Il concorso per prof contestato dal Nobel
di Sergio Rizzo Corriere 26.3.14
Tredici righe e dodici firme. Nobel ed economisti di fama mondiale che
esprimono al ministro dell’Istruzione Giannini e al premier Renzi il
loro sconcerto per i risultati degli esami di abilitazione scientifica
per accedere all’insegnamento accademico di Storia economica. «Ci lascia
perplessi la bocciatura di alcuni candidati con un eccellente
curriculum».
«Esclusi colleghi di valore» Economisti di tutto il mondo contro il
concorso in Italia Lettera di protesta al governo firmata da un Nobel La
lettera che un ministro dell’Istruzione non vorrebbe mai ricevere è
planata sulla scrivania di Stefania Giannini il 21 marzo scorso. Tredici
righe ustionanti: sia per il contenuto che per le dodici firme in fondo
al foglio. Nomi pesantissimi. Dal premio Nobel per l’Economia Douglass
North al professore di storia economica alla London School of Economics,
Stephen Broadberry. Da Jeffrey Williamson, già capo del dipartimento di
Economia ad Harvard, ai docenti della Oxford University Jane Humphries e
Kevin O’Rourke. Dodici autorità mondiali nelle discipline economiche, i
quali manifestano al ministro Giannini, ma anche al premier Matteo
Renzi, cui è stata recapitata la stessa lettera (spedita in copia anche
al presidente dell’Anvur, l’Agenzia di valutazione del sistema
universitario Stefano Fantoni e al direttore generale del ministero
Daniele Livon), sconcerto per i risultati degli esami di abilitazione
scientifica necessari per accedere all’insegnamento accademico di Storia
economica. «Ci lascia perplessi» dicono senza mezzi termini, «la
bocciatura di alcuni candidati con un eccellente curriculum». Il
riferimento è a «tre colleghi di grande valore»: Mark Dincecco della
University of Michigan, Alessandro Nuvolari della Sant’Anna di Pisa e
Giovanni Vecchi dell’Università romana di Tor Vergata. «Costoro»,
scrivono i dodici luminari, «sono ben noti fuori dall’Italia per le loro
pubblicazioni, gli interventi a conferenze e seminari, gli articoli per
importanti riviste e la collaborazione a progetti di ricerca
internazionali». A nessuno di questi, stigmatizzano, «è stato attribuito
il titolo di professore di prima fascia e sarebbe un terribile peccato
se ciò impedisse loro la completa realizzazione dei programmi di
ricerca: la storia economica ne risulterebbe impoverita». Ma non è
finita. Perché i dodici luminari sottolineano un secondo «aspetto
inquietante» dell’esito delle selezioni. Cioè che mentre i tre «colleghi
di grande valore», come sono definiti Dincecco, Nuvolari e Vecchi,
venivano esclusi, a superare l’esame erano «candidati con un curriculum
di ricerca assai limitato in termini di pubblicazioni internazionali». E
questo, conclude la lettera, «non è la direzione verso cui la storia
economica italiana deve andare se vuole garantirsi il posto che le
spetta all’avanguardia della ricerca nel nostro campo».
A Nicola Rossi, ex senatore democratico, animatore dell’Istituto Bruno
Leoni e docente di Economia politica a Tor Vergata, cadono le braccia:
«Con la globalizzazione le competenze e le responsabilità del nostro
sistema universitario sono cambiate radicalmente. Certe cose che forse
un tempo qualcuno poteva ritenere tollerabili, come una caratteristica
tipicamente italiana, oggi sono da considerare del tutto inaccettabili».
Dincecco, che voleva tornare in Italia, resterà quindi in America.
Nuvolari continuerà forse a dirigere il dottorato di ricerca in storia
economica alla sant’Anna di Pisa. Mentre Vecchi ha avuto un’offerta
dalla Spagna.
Su lavoce.info Pierangelo Toninelli, Gianni Toniolo e Vera Zamagni hanno
fatto barba e capelli agli autori della bocciatura. Gli è bastato fare
il conto delle citazioni dei lavori in articoli e pubblicazioni di
ciascun candidato. Arrivando alla conclusione che fra i promossi c’è chi
ha avuto in tutto anche soltanto 10 citazioni, mentre sono stati
considerati «non idonei a ricoprire il ruolo di professore ordinario
studiosi citati 280, 349 e 664 volte». Per Dincecco, Vecchi e Nuvolari
si contano rispettivamente 211, 336 e 661 citazioni. Numeri superiori a
quelli degli stessi membri della commissione esaminatrice. Come del
resto anche per le pubblicazioni. La cosa si può facilmente verificare
su Econlit, il sito dell’Associazione degli economisti americani che
aggiorna scrupolosamente i curriculum internazionali di tutti i
professori del settore.
Affermano Toninelli, Toniolo e Zamagni che «i criptici verbali» della
commissione «non consentono un’adeguata comprensione dei criteri
adottati per promuovere o bocciare». Aggiungono però che «contrariamente
a una prassi internazionale consolidata» la suddetta commissione «non
ha preso in considerazione lavori a più mani». Escludendo in questo modo
«dalla valutazione articoli pubblicati sulle migliori riviste
internazionali». Come mai?
Gli autori di questo commento puntano il dito sulla «qualità scientifica
media della commissione», dove «tre dei commissari hanno meno di 30
citazioni ciascuno: una situazione che del resto li accomuna a molti
colleghi». Tre su cinque. E «con una tale maggioranza», concludono,
c’era il rischio «che prevalessero criteri valutativi fortemente
divergenti dalle raccomandazioni dell’Anvur». Rischio o certezza?
Professore: touché!
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