venerdì 2 maggio 2014

Presto torneremo all'Ottocento


L’Inghilterra torna al lavoro coatto

Primo Maggio. Le misure di workfare proposte nel Regno Unito esprimono la volontà politica di esercitare un potere di controllo sulla vita in nome dell’austerità

 Marco Bascetta, il Manifesto 1.5.2014 

Da lunedì scorso i disoc­cu­pati bri­tan­nici di lungo corso (200.000 per­sone, si stima) sono stati costretti a un salto indie­tro di quasi due secoli. Per con­ti­nuare a per­ce­pire il sus­si­dio di circa 90 euro alla set­ti­mana che viene loro rico­no­sciuto dovranno sot­to­met­tersi a una delle seguenti alter­na­tive: ese­guire lavori social­mente utili, seguire un corso di for­ma­zione o recarsi quo­ti­dia­na­mente al Cen­tro per l’impiego come puro e sem­plice atto di devo­zione. Si tratta, né più né meno, di lavoro for­zato, per nulla dis­si­mile quanto ai prin­cipi che lo ispi­rano, da quella famosa legge sui poveri del 1834 che, proi­bendo ogni altra forma di assi­stenza, impo­nenva di rin­chiu­dere i disoc­cu­pati all’interno di opi­fici così stret­ta­mente disci­pli­nati e austeri da ren­dere per nulla invi­dia­bile il destino di chi vi fosse stato con­fi­nato. E dove l’unica garan­zia sta­bi­lita dalla legge era il diritto di non esser lasciati morire di fame. Lo scopo, oltre a quello del con­trollo sociale diretto sulle fasce più povere della popo­la­zione, con­si­steva nello spin­gere gli ope­rai ad accet­tare anche le più sfa­vo­re­voli con­di­zioni di lavoro pur di non pre­ci­pi­tare in una così spa­ven­tosa con­di­zione. Lo stesso risul­tato che anche oggi, pur pas­sando dalle costose fabbriche-carcere a più fles­si­bili stru­menti di ves­sa­zione, si vuole otte­nere: ren­dere i disoc­cu­pati (e indi­ret­ta­mente anche gli occu­pati dall’incerto destino) sem­pre meno «schiz­zi­nosi», per dirla con il ter­mine usato da un nostro exministro. 


Fatto sta che nel 1834 il Regno unito si tro­vava nel pieno di un pode­roso pro­cesso di indu­stria­liz­za­zione e già da più di un secolo si trat­tava di pie­gare una intera popo­la­zione riot­tosa alla disci­plina mani­fat­tu­riera. L’ideologia ade­riva bene o male alla mate­ria­lità delle cir­co­stanze. Il work­fare con­tem­po­ra­neo, al con­tra­rio, non cor­ri­sponde ad alcuna realtà con­creta. Nel mondo dell’automazione e della digi­ta­liz­za­zione dispie­gate nes­suna ripresa pro­dut­tiva potrà mai rias­sor­bire le schiere sem­pre più folte degli inoc­cu­pati e solo una fra­zione tra­scu­ra­bile della povertà attuale può essere anche vaga­mente para­go­nata all’indigenza inte­ra­mente impro­dut­tiva del pas­sato. Gran parte dei disoc­cu­pati si dedi­cano, infatti, ad atti­vità che, pur non rico­no­sciute come lavoro, con­tri­bui­scono in misura per nulla tra­scu­ra­bile alla vita sociale e cul­tu­rale. Que­ste atti­vità hanno, tut­ta­via, un grave difetto agli occhi dei legi­sla­tori bri­tan­nici: sono libe­ra­mente scelte e non ono­rano le leggi del mer­cato. Vanno dun­que sosti­tuite, nella migliore tra­di­zione statualistico-autoritaria, con il lavoro coatto, del tutto indi­pen­den­te­mente dalla sua uti­lità reale: lavoro fit­ti­zio, o lavoro gra­tuito desti­nato a sfol­tire o quan­to­meno a ricat­tare le schiere degli occu­pati. Altret­tanto fit­tizi e orien­tati a sboc­chi imma­gi­nari sono il più delle volte i corsi di for­ma­zione pro­get­tati dalle buro­cra­zie pub­bli­che. Quanto alla terza alter­na­tiva, è quella che più smac­ca­ta­mente rivela i suoi carat­teri squi­si­ta­mente ideo­lo­gici e disci­pli­nari: si tratta di pura e sem­plice espia­zione quo­ti­diana al cospetto di un anno­iato ope­ra­tore assistenziale. 

Il secondo obiet­tivo delle misure ves­sa­to­rie con­te­nute nella nuova nor­ma­tiva bri­tan­nica (bef­far­da­mente deno­mi­nata Help to work) è la ridu­zione della spesa sociale. Sot­to­po­nendo a con­di­zioni umi­lianti l’accesso ai bene­fici assi­sten­ziali si sup­pone di riu­scire a sco­rag­giare i più dal doman­darli. Fatto sta che la fin­zione del lavoro, o quella della for­ma­zione, sono ben più one­rose della con­ces­sione di un sus­si­dio o di un red­dito uni­ver­sale senza con­tro­par­tite. Com­por­tano con­sumi di mate­riali e di ener­gia, non­ché ple­to­rici appa­rati di con­trollo. Ragion per cui diversi eco­no­mi­sti si sono espressi con­tro que­sto pro­gramma che, oltre alle scarse pos­si­bi­lità di ricon­durre un numero signi­fi­ca­tivo di inoc­cu­pati nel mondo del lavoro, non com­por­te­rebbe nean­che alcun rispar­mio. Ma il work­fare non risponde ad alcuna razio­na­lità eco­no­mica, il suo signi­fi­cato, ideo­lo­gico e poli­tico, con­si­ste esclu­si­va­mente nel riba­dire la rigi­dità delle gerar­chie sociali e l’accentramento in poche mani del potere di modu­lare a pro­prio pia­ci­mento i flussi della redi­stri­bu­zione, per poter­sene ser­vire a fini di ricatto.

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