mercoledì 16 aprile 2014

La guerriglia mediatica comunista contro la radio di regime durante il fascismo

Vindice Lecis
Vindice Lecis: La voce della verità. Storia di Luigi Polano, il comunista che beffò Mussolini, Nutrimenti, pagg. 230, euro 16

Risvolto

Nel 1941 l'Italia fascista è in guerra al fianco della Germania di Hitler, che con le sue truppe affonda senza resistenza nel cuore dell'Unione Sovietica. Ma la sera del 6 ottobre succede qualcosa che non era mai accaduto prima e che mina per la prima volta la baldanza del regime: alle fatidiche venti e venti, orario di messa in onda del Commento ai fatti del giorno, una voce esterna interrompe il principe della propaganda radiofonica fascista, Mario Appelius. La voce polemizza, accusa, pianta stoccate vincenti. Continuerà così per tre anni, imperterrita, ogni sera fino alla liberazione di Roma, guadagnandosi l'odio di Mussolini e la tacita simpatia di molti italiani. Soltanto dodici anni dopo la fine della guerra si verrà a sapere che dietro quello 'spettro' si nascondeva il comunista Luigi Polano, che su ordine di Togliatti aveva allestito in una località segreta una potente radio capace di infiltrarsi nelle trasmissioni ufficiali dell’Eiar.Muovendosi tra realtà e finzione, con un'originale trama narrativa che condensa la scrupolosa ricostruzione storica, questo libro racconta l'incredibile parabola di Luigi Polano, comunista venuto dalla Sardegna, spina nel fianco del regime di Mussolini e "rivoluzionario di professione", che fu protagonista di missioni segrete tra Francia e Germania, Spagna e Urss, ovunque servisse la sua azione di riservatissimo cospiratore antifascista. 


In un libro l’avventurosa storia di Luigi Polano che disturbava i bollettini di guerra del regime
Quella voce che alla radio sbeffeggiava il fascismo
di Filippo Ceccarelli Repubblica 6.4.14

COME s’intuisce dallo slogan «Dio stramaledica gli inglesi», la propaganda bellica che il commentatore Mario Appelius diffondeva ogni sera dalla radio del regime fascista era più che ridondante. Per cui al netto del dramma, anzi della tragedia, ciò che accadde il 6 ottobre 1941 dovette risuonare come un imprevisto eccezionale, ma anche come uno spasso.

Perché nell’attimo in cui Appelius prendeva fiato, si udì distintamente: «Italiani, qui parla la voce della verità!». E a ogni pausa dell’arringa: «Non è vero! - diceva la voce - Tu inganni il popolo italiano!», come pure: «Basta con la guerra fascista!», e così via. Lo scherzo, che poi non era tale, ma un esperimento tecnologico di assai efficace contro-informazione, andò avanti da allora fino alla liberazione di Roma (giugno 1944).
Nel frattempo Mussolini s’imbestialiva perché le sue polizie non riuscivano a capire come diavolo fosse possibile, chi stava orchestrando lo scherzetto e soprattutto da dove provenivano quelle onde così lontane e così vicine.
Per giunta, tra un’interferenza e l’altra, il disturbatore antifascista era anche lesto a scendere sul piano personale: «bugiardo!», accusava, come pure «asino!», «venduto!», «criminale!»; e insomma, se si considera che quel programma era la fonte principale per capire come stesse andando la guerra, e che l’ascolto di «Radio Londra» comportava addirittura l’arresto, tutto lascia pensare che a forza di sorprese e interruzioni per una moltitudine di italiani quel rito di consenso coatto fosse anche divenuto, o comunque fosse vissuto come un grande spettacolo.
Così, per depotenziarlo, si mise all’opera una finta voce, addomesticata, cui si poteva ribattere con facilità. Ma l’artificio non funzionò, mentre la vera voce seguitava ad annunciare e preannunciare catastrofi chiamando la popolazione alla rivolta. A un certo punto Appelius prese a rivolgersi a quella misteriosa entità con una maldestra espressione, «lo spettro», che sulla base di quanto di terribile andava accadendo proprio allora sui vari fronti, senza nemmeno rendersene conto in qualche modo restituiva la parola alle migliaia di soldati italiani mandati a morire ammazzati nel fango dei Balcani, nel deserto di Libia o nel gelo della steppa sovietica.
Ecco. A oltre 70 anni di distanza un libro, La voce della verità (Nutrimenti, pagg. 230, euro 16), ricostruisce in forma romanzata, ma documentatissima, la storia dell’uomo che su segretissimo mandato di Palmiro Togliatti, allora uno dei tre segretari del Komintern, svolse questa missione itinerante, tra la Serbia e il Montenegro in fiamme, caricandosi una stazione radio e con l’ausilio di due tecnici sovietici, tra mille avventure, compresa quella di procacciarsi le notizie per meglio controbattere le retoriche panzane e le fasulle vittorie dei bollettini bellici del fascismo.
L’autore di questo libro per alcuni versi appassionante, per altri sorprendente, è un giornalista sardo, Vindice Lecis; come sardo, pure di Sassari, era il formidabile personaggio, Luigi Polano, indicato nel sottotitolo come «il comunista che beffò Mussolini ». Già alla guida dei giovani socialisti, conobbe Lenin e partecipò in primo piano alla scissione di Livorno, fu al vertice del Pcd’I insieme con Bordiga e Gramsci, cinque volte arrestato in Italia, poi spedito in Russia dove in veste di sindacalista dei marittimi aveva occasione di entrare e restare in contatto con gli italiani. In realtà, più che di un politico come lo si può immaginare al giorno d’oggi, quella di Polano è la vita di un autentico professionista della cospirazione e un girovago della rivoluzione, dal Baltico al Mar Nero, dalla Parigi infida dell’emigrazione alla Spagna della Guerra civile, fino ai corridoi puzzolenti di cipolla dell’hotel Lux. Un comunista plurischedato che Lecis racconta anche attraverso le carte di polizia e gli stizziti commenti del suo antagonista quasi personale, l’ispettore (anche lui sardo?) Porfirio Piredda.
Taciturno poliglotta, mago dei passaporti falsi e dotato di mille identità, a tal punto Polano si consegnò all’ideale da alimentare il mito della propria astuzia e inafferrabilità ben oltre i confini del partito italiano e degli altri che come lui avevano fatto base nell’Urss, Robotti, Berti, Grieco, Roasio. Uomo d’aspetto apparentemente anonimo, di sobria eleganza, con l’hobby di suonare il violino, eppure capace come pochi di dare la caccia alle spie fasciste, ma anche così spietato nella lotta alle «deviazioni» da guadagnarsi la nomea, invero più che plausibile, di agente della terribile Ghepeù.
Come accadeva in quel clima plumbeo e oppressivo fino alla paranoia, ebbe comunque anche lui i suoi problemi, per così dire, di linea e un certo numero di sospetti che lo inseguivano riacutizzandosi di tanto in tanto. Per certi versi, lascia capire l’indagine di Lecis, la missione che Togliatti in persona affidò a Polano in un luogo destinato alla massima segretezza contribuì a tenerlo lontano dalle purghe moscovite.
Ritornato a Sassari dopo la Liberazione carico di onorificenze sovietiche, insieme con moglie, pure decorata, e figlio di nome Prometeo, Polano si adattò benissimo al tran tran della democrazia nel dopoguerra. Fu brevemente a capo del Pci in Sardegna, consigliere comunale, deputato, quindi senatore, pochi seppero delle sue imprese pazzesche in giro per il mondo e del sabotaggio radiofonico che lo aveva trasformato nientemeno che in un fantasma.
Quando nel 1982, di passaggio nella sua Sassari, Enrico Berlinguer e alcuni compagni andarono a trovarlo ormai 85enne, gli fu chiesto se la presenza del segretario poteva scioglierlo dal voto del silenzio sui dettagli e sul luogo da cui trasmetteva la voce. Ma Polano, con la calma di chi aveva subito ben altri interrogatori, rispose: «Ho promesso di non rivelarlo mai a nessuno». E restò in silenzio - virtù, ai suoi tempi, ben lungi dall’essere insidiata dal cicaleccio dei talk-show.

Il comunista che beffò Mussolini
Memoria. "Storia di Luigi Polano, il comunista che beffò Mussolini" di Vindice Lecis per Nutrimenti

Nell’ottobre del ’41, e per tre anni, da un luogo sco­no­sciuto, le tra­smis­sioni radio­fo­ni­che dell’Eiar furono inter­rotte improv­vi­sa­mente da una voce. Quella inter­fe­renza fu chia­mata Lo Spet­tro, i com­menti del quale, evi­den­te­mente, non sol­le­ti­ca­vano gli uomini del Regime. La voce della verità. Sto­ria di Luigi Polano, il comu­ni­sta che beffò Mus­so­lini di Vin­dice Lecis (Nutri­menti, pp, 230, euro 16), rac­conta l’incredibile espe­rienza umana e poli­tica dell’uomo che faceva imbe­stia­lire il Duce con i suoi com­menti con­tro il fasci­smo, ridi­co­liz­zando l’Ovra, la poli­zia, la guerra, il Mini­stero degli interni e i rela­tivi scagnozzi.
«Appe­lius (Mario Appe­lius, voce della pro­pa­ganda), sei un pen­ni­ven­dolo e un ciar­la­tano al ser­vi­zio delle cause per­dute del fasci­smo! Inta­schi i trenta denari di Giuda per ingan­nare gli Ita­liani!»; o ancora: «Tu inganni il popolo ita­liano… L’Asse non potrà vin­cere la guerra. Hitler e Mus­so­lini saranno scon­fitti. Il fasci­smo ha tra­sci­nato l’Italia in una tra­gica avven­tura… L’Italia dovrà pagare un alto prezzo di san­gue, di distru­zioni, di mise­ria per que­sta guerra ingiu­sta, paz­ze­sca, cri­mi­nale». Così com­men­tava Polano, ogni volta che il radio­fo­ni­sta spa­rava qual­che fan­do­nia sui grandi suc­cessi dell’avventura mili­tare italiana.
Nono­stante sem­brasse mite d’aspetto — con gli occhia­letti sul naso e l’abbigliamento curato — si rivelò essere uno dei diri­genti più infles­si­bili nell’assolvere qual­siasi com­pito, e uno fu pro­prio sma­sche­rare il fasci­smo attra­verso i canali uffi­ciali: così con­fida Lecis, gior­na­li­sta sas­sa­rese come Polano, attra­verso un libro-documento det­ta­gliato e affa­sci­nante. Gra­zie a una nar­ra­zione a metà fra il romanzo e il docu­mento sto­rico, ci rac­conta non solo della vita di que­sta pri­mula rossa, amico di Gram­sci e fedele col­la­bo­ra­tore di Togliatti, ma della sto­ria intera dell’Europa durante la guerra.
Come ogni thril­ler che si rispetti, il nostro pro­ta­go­ni­sta vive in clan­de­sti­nità tra Mosca e Parigi, Odessa e Novo­ros­sijk, il Mar Nero, Stu­de­nica e altri luo­ghi, insieme alla fidata moglie e mili­tante Maria Piras. Legis, con ritmo incal­zante e intel­li­genti fla­sh­back, ne rac­conta il pro­filo umano ma soprat­tutto la riso­lu­tezza nell’assolvere ogni dovere, ogni missione.
A Roma diresse con Bor­diga il gior­nale L’Avanguardia; fu fir­ma­ta­rio della piat­ta­forma pro­gram­ma­tica di Imola con Gram­sci, Ter­ra­cini e Bor­diga e divenne il primo segre­ta­rio nazio­nale della Fede­ra­zione gio­va­nile comu­ni­sta. Nel libro com­pa­iono anche aned­doti che ne rive­lano un lato roman­tico: quando incon­trò Lenin, per esem­pio, a cui con­fidò che avrebbe chia­mato il figlio nasci­turo Vla­di­miro, in suo onore (il bimbo nac­que durante l’assedio dei fasci­sti al gior­nale Il Lavo­ra­tore di Trie­ste; morì poche ore dopo); oppure, final­mente tor­nato in patria a godersi la vec­chiaia, quando salu­terà Enrico Ber­lin­guer, all’età di 85 anni. Davanti al «suo» lea­der, gli fu chie­sto di rive­lare final­mente da dove tra­smet­tesse. Aveva giu­rato a Togliatti di non pro­nun­ciar mai parola, ma ormai il mondo era cam­biato e la curio­sità dei com­pa­gni ancora insod­di­sfatta. «Ho pro­messo di non rac­con­tarlo mai a nes­suno». Così la lapi­da­ria rispo­sta, davanti al segre­ta­rio sorridente.
Polano, quest’uomo calmo e gen­tile, ma anche dalla volontà fer­rea, fu sem­pre con­sa­pe­vole della neces­sità di tener la barra dritta durante la furia degli eventi: le cari­che che rico­prì inclu­sero il con­tro­spio­nag­gio, la vigi­lanza sui com­pa­gni titu­banti o arruo­lati dal fasci­smo per far da spie, e per­sino la con­sa­pe­vo­lezza di venir a sua volta sor­ve­gliato, quando in Rus­sia l’ossessione di sta­nare i tra­di­tori pro­dusse le pur­ghe sta­li­niane, che attra­versò indenne gra­zie all’amicizia con Togliatti.
Dovet­tero pas­sare dodici anni dalla fine della guerra per sco­prire che la voce miste­riosa, apparsa il sei otto­bre 1941 fu quella di Luigi Polano, comu­ni­sta venuto dalla Sar­de­gna e «rivo­lu­zio­na­rio di pro­fes­sione», il quale, a chi gli chie­deva della sua vita avven­tu­rosa, ma anche piena di rinunce e sof­fe­renze, rispon­deva fer­ma­mente ed edu­ca­ta­mente che la riser­va­tezza era costume dei comu­ni­sti e che biso­gnava guar­dare avanti.

Nessun commento: