sabato 22 marzo 2014
Ex consigliori di Bertinotti, oggi garante di Tachipirinas per conto di Repubblica, spiega come distruggere anche ciò che rimane della sinistra
Tecnocrati, populismi, disuguaglianze: radiografia dell’Occidente malato nella nuova uscita “iLibra”, oggi con Repubblica
intervista di Paolo Griseri Repubblica 22.3.14
È uno degli intellettuali italiani più irriverenti nei confronti
della sinistra. Nel 1996 scrisse Le due destre per segnalare il rischio
che, chiuso il Novecento fordista, la sinistra italiana si consegnasse
al dominio ideologico delle tecnocrazie liberali europee. Erano gli anni
di Tangentopoli e dell’Ulivo. Oggi, in pieno postfordismo, Marco
Revelli propone la Post- Sinistra, da questa mattina in edicola,
libreria e in ebook per la nuova collana “i Libra” di Repubblica e
Laterza.
Revelli, che cosa resta oggi della sinistra?
«Resta ben
poco. Perché resta molto poco della politica, della capacità di offrire
un’alternativa razionale a quello che è sempre stato definito l’ordine
naturale delle cose, l’immutabile susseguirsi di scelte che privilegiano
una piccola parte della società a scapito di una maggioranza
subalterna».
Politica e sinistra sono dunque sinonimi?
«Nell’Occidente
capitalista è così. La destra non propone di mettere regole
all’economia e al sistema sociale. Al contrario, propone di toglierle:
non si fa carico di una proposta organica di società ma si limita a
suggerire le ricette ideali perché sia il libero mercato con i suoi
istinti a plasmare la realtà».
Dunque dire che non c’è più la politica, significa dire che ha vinto la destra?
«In
un certo senso è così. Non ha vinto una destra politica in senso
stretto, ma hanno vinto i tecnocrati che applicano le sue ricette. Mi
colpì molto, un anno fa, la considerazione che fece il neogovernatore
della Bce, Mario Draghi, all’indomani del controverso risultato
elettorale alle politiche italiane. Eravamo effettivamente in una
situazione di stallo, aperta a tutti gli esiti possibili. Draghi
commentò: “Non c’è da preoccuparsi in modo particolare. Chiunque alla
fine governerà, sulle grandi scelte c’è un pilota automatico che
garantisce la rotta”».
Perché la colpì quella frase?
«Perché
quella frase è la negazione della politica. È come se i passeggeri
spendessero molto tempo a scegliere il pilota per poi scoprire che,
chiunque sia ai comandi, la rotta è già tracciata da altri ».
Chi può oggi invertire la rotta tracciata dai tecnocrati?
«Non
vedo molte possibilità. Il mercato della politica offre poche
alternative credibili. Ci sono diversi populismi che provano non a
invertire la rotta ma a rassicurare (o a aizzare, che è lo stesso) i
passeggeri dell’aereo. Sono tutte quelle proposte che promettono di
tutelare settori particolari della popolazione: difendere gli indigeni
dagli immigrati, i benestanti dall’assalto dei poveri, ma anche i
cittadini dalla casta dei politici».
Per riassumere, dalla Lega a Grillo?
«Con le loro diversità, naturalmente. Ma li ascriverei tutti alla categoria dei populismi».
Poi c’è la sinistra rappresentata dal Pd e, oggi, da Renzi. Qual è il suo giudizio?
«Il
Pd è una forza politica che non ha più nulla a che vedere con la
tradizione della sinistra italiana del Novecento. Renzi è l’ultima
bandiera di un’idea della politica che si fonda sulla personalizzazione e
sull’illusione della cosiddetta ripresa. L’idea cioè che la crisi di
questi anni sia come una malattia che passa e poi tutto torna come
prima. Sappiamo tutti che non sarà così ma ci piace credere che con 85
euro al mese in più in busta paga l’economia riprenderà e passeranno
tutti i problemi».
Eppure non si può certo aspettare che arrivi la
catastrofe per cambiare il mondo. E se la catastrofe non arriva? Siamo
ancora ad aspettare la caduta tendenziale del saggio del profitto...
«Non
si tratta di attendere la catastrofe ma di guardare la realtà. È
evidente che l’attuale situazione non può proseguire a lungo. Un mondo
in cui 85 miliardari possiedono la ricchezza di tre miliardi di persone
non è un mondo che abbia grandi prospettive. Possiamo far finta che non
sia così, possiamo credere che ci sia la luce in fondo al tunnel ma
sappiamo che non è vero».
Un tempo la sinistra aveva proposte di
sviluppo. Modelli alternativi ma realistici per il cambiamento. Oggi non
rischia di proporre solo suggestioni per un mondo che verrà chissà
quando?
«La sinistra si è identificata per molti anni con la
modernità, con una certa idea di ammodernamento del mondo. Ma dopo la
fine del Novecento che cosa è la modernità? Velocità e cemento? Pura
mitologia del fare?»
Nella Post- Sinistra qual è allora il ruolo dell’intellettuale?
«È
quello di segnalare i pericoli di un mondo che procede fiducioso con il
pilota automatico verso la catastrofe. Non è un ruolo semplice. Credo
però che sia utile avere nella società degli anticorpi che non si
rassegnano ad accettare l’ordine di cose esistente e la grande
narrazione che lo giustifica. In fondo, gli anticorpi possono servire
proprio per difendersi dalle malattie. L’intellettuale che fa questo va
preservato perché è una specie di vaccino sociale».
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