Risvolto
Antonio Cassese (1937-2011) non era un lettore qualunque di Kafka, ma un giudice che aveva esperienza del male e che continuava a credere nella legge e nel diritto, pur guardando «con angoscia le forze che si oppongono all’esercizio della giustizia e soprattutto l’istinto di sopraffazione sempre latente e pronto a esplodere in qualsiasi momento della vita e della storia». In questo libro egli apre ai lettori il suo «retrobottega», quel luogo e quel tempo di riposo mentale dalle fatiche quotidiane condiviso con le letture preferite. Da queste letture e dal confronto, continuo e sempre rinnovato, con lo scrittore praghese, costruisce tanti piccoli saggi, riflessioni sulla vita e sulla letteratura, sui mali dell’umanità, da lui così conosciuti per professione, accompagnandoci nei suoi incontri con personaggi veri o ideali. L’uomo e il giudice, lo studioso e il lettore si confondono in queste pagine in cui emerge una vita intera spesa a comprendere l’umanità, nel tentativo di aiutarla a uscire dai suoi mali oscuri. Un percorso intenso e intimo che si chiude con due racconti, «L’isola dei Bianconi» e «Gethsemani», con cui Cassese affronta e spiega la sua ultima battaglia, quella con la malattia.
Antonio Cassese (1937-2011) non era un lettore qualunque di Kafka, ma un giudice che aveva esperienza del male e che continuava a credere nella legge e nel diritto, pur guardando «con angoscia le forze che si oppongono all’esercizio della giustizia e soprattutto l’istinto di sopraffazione sempre latente e pronto a esplodere in qualsiasi momento della vita e della storia». In questo libro egli apre ai lettori il suo «retrobottega», quel luogo e quel tempo di riposo mentale dalle fatiche quotidiane condiviso con le letture preferite. Da queste letture e dal confronto, continuo e sempre rinnovato, con lo scrittore praghese, costruisce tanti piccoli saggi, riflessioni sulla vita e sulla letteratura, sui mali dell’umanità, da lui così conosciuti per professione, accompagnandoci nei suoi incontri con personaggi veri o ideali. L’uomo e il giudice, lo studioso e il lettore si confondono in queste pagine in cui emerge una vita intera spesa a comprendere l’umanità, nel tentativo di aiutarla a uscire dai suoi mali oscuri. Un percorso intenso e intimo che si chiude con due racconti, «L’isola dei Bianconi» e «Gethsemani», con cui Cassese affronta e spiega la sua ultima battaglia, quella con la malattia.
PROCESSO AL SIGNOR K
“Imputato Kafka, lei è buono Io la assolvo dal senso di colpa” Magistrato nelle corti internazionali ed esperto di diritto, Antonio Cassese era anche uno studioso del grande scrittore ceco
Ora i suoi appunti e diari diventano un libro
“Imputato Kafka, lei è buono Io la assolvo dal senso di colpa” Magistrato nelle corti internazionali ed esperto di diritto, Antonio Cassese era anche uno studioso del grande scrittore ceco
Ora i suoi appunti e diari diventano un libro
Antonio Cassese 157 25-03-2014 la repubblica 53
Il giurista che s’affidò alle leggi di Kafka
di Massimiliano Panarari La Stampa TuttoLibri 29.3.14
Una frequentazione assidua e di lunga data, iniziata, quand’era ventenne, sui banchi della Scuola Normale (e forgiata nella lettura delle opere in lingua originale). Antonio Cassese (1937-2011), uno dei massimi giuristi italiani, è stato un appassionato lettore di Franz Kafka, nella cui opera chi esercita il difficilissimo mestiere di operatore del diritto trova anamorfosi profonde della realtà e alcuni quesiti radicali intorno all’idea di giustizia. Come mostra appunto questo libro originale, Kafka è stato con me tutta la vita, nel quale vengono raccolti gli scritti (prevalentemente inediti) che il giurista consacrò lungo gli anni allo scrittore praghese (e che avrebbero dovuto essere prefati dall’amico Antonio Tabucchi); una testimonianza dell’interesse che Cassese nutriva per la letteratura e per le meditazioni etiche che da essa scaturiscono, nonché una chiave d’accesso al suo «”retrobottega” fatto di riposo mentale dalle fatiche del giorno».
È una scrittura potentissima quella kafkiana, come lo sono le tematiche evocate dalle sue storie: sull’una e sulle altre si costruisce il senso di affinità, di sintonia e quasi complicità del giurista italiano con il grande e tormentato letterato di lingua tedesca. Kafka rappresenta un magnete irresistibile per colui che fu presidente del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e primo presidente del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia in virtù del suo interrogarsi (e interrogarci) sull’inafferrabilità della giustizia e della verità, e del suo descrivere così magistralmente la sofferenza e i sentimenti dell’umanità e, in special modo, la dicotomia tra colpa e innocenza, con i suoi drammatici risvolti.
Il corpo a corpo con l’autore de Il processo e de Il castello ci restituisce un Kafka privo di egocentrismo e narcisismo, la problematica relazione con le donne (e con la propria corporeità), e il sofferto rapporto col denaro, oscillante tra un «atteggiamento “ritentivo”», di parsimonia che sconfinava nell’avarizia (ma dal quale emergeva il bisogno di autonomia, innanzitutto rispetto alla famiglia) e la generosità e l’altruismo nei confronti del prossimo su cui Cassese ritorna a più riprese. In uno dei testi pubblicati, il giurista si sofferma sul motivo kafkiano «quasi ossessivo» (e autenticamente polisemico) della finestra, schermo di protezione col quale entrare, in qualche modo, nella realtà senza esserne minacciati e, pertanto, strumento difensivo, ma anche di morte, mediante il suicidio.
C’è, soprattutto, il saggio Del desiderio di aiutare gli altri, cuore della riflessione del giudice e studioso, nel quale, attraverso l’amato scrittore praghese, affronta i conflitti fondamentali e irrisolti tra l’eterno homo biologicus (col suo io istintuale intriso di sopraffazione e violenza) e l’homo societatis civilizzato, e tra la «disciplina» (vale a dire la legge del Padre e il potere) e la «giustizia». Nel volume troviamo infine l’autobiografico racconto «metafisico» L’isola dei Bianconi, aperta metafora della leucemia con la quale si trovò costretto a lottare nell’ultima fase della sua esistenza, allegoria non del male umano (quello in cui tante volte si era imbattuto), ma di quello della natura, ed espressione diretta del suo convincimento di una «superiorità» narrativa del racconto, e del «frammento», rispetto alla forma compiuta e conclusa del romanzo.
Il giurista che s’affidò alle leggi di Kafka
di Massimiliano Panarari La Stampa TuttoLibri 29.3.14
Una frequentazione assidua e di lunga data, iniziata, quand’era ventenne, sui banchi della Scuola Normale (e forgiata nella lettura delle opere in lingua originale). Antonio Cassese (1937-2011), uno dei massimi giuristi italiani, è stato un appassionato lettore di Franz Kafka, nella cui opera chi esercita il difficilissimo mestiere di operatore del diritto trova anamorfosi profonde della realtà e alcuni quesiti radicali intorno all’idea di giustizia. Come mostra appunto questo libro originale, Kafka è stato con me tutta la vita, nel quale vengono raccolti gli scritti (prevalentemente inediti) che il giurista consacrò lungo gli anni allo scrittore praghese (e che avrebbero dovuto essere prefati dall’amico Antonio Tabucchi); una testimonianza dell’interesse che Cassese nutriva per la letteratura e per le meditazioni etiche che da essa scaturiscono, nonché una chiave d’accesso al suo «”retrobottega” fatto di riposo mentale dalle fatiche del giorno».
È una scrittura potentissima quella kafkiana, come lo sono le tematiche evocate dalle sue storie: sull’una e sulle altre si costruisce il senso di affinità, di sintonia e quasi complicità del giurista italiano con il grande e tormentato letterato di lingua tedesca. Kafka rappresenta un magnete irresistibile per colui che fu presidente del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e primo presidente del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia in virtù del suo interrogarsi (e interrogarci) sull’inafferrabilità della giustizia e della verità, e del suo descrivere così magistralmente la sofferenza e i sentimenti dell’umanità e, in special modo, la dicotomia tra colpa e innocenza, con i suoi drammatici risvolti.
Il corpo a corpo con l’autore de Il processo e de Il castello ci restituisce un Kafka privo di egocentrismo e narcisismo, la problematica relazione con le donne (e con la propria corporeità), e il sofferto rapporto col denaro, oscillante tra un «atteggiamento “ritentivo”», di parsimonia che sconfinava nell’avarizia (ma dal quale emergeva il bisogno di autonomia, innanzitutto rispetto alla famiglia) e la generosità e l’altruismo nei confronti del prossimo su cui Cassese ritorna a più riprese. In uno dei testi pubblicati, il giurista si sofferma sul motivo kafkiano «quasi ossessivo» (e autenticamente polisemico) della finestra, schermo di protezione col quale entrare, in qualche modo, nella realtà senza esserne minacciati e, pertanto, strumento difensivo, ma anche di morte, mediante il suicidio.
C’è, soprattutto, il saggio Del desiderio di aiutare gli altri, cuore della riflessione del giudice e studioso, nel quale, attraverso l’amato scrittore praghese, affronta i conflitti fondamentali e irrisolti tra l’eterno homo biologicus (col suo io istintuale intriso di sopraffazione e violenza) e l’homo societatis civilizzato, e tra la «disciplina» (vale a dire la legge del Padre e il potere) e la «giustizia». Nel volume troviamo infine l’autobiografico racconto «metafisico» L’isola dei Bianconi, aperta metafora della leucemia con la quale si trovò costretto a lottare nell’ultima fase della sua esistenza, allegoria non del male umano (quello in cui tante volte si era imbattuto), ma di quello della natura, ed espressione diretta del suo convincimento di una «superiorità» narrativa del racconto, e del «frammento», rispetto alla forma compiuta e conclusa del romanzo.
Nessun commento:
Posta un commento