mercoledì 15 gennaio 2014

La mobilitazione ideologica degli scienziati durante il Risorgimento


La patria ci vuole eroiUmberto Bottazzini e Pietro Nastasi: La patria ci vuole eroi. Matematici e vita politica nell'Italia del Risorgimento, Zanichelli, pp. 432, e 27

Risvolto

Chi sono gli «eroi» che affollano le pagine di questo libro?
Sono gli uomini di scienza, e in primo luogo i matematici, che nell’arco del lungo Risorgimento sono stati protagonisti della vita politica del nostro paese. Alla guida delle istituzioni nelle «Repubbliche sorelle» nate dalle baionette delle armate di Napoleone; combattenti nelle battaglie del Quarantotto; protagonisti della «rivoluzione», come la chiamò Manzoni, che ha portato all’Unità d’Italia. Matematici come Federico Menabrea, esponente di spicco della Destra cattolica e oltranzista, deciso oppositore di Cavour e primo ministro nello Stato unitario; e come Francesco Brioschi e Luigi Cremona, fieri anticlericali, impegnati nel progetto politico e culturale di portare il nuovo Stato al livello delle più avanzate nazioni europee.
Fondatore del Politecnico e a lungo punto di riferimento della vita politica ed economica milanese, dopo Porta Pia Brioschi è impegnato nel «progetto cosmopolita», come lo chiamò Sella, di fare della nuova capitale la Roma della scienza, dopo quella dei Cesari e dei Papi.
E come lui Cremona, l’amico dei fratelli Cairoli che conclude la sua carriera politica come ministro e vice-presidente del Senato.
Le discussioni sulle questioni vitali del paese che li hanno visti protagonisti in Parlamento, dalla politica doganale all’esercizio della rete ferroviaria, l’autonomia universitaria e la formazione di governi dettati dalle esigenze di bilancio degli «elementi temperati» della Destra e della Sinistra, rivelano una sorprendente attualità.
Le loro figure sono scomparse dai manuali, ma le vicende di questi «eroi» dimenticati invitano a guardare alla recente storia del nostro paese da una prospettiva nuova e originale, finora ignorata dagli storici.



Il Risorgimento degli scienziati patrioti in lotta per l’Italia unita
Ma la politica non valorizzò Brioschi, Cremona e gli altri matematici

di Giulio Giorello Corriere 15.1.14


«Una rivoluzione è una febbre», diceva Carlo Cattaneo del 1848 in Italia. Nella notte del 5 agosto Carlo Alberto di Savoia aveva lasciato Milano, e qualcuno aveva sparato un colpo, mancandolo, al sovrano che fuggiva. Quando si era presentato tra i volontari per l’ultima resistenza, Francesco Brioschi, rampollo di una dinastia milanese d’ingegneri e animato dalla passione per la matematica, così veniva salutato da Garibaldi: «Ecco un giovane che vuol morire con noi». Dopo alcune peripezie, Francesco sarebbe ritornato in una Milano «protetta» dalle baionette austriache. L’ultimo focolaio della «febbre» italiana, Venezia, si sarebbe arreso il 19 agosto 1849. Tra quelli che si ritiravano dalla Laguna, c’era un altro matematico appassionato, Luigi Cremona, che sarebbe tornato in quella stessa Pavia dove Brioschi si era formato. 
Il 22 novembre 1860, ormai laureato e professore di fresca nomina, in una prolusione all’Università di Bologna, Cremona avrebbe invocato la luce della «vastissima scienza che chiamasi geometria superiore» contro gli «irosi pregiudizi» di tutti gli apostoli delle tenebre. L’audacia intellettuale della matematica, il rigore delle dimostrazioni, la duttilità nelle applicazioni, ne fanno la disciplina che sopra tutte è capace di coinvolgere in grandi progetti le risorse intellettuali dei cittadini della nuova Italia. E Francesco Brioschi avrebbe poi dichiarato: «Qui si è compiuta una grande rivoluzione politica, amministrativa, economica». Meno di quarant’anni prima Gabrio Piola, che di Brioschi era stato maestro, aveva ammonito che le scienze non rappresentano un pericolo per la religione o per lo Stato; in particolare, «le matematiche sono innocenti». Però, «tali non sono tutti quelli che le professano»! 
Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi ci raccontano allora, nel loro recentissimo La patria ci vuole eroi (Zanichelli, pp. 432, e 27), la perdita dell’innocenza, grazie al coraggio e alla tenacia di un «pugno di ricercatori». La vicenda si snoda per tutto il lungo Risorgimento, per concludersi coll’Unità. Un mondo nuovo ha bisogno di nuove scuole. Le parole di Brioschi sopra riportate fanno parte della prolusione per la fondazione, a Milano, del Regio Istituto Tecnico superiore che avrebbe diretto fino alla morte (1897). È il nostro Politecnico, primo ateneo nella città di Milano (l’Università degli Studi, infatti, è del 1923). 
Ma il rinnovamento doveva scontrarsi con le ambiguità e i ritardi della politica. Per esempio, lo stesso Brioschi era passato dalle simpatie repubblicane per «Pippo» Mazzini al punto di vista monarchico; e Cremona, in un momento critico dell’ateneo bolognese, avrebbe stigmatizzato come sovversivi i professori mazziniani. Sarebbero state le lungaggini parlamentari e la miopia degli «umanisti» a vanificare le speranze della fase eroica. All’inizio del Novecento Giovan Battista Guccia (creatore del prestigioso Circolo matematico di Palermo, 1884) se la prendeva con la politica, «il microbo che in Italia entra da per tutto e uccide tutto, in particolar modo la scienza». Così scriveva a quello che era uno dei più eminenti matematici d’Italia, Vito Volterra, il quale invece auspicava la collaborazione fra tutte le «energie volonterose» del Paese: se il Politecnico di Brioschi aveva costituito, nel contesto della pubblica istruzione, il corrispondente della rivoluzione politica, a mezzo secolo di distanza Volterra coglieva la portata delle trasformazioni socioeconomiche dovute alla «fonte di ricchezza» scaturita dall’industrializzazione. 
Bottazzini e Nastasi sottolineano la contraddizione dei matematici-patrioti. La politica era stata la forza della loro comunità; ora perfino la capacità di integrarsi con la ricerca europea (emblematico è il viaggio intrapreso già nell’autunno del 1858 da Brioschi, insieme con Felice Casorati e Enrico Betti, per contattare i più insigni matematici francesi e tedeschi) diventava una colpa: l’Italia unita rivendicava una sua peculiarità nazionale, contraria a qualsiasi forma di «esterofilia», mentre l’idea che le svolte del pensiero matematico avrebbero dovuto rinnovare l’intera cultura doveva venir cancellata dalla reazione contro il pensiero tecnico-scientifico, che culminerà nell’opposizione di Croce e Gentile alla fusione fra scienza e filosofia proposta generosamente da un grandissimo matematico come Federigo Enriques. E temo che anche oggi la paura dei «filosofi» nei confronti degli scienziati e dei matematici in particolare non sia affatto venuta meno. Come diceva Cremona: «O giovani felici, svegliatevi e sorgete!». Sarebbe ora. 

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