Vindice Lecis: La voce della verità. Storia di Luigi Polano, il comunista che beffò Mussolini, Nutrimenti, pagg. 230, euro 16
Risvolto
Nel 1941 l'Italia fascista è in guerra al fianco della Germania di
Hitler, che con le sue truppe affonda senza resistenza nel cuore
dell'Unione Sovietica. Ma la sera del 6 ottobre succede qualcosa che non
era mai accaduto prima e che mina per la prima volta la baldanza del
regime: alle fatidiche venti e venti, orario di messa in onda del Commento ai fatti del giorno,
una voce esterna interrompe il principe della propaganda radiofonica
fascista, Mario Appelius. La voce polemizza, accusa, pianta stoccate
vincenti. Continuerà così per tre anni, imperterrita, ogni sera fino
alla liberazione di Roma, guadagnandosi l'odio di Mussolini e la tacita
simpatia di molti italiani. Soltanto dodici anni dopo la fine della
guerra si verrà a sapere che dietro quello 'spettro' si nascondeva il
comunista Luigi Polano, che su ordine di Togliatti aveva allestito in
una località segreta una potente radio capace di infiltrarsi nelle
trasmissioni ufficiali dell’Eiar.Muovendosi tra realtà e finzione,
con un'originale trama narrativa che condensa la scrupolosa
ricostruzione storica, questo libro racconta l'incredibile parabola di
Luigi Polano, comunista venuto dalla Sardegna, spina nel fianco del
regime di Mussolini e "rivoluzionario di professione", che fu
protagonista di missioni segrete tra Francia e Germania, Spagna e Urss,
ovunque servisse la sua azione di riservatissimo cospiratore
antifascista.
In un libro l’avventurosa storia di Luigi Polano che disturbava i bollettini di guerra del regime
Quella voce che alla radio sbeffeggiava il fascismo
di Filippo Ceccarelli Repubblica 6.4.14
COME s’intuisce dallo slogan «Dio stramaledica gli inglesi», la
propaganda bellica che il commentatore Mario Appelius diffondeva ogni
sera dalla radio del regime fascista era più che ridondante. Per cui al
netto del dramma, anzi della tragedia, ciò che accadde il 6 ottobre 1941
dovette risuonare come un imprevisto eccezionale, ma anche come uno
spasso.
Perché nell’attimo in cui Appelius prendeva fiato, si udì
distintamente: «Italiani, qui parla la voce della verità!». E a ogni
pausa dell’arringa: «Non è vero! - diceva la voce - Tu inganni il popolo
italiano!», come pure: «Basta con la guerra fascista!», e così via. Lo
scherzo, che poi non era tale, ma un esperimento tecnologico di assai
efficace contro-informazione, andò avanti da allora fino alla
liberazione di Roma (giugno 1944).
Nel frattempo Mussolini
s’imbestialiva perché le sue polizie non riuscivano a capire come
diavolo fosse possibile, chi stava orchestrando lo scherzetto e
soprattutto da dove provenivano quelle onde così lontane e così vicine.
Per
giunta, tra un’interferenza e l’altra, il disturbatore antifascista era
anche lesto a scendere sul piano personale: «bugiardo!», accusava, come
pure «asino!», «venduto!», «criminale!»; e insomma, se si considera che
quel programma era la fonte principale per capire come stesse andando
la guerra, e che l’ascolto di «Radio Londra» comportava addirittura
l’arresto, tutto lascia pensare che a forza di sorprese e interruzioni
per una moltitudine di italiani quel rito di consenso coatto fosse anche
divenuto, o comunque fosse vissuto come un grande spettacolo.
Così,
per depotenziarlo, si mise all’opera una finta voce, addomesticata, cui
si poteva ribattere con facilità. Ma l’artificio non funzionò, mentre la
vera voce seguitava ad annunciare e preannunciare catastrofi chiamando
la popolazione alla rivolta. A un certo punto Appelius prese a
rivolgersi a quella misteriosa entità con una maldestra espressione, «lo
spettro», che sulla base di quanto di terribile andava accadendo
proprio allora sui vari fronti, senza nemmeno rendersene conto in
qualche modo restituiva la parola alle migliaia di soldati italiani
mandati a morire ammazzati nel fango dei Balcani, nel deserto di Libia o
nel gelo della steppa sovietica.
Ecco. A oltre 70 anni di distanza
un libro, La voce della verità (Nutrimenti, pagg. 230, euro 16),
ricostruisce in forma romanzata, ma documentatissima, la storia
dell’uomo che su segretissimo mandato di Palmiro Togliatti, allora uno
dei tre segretari del Komintern, svolse questa missione itinerante, tra
la Serbia e il Montenegro in fiamme, caricandosi una stazione radio e
con l’ausilio di due tecnici sovietici, tra mille avventure, compresa
quella di procacciarsi le notizie per meglio controbattere le retoriche
panzane e le fasulle vittorie dei bollettini bellici del fascismo.
L’autore
di questo libro per alcuni versi appassionante, per altri sorprendente,
è un giornalista sardo, Vindice Lecis; come sardo, pure di Sassari, era
il formidabile personaggio, Luigi Polano, indicato nel sottotitolo come
«il comunista che beffò Mussolini ». Già alla guida dei giovani
socialisti, conobbe Lenin e partecipò in primo piano alla scissione di
Livorno, fu al vertice del Pcd’I insieme con Bordiga e Gramsci, cinque
volte arrestato in Italia, poi spedito in Russia dove in veste di
sindacalista dei marittimi aveva occasione di entrare e restare in
contatto con gli italiani. In realtà, più che di un politico come lo si
può immaginare al giorno d’oggi, quella di Polano è la vita di un
autentico professionista della cospirazione e un girovago della
rivoluzione, dal Baltico al Mar Nero, dalla Parigi infida
dell’emigrazione alla Spagna della Guerra civile, fino ai corridoi
puzzolenti di cipolla dell’hotel Lux. Un comunista plurischedato che
Lecis racconta anche attraverso le carte di polizia e gli stizziti
commenti del suo antagonista quasi personale, l’ispettore (anche lui
sardo?) Porfirio Piredda.
Taciturno poliglotta, mago dei passaporti
falsi e dotato di mille identità, a tal punto Polano si consegnò
all’ideale da alimentare il mito della propria astuzia e inafferrabilità
ben oltre i confini del partito italiano e degli altri che come lui
avevano fatto base nell’Urss, Robotti, Berti, Grieco, Roasio. Uomo
d’aspetto apparentemente anonimo, di sobria eleganza, con l’hobby di
suonare il violino, eppure capace come pochi di dare la caccia alle spie
fasciste, ma anche così spietato nella lotta alle «deviazioni» da
guadagnarsi la nomea, invero più che plausibile, di agente della
terribile Ghepeù.
Come accadeva in quel clima plumbeo e oppressivo
fino alla paranoia, ebbe comunque anche lui i suoi problemi, per così
dire, di linea e un certo numero di sospetti che lo inseguivano
riacutizzandosi di tanto in tanto. Per certi versi, lascia capire
l’indagine di Lecis, la missione che Togliatti in persona affidò a
Polano in un luogo destinato alla massima segretezza contribuì a tenerlo
lontano dalle purghe moscovite.
Ritornato a Sassari dopo la
Liberazione carico di onorificenze sovietiche, insieme con moglie, pure
decorata, e figlio di nome Prometeo, Polano si adattò benissimo al tran
tran della democrazia nel dopoguerra. Fu brevemente a capo del Pci in
Sardegna, consigliere comunale, deputato, quindi senatore, pochi seppero
delle sue imprese pazzesche in giro per il mondo e del sabotaggio
radiofonico che lo aveva trasformato nientemeno che in un fantasma.
Quando
nel 1982, di passaggio nella sua Sassari, Enrico Berlinguer e alcuni
compagni andarono a trovarlo ormai 85enne, gli fu chiesto se la presenza
del segretario poteva scioglierlo dal voto del silenzio sui dettagli e
sul luogo da cui trasmetteva la voce. Ma Polano, con la calma di chi
aveva subito ben altri interrogatori, rispose: «Ho promesso di non
rivelarlo mai a nessuno». E restò in silenzio - virtù, ai suoi tempi,
ben lungi dall’essere insidiata dal cicaleccio dei talk-show.
Il comunista che beffò Mussolini
Nell’ottobre del ’41, e per tre anni, da un luogo sconosciuto, le
trasmissioni radiofoniche dell’Eiar furono interrotte
improvvisamente da una voce. Quella interferenza fu chiamata Lo
Spettro, i commenti del quale, evidentemente, non solleticavano
gli uomini del Regime. La voce della verità. Storia di Luigi Polano, il comunista che beffò Mussolini
di Vindice Lecis (Nutrimenti, pp, 230, euro 16), racconta
l’incredibile esperienza umana e politica dell’uomo che faceva
imbestialire il Duce con i suoi commenti contro il fascismo,
ridicolizzando l’Ovra, la polizia, la guerra, il Ministero degli
interni e i relativi scagnozzi.
«Appelius (Mario Appelius, voce della propaganda), sei un
pennivendolo e un ciarlatano al servizio delle cause perdute del
fascismo! Intaschi i trenta denari di Giuda per ingannare gli
Italiani!»; o ancora: «Tu inganni il popolo italiano… L’Asse non potrà
vincere la guerra. Hitler e Mussolini saranno sconfitti. Il
fascismo ha trascinato l’Italia in una tragica avventura… L’Italia
dovrà pagare un alto prezzo di sangue, di distruzioni, di miseria per
questa guerra ingiusta, pazzesca, criminale». Così commentava
Polano, ogni volta che il radiofonista sparava qualche fandonia
sui grandi successi dell’avventura militare italiana.
Nonostante sembrasse mite d’aspetto — con gli occhialetti sul naso
e l’abbigliamento curato — si rivelò essere uno dei dirigenti più
inflessibili nell’assolvere qualsiasi compito, e uno fu proprio
smascherare il fascismo attraverso i canali ufficiali: così
confida Lecis, giornalista sassarese come Polano, attraverso un
libro-documento dettagliato e affascinante. Grazie a una
narrazione a metà fra il romanzo e il documento storico, ci
racconta non solo della vita di questa primula rossa, amico di
Gramsci e fedele collaboratore di Togliatti, ma della storia
intera dell’Europa durante la guerra.
Come ogni thriller che si rispetti, il nostro protagonista vive
in clandestinità tra Mosca e Parigi, Odessa e Novorossijk, il Mar
Nero, Studenica e altri luoghi, insieme alla fidata moglie
e militante Maria Piras. Legis, con ritmo incalzante e intelligenti
flashback, ne racconta il profilo umano ma soprattutto la
risolutezza nell’assolvere ogni dovere, ogni missione.
A Roma diresse con Bordiga il giornale L’Avanguardia; fu
firmatario della piattaforma programmatica di Imola con
Gramsci, Terracini e Bordiga e divenne il primo segretario
nazionale della Federazione giovanile comunista. Nel libro
compaiono anche aneddoti che ne rivelano un lato romantico: quando
incontrò Lenin, per esempio, a cui confidò che avrebbe chiamato il
figlio nascituro Vladimiro, in suo onore (il bimbo nacque durante
l’assedio dei fascisti al giornale Il Lavoratore di Trieste; morì
poche ore dopo); oppure, finalmente tornato in patria a godersi la
vecchiaia, quando saluterà Enrico Berlinguer, all’età di 85 anni.
Davanti al «suo» leader, gli fu chiesto di rivelare finalmente da
dove trasmettesse. Aveva giurato a Togliatti di non pronunciar mai
parola, ma ormai il mondo era cambiato e la curiosità dei compagni
ancora insoddisfatta. «Ho promesso di non raccontarlo mai
a nessuno». Così la lapidaria risposta, davanti al segretario
sorridente.
Polano, quest’uomo calmo e gentile, ma anche dalla volontà ferrea,
fu sempre consapevole della necessità di tener la barra dritta
durante la furia degli eventi: le cariche che ricoprì inclusero il
controspionaggio, la vigilanza sui compagni titubanti
o arruolati dal fascismo per far da spie, e persino la
consapevolezza di venir a sua volta sorvegliato, quando in Russia
l’ossessione di stanare i traditori produsse le purghe
staliniane, che attraversò indenne grazie all’amicizia con
Togliatti.
Dovettero passare dodici anni dalla fine della guerra per scoprire
che la voce misteriosa, apparsa il sei ottobre 1941 fu quella di
Luigi Polano, comunista venuto dalla Sardegna e «rivoluzionario
di professione», il quale, a chi gli chiedeva della sua vita
avventurosa, ma anche piena di rinunce e sofferenze, rispondeva
fermamente ed educatamente che la riservatezza era costume dei
comunisti e che bisognava guardare avanti.
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