Uno dei fondamenti della cultura europea: una rilettura dell'ars amandi ovidiana che diventa una fenomenologia della conquista amorosa e del desiderio; una perfetta compenetrazione di allegoria e narrazione che anticipa la Commedia dantesca.
sabato 7 giugno 2014
Il Romanzo della Rosa nei Millenni Einaudi
Guillame de Lorris e Jean de Meun: Romanzo della Rosa, a cura di Mariantonia Liborio e Silvia De Laude, trad. it. di Mariantonia Liborio, testo francese a fronte, Millenni Einaudi
Risvolto
Uno dei fondamenti della cultura europea: una rilettura dell'ars amandi ovidiana che diventa una fenomenologia della conquista amorosa e del desiderio; una perfetta compenetrazione di allegoria e narrazione che anticipa la Commedia dantesca.
Uno dei fondamenti della cultura europea: una rilettura dell'ars amandi ovidiana che diventa una fenomenologia della conquista amorosa e del desiderio; una perfetta compenetrazione di allegoria e narrazione che anticipa la Commedia dantesca.
Due testi e molti misteri. Il Romanzo
della Rosa è costituito da due parti scritte
da autori diversi a distanza di una
quarantina di anni. Due parti molto diverse
e la seconda sembra essere la palinodia
della prima. I dubbi sull'identità
degli autori, su eventuali interpolazioni
di Jean de Meun nella prima parte, sul
senso del poema come opera complessiva
sono ripercorsi nell'introduzione di
Mariantonia Liborio. Quello che sembra
sicuro è che il «collage» dei due testi
mostra come in quel mezzo secolo di iato
fra la prima e la seconda metà del XIII
secolo fossero profondamente cambiati
i modelli culturali: dagli ideali e dalle
forme letterarie cortesi del Roman di
Guillaume de Lorris all'approccio filosofico-
enciclopedico di Jean de Meun.
È un passaggio che si verifica, in forme
diverse, anche nella letteratura del
sí fra i poeti siciliani e Dante. È dunque
importante rileggere il Romanzo
della Rosa nella sua diversificata completezza.
Al di là dei problemi filologici
e narratologici, il poema è davvero
uno dei fondamenti della cultura europea:
una rilettura dell'ars amandi ovidiana
che diventa una fenomenologia della
conquista amorosa e del desiderio; una
perfetta compenetrazione di allegoria
e narrazione che anticipa la Commedia
dantesca.
Il doppio sogno dell’amore assoluto Tutto comincia e finisce con una Rosa
Due autori, diversi finali (e un giallo) per il poema celebre del XIII secolo
di Paolo Di Stefano Corriere 6.6.14
I
sogni non sono sempre menzogneri. Prende avvio da questa
considerazione, suggerita dallo scrittore latino Macrobio, esperto di
sogni, uno dei poemi narrativi medievali più diffusi e letti, il Roman
de la Rose , scritto in antico francese e testimoniato da oltre trecento
manoscritti (secondo per quantità di codici solo alla Commedia di
Dante), 21 edizioni a stampa e molti rifacimenti. 21.750 ottosillabi per
raccontare la storia della tormentata conquista della Rosa da parte
dell’Amante. Allegoria dell’amore in tutte le sue forme, dalle più
sublimi alle più mondane, ma anche opera enciclopedica, il Roman de la
Rose non è un libro qualunque. Intanto perché viene abitualmente
considerato opera di due autori, con le cautele del caso. Si tratta di
Guillaume de Lorris, cui si devono i primi 4.028 versi, e di Jean de
Meun, che avrebbe aggiunto la seconda parte, più lunga e digressiva, per
completare l’opera che non era conclusa.
Di Guillaume, citato da
Jean all’ingresso del personaggio-chiave Falso Sembiante, l’ipocrita per
definizione, si conosce solo il nome, il che ha fatto pensare a
qualcuno che sia un’invenzione di Jean realizzata ad arte per
capovolgere l’ideologia cortese in un finto gioco (auto)parodico. Ma
tutto sarebbe possibile, anche che il primo autore abbia portato a
termine il romanzo e che il secondo l’abbia amputato del finale per
completarlo a piacimento. Che non siano mai esistiti né l’uno né l’altro
è l’ipotesi, anche autorevole, di chi pensa che ci sia un burattinaio
che li muove.
Introducendo l’edizione Einaudi (traduzione con
originale a fronte), Mariantonia Liborio, curatrice con Silvia De Laude,
mette in campo queste possibilità, ma la versione più accreditata resta
anche la più semplice: e cioè quella dei due autori. Un unico
manoscritto riporta la sola parte di Guillaume, sei codici conservano
continuazioni anonime, tutte precedenti quella di Jean de Meun, iniziata
40 anni dopo la morte del primo autore, avvenuta verosimilmente tra il
1225 e il 1230. A differenza di Guillaume, la figura di Jean dispone di
elementi biografici certi: fu, tra l’altro, traduttore di Boezio e di
Vegezio, ebbe rapporti stretti con Guillaume de Saint-Amour, a cui si
affiancò nella battaglia universitaria parigina, di impronta «laica»,
contro gli ordini mendicanti; essendo definito «maistre» fu
probabilmente un chierico uscito dalla Sorbona. Può darsi che Jean abbia
trascorso la giovinezza a Bologna e buona parte della vita a Orléans
(la stessa zona di Guillaume). All’interno del testo il dio d’Amore, che
lo chiama Johan Chopinel (chope è la taverna), lo descrive come un
goliardo dedito alle donne, alle bevute e al gioco.
I sogni, dunque.
Il testo di Guillaume si apre con un io narrante che racconta di aver
fatto un sogno e di volerlo mettere in rima (cinque anni dopo) per
obbedire ai desideri di Amore; la visione onirica consiste nel viaggio
intrapreso dal protagonista fuori dalla città per incamminarsi lungo un
fiume e arrivare nei pressi di un giardino cinto da un alto muro merlato
su cui si trovano raffigurate personificazioni anti-cortesi: Odio,
Slealtà, Villania, Cupidigia, Avarizia, Invidia eccetera. Nel Giardino
di Piacere l’Amante accede grazie a una bellissima fanciulla, Oziosa. Si
apre così un panorama di meraviglie, tra suonatori, menestrelli e nuove
figure allegoriche, da Bellezza a Cortesia, tutte dettagliatamente
descritte: il protagonista arriva alla fonte di Narciso, luogo fatale
d’iniziazione in cui due cristalli riflettono ogni parte del giardino,
ma quando l’Amante tende la mano per cogliere un bocciolo di rosa viene
fermato da sterpi e spine. È in quel momento che il dio d’Amore lo
colpisce al cuore, facendolo innamorare della dama di nome Rosa. «L’idea
geniale di Guillaume de Lorris — scrive Liborio— è quella di far
giocare sulla scena del testo, dietro il velo dell’allegoria, i
sentimenti e le emozioni che si danno battaglia nel cuore dei due
giovani». Tra aiuti (Amico, Benaccolgo eccetera), vane speranze e nuove
opposizioni, Ragione cerca di far riflettere il protagonista sui pro e i
contro della sua ossessione, ma le cose si complicano dopo il primo
bacio propiziato da Venere: Gelosia fa costruire una torre entro cui
chiuderà Benaccolgo, sorvegliato dalla vecchia, e con la disperazione
dell’Amante dinanzi alla fortezza si interrompe il poema di Guillaume.
Dopo
il verso 4028, si inseriscono finali posticci in cui il protagonista
arriva comunque a cogliere la rosa, ma con Jean de Meun la ottiene per
via essenzialmente parodica. L’Amante cambia registro e dal pianto passa
al pentimento e poi all’imprecazione: contro la maledetta Dama Oziosa,
contro «l’orribile vecchia puzzolente e lercia», ma anche contro se
stesso, colpevole di non aver avuto un’oncia di senno nel riporre la sua
fiducia nel dio d’Amore. Sotto la «lente deformante» del secondo
autore, il modello si dilata in antimodello, accumulando dotte
disquisizioni filosofiche e politiche, nonché narrazioni colorite dove
la favola allegorica si squarcia e il dettato assume una connotazione
più profana con forti dosi di misoginia e di cinismo libertino. Il
risultato complessivo è la giustapposizione, in un solo libro, di due
culture e visioni del mondo in contrasto: a quella cortese (percepita da
Jean come superata e insopportabilmente piagnucolosa) si oppongono la
cosmologia neoplatonica e la prospettiva naturalistica improntata su
Alano di Lilla, con l’innesto di violente prese di posizione contro
francescani e domenicani, ipocriti e finti Buoni (tema eterno, che
arriva intatto fino al recente libro di Luca Rastello).
L’innamoramento
viene spogliato da Jean de Meun di ogni valore magico, è il prodotto di
una falsa apparenza riflessa negli occhi, cioè l’esito di un fenomeno
ottico (in ossequio alle tesi del fisico persiano Alhazen). In questo
nuovo registro, Ragione può persino permettersi di accennare senza
scandalo ai genitali maschili in senso proprio (coilles , ovvero
«coglioni»), ottemperando al progetto di dire le cose col loro nome,
senza infingimenti metaforici. Sulle questioni terminologiche e
tecniche, sulle fonti spesso sapientemente rimescolate (da Platone alla
latina commedia a Tibullo, Ovidio, Virgilio ai fabliaux ), sul rapporto
prospettico tra primo e secondo Roman , sulle varie ipotesi in gioco,
sui debiti dovuti da molti poeti (da Villon in poi) a questa sorta di
«tesoro» a cui attingere liberamente, si concentrano con puntualità le
note poste in appendice al volume. Dove si troveranno gli elementi per
leggere al meglio i comandamenti d’amore di Guillaume e i
contro-comandamenti di Jean, a volte spossanti nella loro lungaggine,
riscattata però non di rado da straordinarie trovate narrative.
Fa
bene Liborio a segnalare nell’introduzione gli autentici pezzi di
bravura di Jean de Meun, come quello in cui si presenta la vecchia
mezzana che rimpiange la giovinezza e gli amori passati o quello in cui
si inscena la corsa della Morte che insegue forsennatamente ogni
individuo. La traduzione di Liborio è molto rispettosa dell’originale,
pur con qualche peccato stilistico, come alcune cacofonie evitabili: per
esempio nella bellissima sequenza sulla casa di Fortuna esposta ai
flutti, in cui viene ripetuto il «contro» tre volte nel giro di pochi
versi culminando in un «sempre le si scontrano contro» a fronte di un
semplice «a lui se conbatent». Idem, poco più in là con il rincorrersi
esorbitante di «forma», «riforma», «si trasforma», «forme». Resterebbero
da dire molte cose sulla fortuna del Roman de la Rose . In primis , a
proposito del Fiore , rifacimento toscano in chiave comica, 232 sonetti a
opera di un Durante che Gianfranco Contini identifica con l’Alighieri.
Il che dimostra come il poema francese avesse raggiunto una larga
diffusione europea, confermata per altro dalla traduzione inglese di
Chaucer e dalle accese «querelle» scatenate dalla sua inquieta lettura.
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