio. Le invidie all’interno
della bottega e la voglia degli oppositori di Pericle di testare il
giudizio del popolo sullo statista per interposta persona portarono a
sospetti e accuse. Anche altri nella cerchia di Pericle, come la bella
etera Aspasia e il filosofo Anassagora, furono presi di mira, ma senza
troppe conseguenze. Per Fidia, no, il processo non finì bene.
Il primo Stato keynesiano fu l’Atene di Pericle e Fidia
di Luciano Canfora Corriere 12.1.14
S’intitola Fidia. L’uomo che scolpì gli dei (Laterza, pagine 296, € 19)
il libro che Massimiliano Papini ha dedicato al grande scultore e
architetto greco. Nato e vissuto ad Atene nel V secolo a.C., quando la
vita della città era dominata dalla figura carismatica di Pericle,
Fidia fu tra l’altro sovrintendente ai lavori per il grandioso tempio
dedicato alla dea Atena, il Partenone, e ne seguì la decorazione
scultorea fino al 438 a.C. Secondo diverse fonti, fu vittima delle lotte
politiche e in particolare delle trame di ambienti ostili a Pericle
Un’epoca turbolenta Alle vicende della più importante città della
Grecia nel V secolo a.C. Luciano Canfora ha dedicato diversi saggi, tra
cui La guerra civile ateniese (Rizzoli, pagine 395, € 19) e Il mondo di
Atene (Laterza, 2012). Altri due libri recenti su quel periodo sono Come
si abbatte una democrazia di Cinzia Bearzot (Laterza, pagine 222, € 18)
e Demokratía di Domenico Musti (Laterza, pagine 440, € 20). Da
segnalare anche: Peter Funke, Atene nell’epoca classica (Il Mulino,
2001); Gabriella Poma, Le istituzioni politiche della Grecia in età
classica (Il Mulino, 2003)
Che lo «Stato sociale» sia un peso lo pensano soprattutto coloro che non
hanno problemi economici. Essi predicano, con calore e convinzione, la
virtù. Va da sé che lo Stato sociale è costoso. E infatti coloro che se
la passano bene temono sempre che, in un modo o nell’altro, il peso di
esso ricada sulle loro spalle. Di qui la loro costante esortazione
all’altrui virtù e l’ostilità che essi sempre manifestano verso i
politici che dallo Stato sociale traggono forza e consenso.
L’archetipo occidentale dello Stato sociale fu l’Atene di Pericle, fatte
salve beninteso le differenti misure e proporzioni. Roosevelt,
figura-simbolo dello Stato sociale nella prima metà del Novecento, non
ne ebbe forse sentore, ma subì, per molti aspetti, contraccolpi e
ottenne successi analoghi rispetto a quelli che toccarono
all’aristocratico ateniese alla metà del V secolo a.C. L’ostilità di cui
Pericle fu bersaglio ci è nota soprattutto grazie alla Vita di lui
scritta da Plutarco sulla base di buone fonti che colmano egregiamente
la distanza tra Pericle e l’età di Nerva e Traiano (in cui Plutarco
visse e scrisse le Vite parallele ). La massa di informazioni allarmanti
su Pericle che Plutarco riesce a mettere insieme — le insinuazioni
sulla sua vita privata, i processi contro i suoi migliori collaboratori e
in primis contro Fidia, vero cervello della sua politica urbanistica e
di lavori pubblici, gli attacchi velenosi dei comici etc. — non deve
portarci fuori strada. Sul piano della comprensione storica, il fatto
principale è che Pericle è riuscito a farsi rieleggere stratego per
decenni e decenni consecutivamente. Ciò significa che affrontava ogni
anno la campagna elettorale e ogni anno la vinceva. Il che non era certo
fatica da poco con un elettorato così politicizzato e volubile. Non si
riflette a sufficienza sulle implicazioni concrete di questo fatto
macroscopico. Dunque il consenso (fino all’incauta decisione di entrare
in guerra nel 431 a.C.) non gli è mai mancato. (Anche lui, come
Roosevelt, ha dovuto faticare per convincere i concittadini della
necessità di entrare in quella guerra, ma è morto troppo presto per
poter vedere gli effetti di tale scelta).
Come si consolidava un tale ininterrotto consenso? La grande politica di
lavori pubblici gli consentiva di assicurare lavoro e salario a molti.
Né mancava, nel meccanismo della «democrazia» ateniese il modo di far
gravare, al tempo stesso, il peso di tante spese per la città (feste,
teatro, arsenali, navi: le cosiddette «liturgie») sui ricchi. Scrisse
nei primi anni di Weimar un notevole storico berlinese, allora
comunista, Arthur Rosenberg, che i ricchi erano, all’interno del
«sistema Atene», la «mucca da spremere». Non espropriare, dunque, ma
costringere la ricchezza (la quale di solito, diceva Benjamin Constant,
«si nasconde e fugge» e perciò è «più forte del governo») a farsi
piegare per usi sociali.
Al centro della politica sociale-urbanistica di Pericle c’è un uomo la
cui biografia largamente ci sfugge: Fidia. Massimiliano Papini, per
Laterza, ne ha tentato un ritratto: Fidia. L’uomo che scolpì gli dei .
Diamo la parola a Plutarco (Vita di Pericle ): «Tali opere — edifici
ecc. — comportavano lavori di ogni genere e suscitavano le più svariate
necessità: stimolando tutte le arti, mobilitando ogni mano, davano
occupazione retribuita a tutta la città, la quale si trovava perciò
nella condizione di mantenersi e al tempo stesso abbellirsi. (…) Pericle
propose al popolo grandi progetti di costruzioni e disegni di opere la
cui esecuzione richiedeva tecniche e tempi lunghi. Ogni arte radunava
sotto di sé, come un generale il proprio esercito, una massa di manovali
e lavoratori non specializzati che servivano quali membra e strumenti.
Così le diverse necessità di lavoro distribuivano e diffondevano il
benessere in tutta la popolazione. Gli edifici sorgevano dovunque,
magnifici nella loro grandiosità, e inimitabili per bellezza perché gli
artigiani facevano a gara per superarsi l’un l’altro. Si era creduto che
ciascun edificio sarebbe giunto a compimento solo con l’opera di
parecchie generazioni e invece furono tutti terminati al culmine di un
solo governo. (…) Da questi monumenti emana come una perenne giovinezza
che li preserva dal logorio del tempo. Direttore e sovrintendente dei
lavori per incarico di Pericle fu Fidia, anche se ciascuna costruzione
ebbe propri e grandi architetti. Callicrate ed Ictino ad esempio
lavorarono al Partenone». E segue un’ampia esemplificazione di monumenti
e rispettivi direttori dei lavori.
Pericle, amico del filosofo Anassagora e della audace Aspasia, etèra di
Mileto, non era certo un bigotto. Ciò non gli impedì di riuscire a
trasformare in miracolo un infortunio sul lavoro. Un operaio che
lavorava ai Propilei sull’Acropoli cadde dall’impalcatura e fu quasi in
fin di vita. Ma Pericle fece sapere che la dea Atena, protettrice della
città, gli era apparsa in sogno e gli aveva dettato la cura. In breve
l’infortunato si riprese. Pericle fece subito innalzare una statua in
bronzo ad «Atena Igea», patrona della salute. Padre Pio non ha inventato
nulla.
La buccia di banana in cui si cercò di far scivolare Pericle fu proprio
il legame con Fidia. Contro di lui furono fatte circolare le più diverse
accuse: per esempio che accogliesse in casa «donne di buona famiglia,
per conto di Pericle». La stessa accusa fu rivolta anche ad Aspasia, dal
comico Ermippo: anche Aspasia, secondo tale accusa, riceveva «donne di
condizione libera per il piacere di Pericle» (Plutarco, capitolo 32).
Ovviamente il doppione insospettisce. Plutarco protesta contro queste
maldicenze, ma ugualmente dà largo spazio a tutto ciò. Un certo Diopite,
di mestiere indovino, cercò di imbastire un processo per empietà contro
Anassagora. Il quale si allontanò da Atene. Un tale Dracontide, che ad
un certo punto fu eletto stratego, pretese la pubblicità dei registri
contabili relativi alle ingenti spese pubbliche.
Ma il colpo più duro, che questa volta andò a segno, fu l’accusa di
furto mossa contro Fidia da un sottoposto del suo stesso atelier.
Secondo costui, che si chiamava Menone, Fidia avrebbe rubato porzioni
dell’oro utilizzato per ricoprire la grande statua di Atena. Il
mostruoso processo si concluse con la condanna, e forse morte in
carcere, di Fidia. Si era alla vigilia della guerra con Sparta, e
qualcuno si spinse a dire che Pericle provocava la guerra per offuscare
l’effetto negativo del processo. La tradizione su questa vicenda è molto
pasticciata: tra l’altro, potrebbe trattarsi di avorio e non di oro
(Pericle fece staccare l’oro dalla statua, lo fece pesare e dimostrò che
non mancava nulla), e il processo potrebbe risalire al 438, non al 432.
Sulla vicenda Papini orienta molto bene, con un’analisi stratigrafica
delle fonti.
Questo libro ha molti meriti. Oltre ad essere il primo tentativo moderno
di costruire una biografia scientifica di Fidia, è anche un bilancio,
ovviamente problematico, sulla effettiva entità dell’opera artistica di
lui. Papini si rende ben conto della centralità politica di Fidia nel
sistema pericleo. E sa anche spiegare al lettore, non di rado
frastornato dalla critica d’arte a carattere estatico-esclamativo, il
senso esatto di quel grande artigianato che fu l’impegno «artistico»
nell’arcaica e fervida Atene del V secolo.
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