domenica 18 maggio 2014

Esistono ancora i ciberrivoluzionari e stanno a sinistra, a destra e al centro

Evgeny Morozov: Internet non salverà il mondo. Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete possa risolvere ogni problema, Mondadori, pagg. 452, euro 19
Risvolto
Nell'utopia dei "geek", i fanatici della tecnologia digitale, in un futuro molto prossimo poderosi sistemi informatici di raccolta dati e misurazioni statistiche consentiranno di monitorare ogni aspetto della nostra vita, fornendo risposte risolutive a tutte le più scottanti questioni del nostro tempo, dalla povertà all'inquinamento, dalla corruzione alla criminalità, dall'obesità allo smaltimento dei rifiuti. Questo "grande esperimento migliorativo" è visto come un processo ineluttabile e definitivo, e segnerà una svolta epocale nella storia dell'umanità. L'obiezione mossa da Evgeny Morozov a questa straordinaria quanto ingenua prospettiva di perfezionamento telematico del pianeta parte dalla critica ai due cardini ideologici che la sostengono. Da un lato il "soluzionismo", ovvero l'idea che per qualsiasi problema esiste un rimedio digitale; dall'altro l'"internet-centrismo", ovvero la teoria per cui tutti gli ambiti dell'esistenza, per diventare migliori, devono modellarsi sulle caratteristiche della Rete, evitando in ogni modo di intralciarne o limitarne l'ecosistema. Consapevole di fronteggiare un nemico agguerrito e subdolo, Morozov si propone di smascherare l'idolatria di "Internet", che propone il miraggio di una vita individuale e sociale, fisica e psicologica, senza intralci. L'illusione che tutto possa essere corretto e sanato può infatti avere effetti disastrosi sulla capacità dell'uomo di convivere con la complessità.
Il controverso politologo bielorusso, famoso per le dure critiche alla Rete, ci spiega la sua battaglia: "Non possiamo delegare il mondo ai tecnocrati"
Matteo Sacchi - il Giornale Sab, 17/05/2014




Evgeny Morozov contro la favola dell’eden digitale Codici aperti. Il nuovo saggio di Evgeny Morozov tradotto da Mondadori è un j’accuse contro le tesi di chi vede nella Rete la salvezza dell’umanità. Sotto accusa è l’ideologia del «cyberutopismo» in nome di un indiscusso e indiscutibile principio di realtà
Benedetto Vecchi, 23.7.2014

La com­parsa del suo nome tra le pagine di que­sto nuovo e impo­nente sag­gio di Evgeny Moro­zov (Inter­net non sal­verà il mondo, pp. 448, euro 19) sor­prende non poco. Tanto più che viene inse­rito in una pla­tea che va da liber­ta­rio Jason Lanier all’economista libe­rale Frie­drich von Hayek, dal filo­sofo con­ser­va­tore Tho­mas Mol­nar al cri­tico radi­cale Ivan Illich, dalla «moder­ni­sta» Jane Jacobs all’ultra con­ser­va­tore Michael Oake­shott, da Hans Jonas a lui, Jac­ques Ellul, teo­logo, filo­sofo e socio­logo noto per la sua cri­tica alla tecno-scienza.
Eppure la pre­senza di Jac­ques Ellul è meno stra­va­gante degli altri nomi, inse­riti nell’eccentrico pan­theon teo­rico di Moro­zov. Ellul, infatti, è stato uno fusti­ga­tore del ruolo svolto dalla tec­no­lo­gia e dalla scienza nelle società con­tem­po­ra­nee, col­lanti di una gab­bia di acciaio che defi­ni­sce il peri­me­tro delle azioni umani, sta­bi­lendo all’interno regole di com­por­ta­mento fun­zio­nali alla logica astratta e ogget­tiva impo­sta dalla scienza. Nel libro di Moro­zov tale impianto teo­rico torna con­ti­nua­mente, sia quando scrive di Inter­net che dei social net­work. Sia però chiaro: Moro­zov non è un apo­ca­lit­tico cri­tico della scienza e della tec­no­lo­gia, né pro­pone una fru­gale e austera decre­scita che ral­lenti lo svi­luppo scien­ti­fico. È un blog­ger che apprezza il potere comu­ni­ca­tivo della Rete e dei social net­work. Al pari di molti sto­rici della tec­no­lo­gia ritiene che le mac­chine siano pro­tesi mec­ca­ni­che degli essere umani. Ma è altret­tanto con­vinto che la Rete, i com­pu­ter, gli smart­phone non sono pro­tesi «stu­pide», ma hanno, in quanto «mac­chine uni­ver­sali» che ripro­du­cono atti­vità cogni­tive, un potere per­for­ma­tivo dei com­por­ta­menti, delle abi­tu­dini indi­vi­duali e col­let­tive. Sulla scia di Ellul, sostiene che siano espres­sioni di un sistema tecno-scientifico che limita le libertà dei sin­goli e ini­bi­sce le pos­si­bi­lità alle società di poter sce­gliere altre vie di svi­luppo da quelle domi­nanti. Que­sto però non fa di Moro­zov un cri­tico del capitalismo.
 

Un libe­ral del web
Lo stu­dioso, gior­na­li­sta nato in Bie­lo­rus­sia, ma sta­tu­ni­tense per scelta può essere con­si­de­rato uno degli espo­nenti più bril­lanti di un’attitudine mode­ra­ta­mente anti­cor­po­ra­tion e con­ser­va­trice che sostiene un inter­vento attivo dello Stato nel rego­la­men­tare la vita sociale, sta­bi­lendo limiti pre­cisi all’azione delle mul­ti­na­zio­nali del digi­tale. Posi­zione che lo por­tano a scri­vere di essere più in sin­to­nia con i libe­ral che non con i repub­bli­cani sta­tu­ni­tensi. Signi­fi­ca­tive in que­sto suo nuovo sag­gio non sono però le sue posi­zioni poli­ti­che, bensì l’analisi pro­prio della vita den­tro e fuori lo schermo dove le stra­te­gie impren­di­to­riali di Apple, Goo­gle, Ama­zon, Face­book e Twit­ter più che aprire la strada a una società di liberi, stiano minando le basi della demo­cra­zia libe­rale.
Il libro di Moro­zov è certo una det­ta­gliata cri­tica della ege­mone weltha­shauung tec­no­cra­tica, anche se limita la sua ana­lisi agli Stati Uniti, con l’Europa vista come una colo­nia tec­no­lo­gia della Sili­con Val­ley. Poco infatti viene detto su quanto accade in paesi sem­pre più rile­vanti nello svi­luppo della Rete. Alla Cina, all’India dedica infatti qual­che distratta cita­zione e nulla più. Non che nei distretti tec­no­lo­gici o nelle uni­ver­sità cinesi e indiane non ci siano pro­getti di svi­luppo alieni rispetto a quanto accade negli Stati Uniti o nel vec­chio con­ti­nente, ma con una dif­fe­renza: la tec­no­lo­gia è sem­pre una varia­bile dipen­dente di altre scelte e prio­rità eco­no­mi­che e di poli­tica indu­striale. Il «tec­no­po­lio», ter­mine preso in pre­stito pro­prio da Ellul, è rela­tivo solo all’operato delle imprese nella Sili­con Val­ley, ma non dei distretti tec­no­lo­gici cinesi o indiani. L’assenza di una ana­lisi delle logi­che domi­nante nei cosid­detti paesi emer­genti non toglie forza alla requi­si­to­ria che svolge con­tro il deter­mi­ni­smo tec­no­lo­gico domi­nante. Il suo è un j’accuse con­tro quello che chiama, di volta in volta, «internet-centrismo», «solu­zio­ni­smo», «tec­noe­sca­pi­smo», tre modi per qua­li­fi­care una ideo­lo­gia ege­mone che asse­gna ai modelli eco­no­mici, pro­dut­tivi e sociali pre­senti nella Rete una natu­ra­lità indi­scu­ti­bile e una supe­rio­rità rispetto ad altre pos­si­bili vie di svi­luppo sociale e economico.
 

Gli ideo­lo­ghi del digitale
Moro­zov non esita quindi a pren­dere di mira tanto gli apo­lo­geti della Rete che i media theo­rist cri­tici del regime della pro­prietà intel­let­tuale ope­rante su Inter­net. Da Jason Lanier a Nicho­las Carr, da Law­rence Les­sig a Yoa­chai Ben­kler, nes­suno è rispar­miato nelle cri­ti­che di Moro­zov, che li con­si­de­rata tutti respon­sa­bili della «pro­du­zione» dell’ideologia tec­no­cra­tica domi­nante. Molti sono, ad esem­pio, gli esempi di come fun­zioni il «solu­zio­ni­smo». L’inquinamento a livello pla­ne­ta­rio può essere risolto usando la Rete, per­ché limita la mobi­lità (tutto può essere fatto da casa); per­ché riduce il con­sumo di carta; per­ché i com­pu­ter e le fibre otti­che pos­sono essere pro­dotti a poco prezzo e con­su­mando poco petro­lio. La realtà dimo­stra il con­tra­rio — il livello di inqui­na­mento pro­vo­cato dallo smal­ti­mento dei rifiuti «digi­tali» non ha nulla da invi­diare all’inquinamento pro­vo­cato dal petro­lio -, ma que­sto è dovuto, sosten­gono i «solu­zio­ni­sti», al fatto che l’organizzazione sociale è ancora model­lata sulla società indu­striale. Basta quindi pren­dere coscienza che siamo nella società dell’informazione e ade­guare le isti­tu­zione poli­ti­che è il pro­blema è risolto: l’inquinamento dimi­nuirà di con­se­guenza. La demo­cra­zia è in crisi? Come negarlo, ma attra­verso i social net­work e la comu­ni­ca­zione on-line la par­te­ci­pa­zione dif­fusa nel pren­dere le deci­sioni è garan­tita.
Su que­sto aspetto, Moro­zov ha molte frecce nel suo arco nel cri­ti­care il popu­li­smo digi­tale. Con feroce iro­nia, scrive che una pro­po­sta non basta che venga spon­so­riz­zata da un numero alto di «navi­ganti» per essere la migliore. Inol­tre, ma su que­sto aspetto Moro­zov è eva­sivo, Face­book, Twit­ter, Goo­gle e molte altre imprese dot​.com fanno affari d’oro nel costruire, ela­bo­rare e ven­dere i Big Data accu­mu­lati attra­verso l’uso dei social net­work o dei tanti blog ope­ranti tra le due sponde dell’Atlantico. Anzi, alcune imprese fanno affari ospi­tando e orga­niz­zando forum di discus­sione poli­tici, come testi­mo­nia l’impresa che gesti­sce il Blog di Beppe Grillo.
In fondo, pro­prio il gruppo ita­liano del «Movi­mento 5 stelle» strizza l’occhio alle dina­mi­che della Rete facendo deri­vare il pro­prio nome dal numero mas­simo di stelle che i recen­sori di libri o di siti pon­gono per segna­lare il loro gra­di­mento a un libro, un sito o una pro­po­sta. Tutto ciò nulla a che fare con una rin­no­vata demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, né con la sban­die­rata demo­cra­zia diretta dei popu­li­sti digi­tali.
I popu­li­sti digi­tali sono la bestia nera di Moro­zov, per­ché sono gli agit-prop di quel «tec­noe­sca­pi­smo» che vede nella Rete una sorte di eden dell’individuo pro­prie­ta­rio che le vec­chie oli­gar­chie vor­reb­bero vedere can­cel­lato per pre­ser­vare il loro potere. Moro­zov è invece con­vinto che l’animale umano sia un ani­male sociale e che per que­sto abbia biso­gno delle rela­zioni con l’altro per espri­mere le sue poten­zia­lità. Da qui la neces­sità della media­zione e della condivisione.
 

In nome della condivisione
Un’antropologia filo­so­fica ignota agli apo­lo­geti della Rete, inte­res­santi invece a spac­ciare come novità rivo­lu­zio­na­rie ogni minima e spesso irri­le­vante inno­va­zione tec­no­lo­gica. Uno spi­rito pole­mico, il suo, che rag­giunge l’acme acme quando affronta l’oggettività costi­tuita dai modelli pro­po­sti dalla tec­no­lo­gia digi­tale a par­tire dalla neu­tra­lità rap­pre­sen­tata dagli algo­ritmi alla base del motore di ricerca Goo­gle (Page Rank) e di quello di Face­book (Edge Rank). Al di là del ragio­ne­vole dub­bio sulla loro ogget­ti­vità, visto che entrambi gli algo­ritmi sono coperti da bre­vetto e che finora nes­suno è riu­scito a capire come fun­zio­nano, è inte­res­sante la sot­to­li­nea­tura che l’autore fa del fatto che den­tro le mul­ti­na­zio­nali high-tech lavo­rano uomini e donne che vivono in una società dove sono vigenti welt­an­shauung ege­moni che ne con­di­zio­nano l’operato.
La cri­tica alla neu­tra­lità degli algo­ritmi, banco di prova di una teo­ria cri­tica della Rete ancora da svi­lup­pare, viene sì nomi­nata dallo stu­dioso, ma non svi­lup­pata. Per fare que­sto, ser­vi­rebbe una ana­lisi dei modelli epi­ste­mo­lo­gici domi­nanti e sul regime pro­dut­tivo del soft­ware e dei con­te­nuti den­tro e fuori la Rete. In altri ter­mini, a costi­tuire pro­blema è il regime di sfrut­ta­mento pre­sente nella società en gene­ral, così come costi­tui­sce pro­blema la pre­tesa ogget­ti­vità delle pro­ce­dure e degli stan­dard, i for­mat impo­sti dalle tec­no­lo­gie, che ven­gono svi­lup­pate in base a una con­ce­zione dei rap­porti sociali dove di ogget­tivo c’è ben poco. Ma è pro­prio sulla pro­pa­gan­data ogget­ti­vità degli algo­ritmi che si mani­fe­sta il potere auto­ri­ta­rio del «tec­no­po­lio».
Il set­tore dove più evi­dente è la pre­tesa dell’internet-centrismo di fun­zio­nare come modello «uni­ver­sale» è l’«industria dei memi» — le parole chiave che scan­di­scono e orien­tano il flusso den­tro Face­book e Twit­ter — per la sua capa­cità di con­di­zio­nare l’opinione pub­blica e la for­ma­zione delle deci­sioni poli­ti­che per sal­va­guar­dare gli inte­ressi eco­no­mici e la vision sociale delle imprese digi­tali. La con­clu­sione è lapi­da­ria: l’«internet-centrismo», così come il «tec­noe­sca­pi­smo» hanno molte carat­te­ri­sti­che delle società tota­li­ta­rie del Nove­cento. Lo stesso vale per la difesa della pri­vacy: un diritto ridotto a merce da acqui­stare a caro prezzo sul mer­cato.
 

Una pri­vacy di classe
Il self trac­king, infatti, è rite­nuto il set­tore eco­no­mico in espan­sione. Il moni­to­rag­gio della infor­ma­zioni sulla pro­pria vita e la pos­si­bi­lità di eli­mi­nare i dati che non vogliono essere resi pub­blici sta diven­tando infatti una pre­ro­ga­tive delle élite glo­bali che vogliono sal­va­guar­dare la pri­vacy rispetto alle tec­no­lo­gie del con­trollo esi­stenti. Ma come sosten­gono gli atti­vi­sti e ricer­ca­tori del gruppo ita­liano Ippo­lita, il rispetto della pri­vacy sta acqui­sendo sem­pre più carat­te­ri­sti­che di classe: chi può rie­sce a garan­tirsi zone d’ombre sulla pro­pria vita; per la mag­gio­ranza dellla popo­la­zione con­nessa alla rete, la pro­pria vita diviene sem­pli­ce­mente tra­spa­rente ai colossi dei Big Data.
C’è il rischio che le tesi di Moro­zov abbiano come con­se­guenza – e in alcune parti del sag­gio è evi­dente una deriva «con­ser­va­trice» — un auspi­cato ritorno all’ordine sociale, eco­no­mico e poli­tico pre­ce­dente la cosid­detta «rivo­lu­zione digi­tale», com­presa la difesa del wel­fare state e dell’intervento dello stato in eco­no­mia in quanto sog­getto eco­no­mico, non solo come momento rego­la­tivo dell’attività eco­no­mica, momento che non è mai venuto meno, come hanno d’altronde docu­men­tato da cri­tici mar­xi­sti e da teo­rici della bio­po­li­tica. Ciò che però inte­ressa Moro­zov è intro­durre ele­menti di mode­ra­zione nell’ideologia domi­nante. È infatti assente ogni ana­lisi sui rap­porti sociali e pro­dut­tivi nella Rete. Igno­rati sono i mec­ca­ni­smi di appro­pria­zione pri­vata dei dati per­so­nali, ela­bo­rati e codi­fi­cati per defi­nire «pro­fili» da ven­dere al migliore offe­rente; nes­sun accenno a come viene pro­dotto inno­va­zione tec­no­lo­gica e sociale; riman­gono avvolti nel mistero i mec­ca­ni­smi di sfrut­ta­mento nella pro­du­zione di soft­ware e di con­te­nuti.
Sono solo alcuni degli ele­menti che potrebbe con­sen­tire lo svi­luppo di una pun­tuale teo­ria cri­tica della Rete. Obiet­tivo diverso da quello di Moro­zov. La sua cri­tica al «cybe­ru­to­pi­smo» aiuta però a una pra­tica del dub­bio che induce a resi­stere al canto delle sirene dello sta­tus quo.

Nessun commento: