mercoledì 5 marzo 2014
Influenze bruniane nelle opere di Shakespeare
Shakespeare, il cosmologo
«Questo tempo è scardinato»: Amleto ammicca con la filosofia segreta di Giordano Brun
di Richard Newbury La Stampa TuttoScienze 5.3.14
L’innovazione scientifica nella visione che ha l’umanità del mondo - lo
«spirito del tempo» - di solito è prefigurata nella letteratura,
nell’arte e anche nel teatro. E’ vero per Darwin, Freud ed Einstein. E
così, nel XVI secolo, avvenne con il rifiuto del geocentrismo, e quindi
di una Terra al centro dei cieli, in favore dell’universo eliocentrico
copernicano che marginalizzava la Terra stessa alla periferia di ciò che
iniziava ad apparire come uno spazio senza confini. Una risposta fu il
Dr. Faustus di Christopher Marlowe, ma anche molte opere di Shakespeare
(di cui si celebrerà il 450° anniversario della nascita il 23 aprile)
riflettono, esplorano e drammatizzano questa nuova cosmologia.
«Oh mirabile e ignoto mondo che possiedi abitanti così piacevoli!»,
esclama Miranda alla fine de «La Tempesta». L’opera è ambientata in quel
«Nuovo mondo» dall’altra parte dell’Atlantico, governato da Prospero, a
sua volta ispirato al grande cosmologo e matematico elisabettiano John
Dee. Si tratta di un mondo in transizione dalla magia al metodo
induttivo baconiano e alla scienza empirica, dall’astrologia
all’astronomia. «La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in
noi stessi», fa dire Shakespeare a Cassio nel «Giulio Cesare».
Tra il 1583 e il 1585 Giordano Bruno fu mandato a Londra da Enrico III
di Francia, in qualità di «Elemosiniere» e «Confessore»
dell’ambasciatore francese. In «borghese», essendo l’unico sacerdote
cattolico nella Londra protestante, il Nolano operò come confessore
anche presso l’ambasciata di Spagna e, rivelando i segreti del
confessionale a Walsingham, salvò due volte la regina Elisabetta,
sventando alcuni complotti per assassinarla, e rivelò anche le lettere
con cui la regina di Scozia, Maria Stuarda, firmò la propria condanna a
morte.
Suo compagno di cospirazioni era John Florio, precettore della figlia
dell’ambasciatore, che entrò in contatto diretto con Shakespeare. Un
altro collegamento fu un compagno di scuola di Shakespeare alla «Grammar
School» di Stratford e amico di famiglia, Richard Field, editore delle
opere dello stesso Bruno.
Il Nolano diventò un catalizzatore sia per la Nuova Drammaturgia sia per
la Nuova Scienza in un’epoca caratterizzata da una mistura alchemica di
magia e matematica, astronomia e astrologia, empirismo e mito, il tutto
fuso nel falso oro della scienza moderna. Bruno, infatti, ispirò la
controcultura copernicana anti-aristotelica e ateista della «School of
Night» di Sir Walter Raleigh.
Ispirò anche Thomas Harriot, «il più grande scienziato prima di Newton»,
l’uomo che per primo ipotizzò un universo infinito, osservando con un
telescopio le stelle e i crateri sulla Luna prima ancora di Galileo.
L’esperimento pratico di Raleigh e di Harriot fu «l’isola di Prospero»
nella Virginia del Nuovo Mondo in piena espansione, mentre l’esperimento
creativo fu proprio il «Dr. Faustus» di Kit Marlowe, un personaggio
chiaramente modellato su Bruno, che frequentò, anche lui, la copernicana
Università di Wittenberg, così come lo stesso Amleto, che sovverte una
corte aristotelica (e anche l’unità drammatica) ], il suo « calmo
spirito» Orazio e poi spie e assassini come Rosencranz e Guildenstern.
Tra il 1593 e il 1594 la peste chiuse i teatri e Shakespeare divenne
famoso a corte e nelle università come «l’Ariosto inglese», molto prima
che qualcuno sapesse che scriveva drammi teatrali, nello stesso periodo
in cui Field pubblicò i suoi poemi best-seller, ironici ed erotici,
«Venere e Adone» e «Il Ratto di Lucrezia».
Il segretario di Stato Lord Burghley aveva messo sia Shakespeare sia
Florio al seguito di un membro della «School of Night», il giovane,
bisex e incredibilmente ricco conte di Southampton, al quale Burghley,
suo tutore, voleva far sposare la nipote. E non a caso Venere che seduce
un riluttante Adone diventò uno degli artifici di Shakespeare. Se
Southampton, che senza dubbio ne era stato sedotto, introdusse
Shakespeare alle usanze di corte, Florio - «il precettore italiano di
quattro regine», compilatore del primo dizionario italiano-inglese e
primo traduttore dei «Saggi» dello scettico Montaigne - diventò suo
amico così intimo da apparire in «Pene d’amor perdute» (titolo mutuato
da Florio, così come «La Tempesta» è influenzata da Montaigne) nei panni
di Oloferne, mentre Bruno è Berowne, il quale dichiara: «Bene, studierò
il modo di conoscere le cose che mi è proibito di sapere».
Così, secondo quanto ipotizzano le ricerche più recenti, nel 1600,
quando il Nolano fu mandato al rogo per le sue idee copernicane,
Shakespeare scrisse un’opera che non raccontava solo l’accidioso
tramonto dell’epoca elisabettiana, ma conteneva anche una cosmologica
«Renovatio» di stampo bruniano. Amleto, d’altra parte, rifiuta
l’universo culturale, politico e cosmologico della visione tolemaica. Se
poi ha difficoltà a passare dal pensiero all’azione, non è perché pensa
troppo, ma perché le sue idee implicano un totale «rinnovamento» che
non può essere portato a compimento da nessuna singola azione o
vendetta. Tutti i personaggi in scena devono rivelare le loro autentiche
qualità. Per Amleto, in particolare, «Questo tempo è scardinato.
Maledetto destino, che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto».
Nel processo di morte (incarnato da Polonio) e di corruzione
(rappresentato dalla tomba) si verificano una continua mutazione e
trasformazione e la conclusione - in stile bruniano - di Amleto è la
seguente: «Se è ora, non sarà dopo; se non deve essere dopo, sarà ora;
se non è ora, comunque sarà. Essere pronti a tutto». Questo è proprio il
multiverso nolano che genera risultati multipli. Come dice Amleto a
Orazio: «Ci sono più cose in cielo e in Terra di quante ne sogni la tua
filosofia».
Traduzione di Carla Reschia
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