giovedì 20 febbraio 2014

Walter Benjamin, uno di noi


Cover: Walter Benjamin in HARDCOVER
Un uomo normale, non l'angelo amato dai cultori della corrente calda o dai mistici impolitici.
E dunque il solito stronzo, come tutti [SGA].

Howard Eiland e Michael W. Jennings: Walter Benjamin: a Critical Life, Harvard University Press

Risvolto
Walter Benjamin is one of the twentieth century’s most important intellectuals, and also one of its most elusive. His writings—mosaics incorporating philosophy, literary criticism, Marxist analysis, and a syncretistic theology—defy simple categorization. And his mobile, often improvised existence has proven irresistible to mythologizers. His writing career moved from the brilliant esotericism of his early writings through his emergence as a central voice in Weimar culture and on to the exile years, with its pioneering studies of modern media and the rise of urban commodity capitalism in Paris. That career was played out amid some of the most catastrophic decades of modern European history: the horror of the First World War, the turbulence of the Weimar Republic, and the lengthening shadow of fascism. Now, a major new biography from two of the world’s foremost Benjamin scholars reaches beyond the mosaic and the mythical to present this intriguing figure in full.

L’altra faccia di Benjamin folle per il gioco e le donneIn America una biografia scritta dai curatori delle sue opere svela un profilo dalle molte ombre

di Mario Baudino La Stampa 20.2.14
Il suo angelo della storia continua a contemplare rovine, a influenzare filosofi contemporanei, a costruire il mito di un pensatore spesso più citato che letto, in molti casi santificato. Walter Benjamin è uno dei maestri del Novecento, avvolto dall’aura (aura, insieme a choc, è una delle sue parole chiave) di un mito non certo incontrastato ma per molti versi irresistibile. La morte da intellettuale ebreo in fuga dai nazisti che vede svanire tutte le speranze quando gli spagnoli, nel ’40, lo fermano alla frontiera con la Francia, e si suicida senza poter immaginare che il mattino dopo sarebbe stato rilasciato e accolto come avvenne per tutti i suoi compagni, morte tragica e beffarda, non fa che aggiungere rilevanza anche simbolica al suo nome.

Benjamin ha agito profondamente nel tempo, fino a oggi; è stato certamente un martire, che ha sacrificato tutto alla sua opera, e infine la vita. Ma nello stesso tempo, come accade talvolta alle persone di genio, scontava e rappresentava qualcos’altro, concretamente, nell’esistenza quotidiana. Il Benjamin privato era un uomo devastato e terribile, inaffidabile, persino crudele. Il successo postumo ha spinto questa doppia personalità ai margini estremi della grande luce accesa nel tempo su di lui. Ora due studiosi americani, Howard Eiland e Michael W. Jennings (curatori e traduttori delle sue opere in inglese), l’hanno rimessa a fuoco, assieme a molto altro beninteso, in una biografia uscita per la Harvard University Press: Walter Benjamin: a Critical Life.
Scrivere dell’«uomo invisibile», come lo definì Gershom Scholem, il grande studioso di mistica ebraica che gli fu amico e qualche volta protettore, non è un’impresa facile. I due autori non puntano però al Benjamin segreto, e tanto meno vogliono distruggerlo attraverso i fatti della vita. Al contrario, la loro ammirazione per il filosofo è indiscussa. Semplicemente mettono insieme in una nuova cornice un puzzle di frammenti in parte noti, e soprattutto non nascondono nulla. Il risultato è quello di un ritratto per molti aspetti nuovo, persino sconcertante: quello di un narcisista assoluto, e passi; ma anche un giocatore, compulsivo, schiavo del tavolo verde – non solo teorico del gioco –, uno che nella vita quotidiana barava spesso, un padre come si dice nei romanzi piuttosto snaturato, un compagno inaffidabile.
Molto del materiale viene dalle lettere che Dora Kellner, la prima moglie (sposata nel 1917) scrive proprio a Scholem, a partire da una tumultuosa separazione, e per diversi anni. Nel ’18 era nato il figlio Stefan, quando la coppia viveva a Berna, nel ’24 il matrimonio entrò in crisi durante un lungo soggiorno a Capri, quando il filosofo conobbe Asja Lacis, rivoluzionaria lettone, che lo indusse ad avvicinarsi al marxismo. Se ne innamorò, e fin qui, si direbbe, tutto suona abbastanza normale. Esplode però un groviglio di sentimenti, egoismi, debolezze; una sorta di devastazione psichica. Il Benjamin che emerge dalla lettere di Dora non è lo studioso gentile, indifeso, ferito, che la memoria ha tramandato fino a noi. Sa mentire, e soprattutto sa essere spietato. In una lettera del ’29 la moglie lo descrive come «tutto cervello e sesso – il resto ha smesso di funzionare» .
Spuntano, come in ogni affare di famiglia, sordidi problemi di denaro. «Non ha mai messo un soldo da parte per Stefan o per me; e ora mi chiede di prestargli metà della mia futura eredità, quella che mi verrà da mia zia». Forse Dora, ferita, esacerbata, esagera. Forse il suo livore è eccessivo. Ma ha tenuto i conti, e li presenta con una certa determinazione. «Quest’inverno ha vissuto con me quattro mesi, mi è costato un sacco e non ha mai messo, di suo, un soldo. Mentre spendeva e spandeva con Asja». È solo insofferenza di un ménage a tre considerato inaccettabile da una almeno delle parti in causa? «Negli ultimi otto anni ci siamo restituiti, di comune accordo, la nostra libertà. Mi diceva tutto dei suoi loschi affari, e anzi mi invitata a “trovarmi un amico”. Negli ultimi sei abbiamo vissuto separati. E ora mi accusa!».
In quel momento, il filosofo era alla disperata ricerca di denaro, e non andava per il sottile. Perso il sostegno economico della ricca famiglia berlinese da cui proveniva, chiedeva prestiti un po’ a tutti. I due biografi ritengono che uno dei motivi fossero pesanti debiti di gioco: i suoi averi, salvo una piccola parte impiegata nell’acquisto di libri rari, finivano inevitabilmente sui tavoli verdi. Dora forse esagera. Né ha pietà per il marito dal punto di vista intellettuale. Lo considera una sorta di truffatore, per esempio nel rapporto col sionismo, caro a Scholem. Benjamin lo sostiene, sì, ma solo quando gli fa comodo, visto che per lui «la patria è il posto dove uno può spendere i propri soldi». Il filosofo se ne vergogna invece, col grande amico Franz Hessel e, secondo la moglie, perfino «con le ragazzine che Hessel gli presenta durante le pause dell’amore con Asja». Hessel, com’è noto, insieme con la moglie Helen Grund ha ispirato il romanzo autobiografico di Henri-Pierre Roché da cui Truffaut ha tratto il film Jules et Jim. La storia di un celebre triangolo amoroso. Ma in quel caso, almeno, di un triangolo felice.

Walter Benjamin (1892-1940) Una vita vissuta nel dettaglio
Un'ottima biografia del pensatore tedesco uscita negli Stati Uniti, il Paese che più di tutti ha alimentato l'interesse per luidi Nicola Gardini Il Sole Domenica 11.1.15
Chi è Walter Benjamin? Foucaultianamente lo si potrebbe definire un "auteur", cioè uno che ha messo in circolazione idee e modelli culturali, "discours", e che sarebbe sbagliato identificare con un individuo biologico, uno come Freud e Marx, insomma, o, certo, lo stesso Foucault, o il nostro Gramsci. E questo è tanto vero che certi manco sanno pronunciare il suo nome, come se appunto lo si identificasse più propriamente con quello che ha lasciato detto, e neanche tutto, qualche formula memorabile, come «l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica» e «il compito del traduttore», che di Benjamin, comunque si pronunci, hanno fatto un'icona della modernità e un mostro sacro dei "graduate studies".
La domanda, però, andrebbe posta anche al passato, perché non c'è "discours" senza mente e la mente ha le sue occasioni storiche, ricercate o prodotte dalle circostanze. Dunque, chi era Benjamin? Ebreo assimilato, amico di Adorno, di Scholem e di Hannah Arendt, nacque e visse lunghi anni a Berlino, cercò alternative alla metropoli a Capri e a Ibiza, finì esule a Parigi per sfuggire al nazismo e morì suicida nel 1940 in un paesino della Spagna, dalla quale sperava di prendere la via dell'America. Si uccise per paura di essere rispedito in bocca al nemico, e il giorno dopo i suoi compagni poterono varcare il confine e mettersi in salvo. Il suo corpo non si sa bene dove sia finito, e neanche il cruciale manoscritto che pare si portasse dietro durante l'ultima fuga.
Dedicò la sua vita alla critica, mischiando teologia e marxismo, filosofia e storia, teorie del linguaggio e poesia, e si occupò da pioniere di cultura mediatica. L'opera scritta è vastissima. Eccelse nel saggio e nella recensione, ma compose anche poesie, racconti di viaggio e resoconti autobiografici, in particolare uno, Infanzia berlinese, un piccolo capolavoro. Tradusse Baudelaire e Proust. La varietà dei suoi temi è impressionante: il giocattolo, il romanzo giallo, la letteratura francese e non solo, il dramma barocco tedesco, l'arte di Klee, la radio, la fotografia, la droga, Parigi... Su tutto mostrava uguale competenza, e tutto nelle sue mani si benjaminizzava, acquistando valore e densità, fino ad apparire complesso, a risaltare sul comune fondo di una cultura sempre più conformista, cui il suo stile teso e spesso difficile si contrapponeva di per sé con forza di oggetto inconquistabile. Lavorava contemporaneamente a più progetti, e il progetto è certamente la sua "forma" più tipica. I suoi capolavori sono libri mai compiuti, come quello sui passages di Parigi, di cui resta un monumentale abbozzo. Vista dall'alto, tanta opera disegna un paesaggio di approssimazioni, che non sono fallimenti, ma esempi di una nuova rinnovante vitalità e bellezza.
Benjamin insegna a guardare dove l'occhio e l'attenzione meno si provano, a riconoscere la salvezza di una totalità nel residuo, a trasmettere nonostante, anzi proprio in virtù della decurtazione e della costrizione. L'aneddoto vale per la storia; la traduzione per una lingua assoluta e comune. Quello che sembra perdita è sopravvivenza, nel dettaglio di una fotografia sta depositato un tempo.
Quando morì, pochi conoscevano il genio dell'uomo e l'importanza delle sue riflessioni. Oggi esiste una vera e propria industria benjaminiana.
Quasi tutto è edito e pubblicato in numerose lingue. In Italia Benjamin lo conosciamo soprattutto grazie all'editore Einaudi, che da decenni mette a disposizione i saggi fondamentali (ultimamente anche altri si sono dati da fare per averlo in catalogo, da Adelphi a Castelvecchi, che da poco ha pubblicato le trasmissioni radiofoniche). Ma della fortuna internazionale di Benjamin è principalmente responsabile l'America. E dall'America quest'anno è arrivata anche la biografia che mancava: Walter Benjamin. A Critical Life, uscita per Harvard University Press (da noi uscirà per Einaudi). Gli autori sono Howard Eiland e Michael W. Jennings, che per lo stesso editore curano anche le traduzioni dell'opera.
Questa biografia è un capolavoro. Schivando con eleganza qualunque mitologizzazione, ricostruisce passo passo il formarsi dell'opera e i movimenti, la personalità, i rapporti e le ambizioni del personaggio. Molte delle quasi settecento pagine complessive sono dedicate all'illustrazione del pensiero, mettendo in luce nessi tra momenti anche distanti. Il dosaggio tra cronaca, cronologia, commento e documentazione è perfetto.
Il racconto procede vario e sicuro, con chiarezza esemplare, senza gergalità, senza ingorgarsi di citazioni, con fede così integrale al rigore delle premesse filologiche che a lettura ultimata ci si sente consolati. Non era facile, dati i tanti piani dell'indagine.
Ma i piani qui si incastrano tutti a meraviglia, e se qualche fessura rimane, non si ricorre certo al sensazionalismo, al romanzesco, all'illazione psicanalitica, alla smorfia lirica, al giudizio morale, all'ingrandimento bozzettistico o all'osanna per riempirla.
Gli autori, d'altronde, non cedono mai neppure ad alcuna noiosa cautela, non sanno cos'è la freddezza, perché muovono da una conoscenza completa dei materiali e delle fonti (anche inedite, come certe splendide lettere) e dalla semplice consapevolezza di avere a che fare con uno degli intellettuali più alti del secolo passato. Il Benjamin che ci ridanno è il pensatore appassionato, lo scrittore dalle più scritture, il critico della modernità, ma anche il campione della più ermetica riservatezza, l'amico di molti talenti, l'uomo dall'andatura impacciata, l'amante quasi immateriale, il marito difficile, "el miserable", come venne soprannominato a Ibiza dalla gente per la sua aria infelice e malandata. Se un tema accomuna i momenti di una vita così fervida e inquieta sia mentalmente sia geograficamente è proprio il bisogno; e la depressione, le fantasie suicide, che finirono per vincere su qualunque ipotesi di futuro.
Howard Eiland e Michael W. Jennings, Walter Benjamin. A Critical Life, Harvard University Press, pagg. 768, $ 39,95

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