venerdì 28 marzo 2014

Anche Gianni De Michelis era un gigante se confrontato alla classe politica attuale


Mi piace ricordarlo nel pieno della sua vitalità politica, danzante come il fanciullo di Nietzsche. E' la nostalgia per tempi che rimpiangiamo non solo per la nostra giovinezza personale, ma anche per la spensieratezza di un paese nel quale si stava ancora bene.
Qualche notte fa mi è capitato di sognare Onofrio Pirrotta. Non sto scherzando [SGA].

Gianni De Michelis: La lezione della storia. Sul futuro dell'Italia e le prospettive dell'Europa, Marsilio 

Risvolto

Oggi come non mai è necessario guardare con disincanto alle dinamiche del passato, europeo e mondiale, per poter leggere con nuove lenti il futuro. Gianni De Michelis, quarant'anni di attività politica e un'importante esperienza da ministro degli Esteri coincidente con uno dei momenti più difficili del '900, ha tentato di farlo, con schiettezza e profondità d'intenti in questo libro. Frutto di un intenso lavoro di dialogo e di confronto su vari temi con il giornalista Francesco Kostner, il volume presenta una visione d'insieme per rispondere agli interrogativi sempre più pressanti sul destino del paese, per elaborare considerazioni e collegamenti tra una fase e l'altra delle dinamiche storiche mondiali. Partendo da alcuni passaggi decisivi - la fine della Guerra Fredda e degli equilibri ad essa collegati, rivissuta attraverso i suoi ricordi da protagonista, il cambiamento geopolitico seguito all'11 settembre 2001 e quello economico-finanziario, con la crisi ancora in corso -, Gianni De Michelis traccia un percorso di rilettura degli eventi. Ma non si limita a questo delineando soluzioni e proposte concrete per gli anni a venire: è necessario che le élite, ma anche le opinioni pubbliche, e in particolare le giovani generazioni, scelgano la strada del compromesso, l'unica possibile per evitare il rischio di un nuovo terribile, devastante conflitto planetario. Prefazione di Michele Valensise. 




Le occasioni perdute del nuovo ordine mondiale 
Saggi. «La lezione della storia» di Gianni De Michelis per Marsilio editore. Uno sguardo inquieto sul presente, ma anche una rilettura critica delle scelte compiute dopo l’Ottantanove. L’Unione europea mostra una incapacità politica di muoversi in un realtà geopolitica in rapida trasformazione Gian Paolo Calchi Novati , il Manifesto 28.3.2014 



Di fronte al rigore di un’analisi come que­sta di Gianni De Miche­lis, mini­stro degli Esteri dal 1989 al 1992, sarebbe istrut­tivo con­tare le parole e le frasi che Mat­teo Renzi ha dedi­cato ai temi inter­na­zio­nali nel recente discorso d’investitura in par­la­mento (La lezione della sto­ria. Sul futuro dell’Italia e le pro­spet­tive dell’Europa di Gianni De Miche­lis, con Fran­ce­sco Kost­ner, Mar­si­lio, pp. 254, euro 16). Lasciando da parte l’Europa, trat­tata del resto come un guar­diano o un inter­lo­cu­tore per la poli­tica eco­no­mica interna e mai come un sog­getto di poli­tica sulla scena glo­bale, al più ci sarà stato un accenno ai marò per strap­pare all’aula un applauso a buon mer­cato. Si potrebbe par­tire da recri­mi­na­zioni tipo tem­pora e mores, ma lo scarto fra De Miche­lis e Renzi riflette un degrado del discorso, inver­sa­mente pro­por­zio­nale all’importanza dei pro­blemi mon­diali, che va al di là dei sin­goli. De Miche­lis direbbe che si fatica a cogliere il muta­mento di paradigma. 
Dopo la guerra fredda 

Il libro di De Miche­lis parla di Ita­lia e di Europa sullo sfondo del mondo e della sto­ria del mondo. I para­me­tri sono per­sino troppo vasti, ben oltre le sua spe­cia­liz­za­zione di poli­tico e stu­dioso di poli­tica inter­na­zio­nale, per­ché ven­gono coin­volte disci­pline come la demo­gra­fia, l’antropologia, le finanze, la socio­lo­gia. Anche a giu­di­care dalla biblio­gra­fia, comun­que, lo appas­siona soprat­tutto la poli­to­lo­gia. Una mag­giore pre­di­spo­si­zione per la sto­ria lo por­te­rebbe a pri­vi­le­giare l’unicità dei fatti e delle dina­mi­che, come dall’insegnamento di Brau­del, più che la ripe­ti­bi­lità delle situa­zioni. In ogni modo, gra­zie all’esperienza per­so­nale e alla com­pe­tenza, e per­ché no all’ambizione, la sua let­tura delle crisi che si sono suc­ce­dute dal 1989 a oggi spicca nel pano­rama gri­gia­stro a cui si riduce da noi il cosid­detto dibat­tito di poli­tica estera se si fa astra­zione dalle sedi depu­tate come Ispi, Iai, Aspe­nia e Ipalmo, di cui lo stesso De Miche­lis tiene da qual­che anno la presidenza. 

Il focus è sulla fine della guerra fredda e il sistema che ne è seguito. Senza for­zare qui un’interpretazione che natu­ral­mente è com­plessa e a più facce, De Miche­lis dà agli Usa quello che è degli Usa ma ritiene che alla fine i pre­si­denti che si sono suc­ce­duti alla Casa Bianca non hanno sod­di­sfatto la respon­sa­bi­lità somma della potenze ege­mone di costruire quel «nuovo ordine mon­diale» che Bush senior annun­ciò orgo­glio­sa­mente davanti al col­lasso del nemico storico. 

Ci sono intui­zioni bril­lanti, omis­sioni e con­trad­di­zioni. Se è vero che l’Europa è chia­mata dalla sto­ria e dalla geo­gra­fia a fare le sue scelte cru­ciali verso Est (la Rus­sia) e verso Sud (l’area arabo-islamica), ci si aspet­te­rebbe più fair play sui «diritti» e per­sino gli «inte­ressi» delle con­tro­parti. Impu­tare a Bush senior l’errore di non aver ordi­nato alle forze armate ame­ri­cane (nomi­nal­mente dell’Onu) di entrare a Bagh­dad in quei giorni fati­dici del 1991 signi­fica in sostanza auspi­care che il pas­sag­gio al dopo-guerra fredda si tra­du­cesse ipso facto in un over­kil­ling dell’Urss, di quel poco o tanto di orgo­glio rima­sto agli arabi, delle Nazioni Unite e della lega­lità. Per coe­renza infatti Gianni De Miche­lis si spinge fino a defi­nire «neces­sa­ria» una guerra – l’invasione anglo-americana dell’Iraq nel 2003 – che tutti ormai vituperano. 

In chia­ro­scuro è anche la rico­stru­zione dell’allargamento di Europa e Nato in Europa fino ai con­fini della Rus­sia. L’ultimo scotto di una poli­tica che ha alter­nato ope­ra­zioni che ogget­ti­va­mente hanno favo­rito la sta­bi­lità e vere e pro­prie pro­vo­ca­zioni è la crisi in Ucraina. A giu­di­care dalla ria­per­tura in atto di una seconda o terza guerra fredda, con tanto di rie­vo­ca­zione di un Est e di un Ovest di dif­fi­cile conio dopo la sostan­ziale affer­ma­zione del mer­cato ovun­que, vien da pen­sare che la nar­ra­zione che De Miche­lis fa sia degli eventi sia delle ten­denze che deri­vano da que­gli eventi abbia perso per strada qual­che pas­sag­gio deci­sivo. La realtà sem­bra dire che dopo aver scon­fitto l’Urss la Nato – o quell’Occidente che secondo De Miche­lis come con­cetto sarebbe finito per sem­pre da un pezzo – si pro­ponga di distrug­gere o «con­te­nere» la Rus­sia quasi settant’anni dopo Ken­nan e non già, come imma­gina De Miche­lis, di ele­varla a part­ner nella gestione del sistema. 
Mio­pia sulla Jugoslavia 

Forse De Miche­lis avrebbe potuto essere meno elu­sivo sullo sfa­celo della Jugo­sla­via. Non bastano quelle due pagi­nette per cer­ti­fi­care come sia fal­lito il sal­va­tag­gio dell’unità della crea­tura di Tito mal­grado la Qua­dran­go­lare ideata dallo stesso De Miche­lis pro­prio per evi­tare il peg­gio. Michele Valen­sise rico­no­sce nella pre­fa­zione il flop dell’Europa: sic­come Valen­sise è un pezzo grosso della Far­ne­sina, diplo­ma­ti­ca­mente scrive che l’Europa perse «un’occasione pre­ziosa». Sem­bra di capire che Milo­se­vic avesse capito meglio del mini­stro De Miche­lis che il croato Mesic non avrebbe arre­stato la serie di seces­sioni. Forze potenti mira­vano alla dis­so­lu­zione della Jugo­sla­via. De Miche­lis, che fu in qual­che modo l’ideatore di una com­po­nente centro-orientale nella poli­tica euro­pea dell’Italia, soprav­va­lutò la pos­si­bi­lità che una pre­si­denza croata riu­scisse a sedare lo scon­tro in atto fra pic­coli e grandi? O soprav­va­lutò se stesso e il ruolo effet­tivo dell’Italia? 

L’errore potrebbe tro­varsi in un refrain che ritorna spesso nel libro (e nella poli­tica estera dell’Italia): la con­vin­zione che la nostra cre­di­bi­lità a livello inter­na­zio­nale non stia nell’elaborare una poli­tica ma nel man­dare qual­che aereo e un po’ di sol­dati quando i nostro alleati senza con­sul­tarci pas­sano dalla poli­tica alla guerra.

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