martedì 3 giugno 2014

La morale sentimentale - e sessuale - dei quadri del Pci nel libro di Anna Tonelli


Gli irregolariUn ulteriore conferma, ad un tempo, della potenza della modernità e del modernismo integrale della tradizione rivoluzionaria novecentesca [SGA].

Anna Tonelli: Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della Guerra fredda, Laterza

Risvolto
Le storie d’amore ‘irregolari’ dei militanti comunisti riscrivono la biografia politica e sentimentale di un’Italia che, all’indomani della Liberazione, riprende la vita democratica.
I desideri che rinascono dopo le sofferenze della guerra. La voglia di cambiare che cancella il buio delle carceri e la violenza della lotta. Ma, insieme, i meccanismi di controllo esercitati dal Partito comunista sulla vita personale, la doppiezza della morale imposta, l’uso politico dei sentimenti, il tentativo di destreggiarsi fra una pedagogia politica che ha il compito di forgiare il militante secondo i dogmi dell’onestà morale proletaria e una prassi censoria che punisce i trasgressori. Quando l’impegno comune nell’antifascismo si affievolisce e il piacere della libertà di azione prende il posto delle privazioni, anche i comunisti aprono varchi all’interno di una rigidità morale spesso più propagandata che reale. Le unioni ‘irregolari’ diventano un problema e finiscono davanti alla Commissione centrale di controllo. Ma si discute anche in Segreteria e in Direzione: «Vìola il costume del partito», tuona Togliatti, accusando Teresa Noce che denuncia l’abbandono del marito Luigi Longo sulle pagine del ‘borghese’ “Corriere della Sera”. Conoscere questi amori e seguirne le storie significa entrare nelle pieghe della cultura comunista che da un lato ha promosso valori inflessibili e dall’altro ha consentito situazioni opposte, pesando in modo diverso il giudizio fra élite dirigente e iscritti, fra uomini e donne.


Compagni di letto
“Segretario, io andrei a vivere con la mia amante...” Passioni, tradimenti e separazioni: dopo la guerra  il Pci interveniva sulle scabrose vicende sentimentali dei suoi onorevoli.  E quei dossier spuntano adesso Come il Pci controllava i suoi deputati
di Michele Smargiassi Repubblica 1.6.14

Gallo della guerra civile spagnola, confessa di aver sposato Teresa Noce perché succube della «violenza morale compulsiva» della mamma. Marisa Musu, integerrima partigiana dei Gap di via Rasella, s’incolpa di «temperamento ipocondriaco e malinconico». Aldo D’Onofrio, potente capo dei quadri del Pci, accetta che il suo matrimonio sia descritto in termini di «violenza di consenso e impotenza coeundi ». Ma quanto erano fragili in casa, questi uomini e queste donne di marmo? Invece no, erano solo finzioni da tribunale, mortificanti ma necessari escamotage avvocateschi per strappare l’annullamento del matrimonio in quella “sacra rota comunista” che era la Repubblica di San Marino negli anni Cinquanta.
Bisognava pur fare qualcosa. Era una frana. Saldati nella clandestinità antifascista, forgiati al fuoco della Resistenza, nella rilassata libertà democratica i matrimoni comunisti si sfasciavano uno dopo l’altro, non reggevano a quella “voglia di vivere, cantare, parlare e stare insieme”, magari in una Festa dell’Unità, che molcea il cor anche dei funzionari più gelidi. «Fra i compagni di ogni livello», scrive Rossana Rossanda, «imperversavano passioni e tragedie, separazioni e unioni di fatto». La probità proletaria, a lungo contrapposta al libertinismo dei ricchi, sfarinava in quello che gli avversari bollavano come «amore libero». Il ménage Togliatti-Iotti, “scandalo in rosso” che turbò le coscienze di migliaia di militanti, ha fatto finora ombra a un fenomeno diffuso, virale. Gli irregolari del Pci ora ce li racconta un originale saggio (Laterza, 192 pagine, 18 euro) che Anna Tonelli, storica del contemporaneo e del costume, ha ricavato da carte finora mai sfogliate. Erano tanti, gli amori comunisti irregolari, famosi e sconosciuti, dirigenti e militanti.
E il Partito si occupava di tutti.
Perché non poteva esserci un muro fra vizi privati e pubbliche virtù in un Pci bisognoso di legittimazione morale nell’Italia democristiana che lo accusava di voler demolire la famiglia.
C’era dunque la “cicici”, la Commissione centrale di controllo, la Lubjanka di Botteghe Oscure, a vigilare sulle eterodossie sessuali degli iscritti. Ma non era un’imposizione orwelliana. Per primi i dirigenti convocavano il partito in camera da letto. Prima di lasciare la Noce e andare a vivere con Bruna Conti, Longo informò gerarchicamente Togliatti, promettendo «di dare alla cosa la minima pubblicità possibile». Tradire la moglie si può, ma con l’autorizzazione del segretario. E il partito deliberava come sulle questioni di linea politica: «Si ritiene nell’interesse del partito che i compagni Longo-Noce e Togliatti-Montagnana regolino la loro situazione nel senso dell’annullamento matrimoniale», Secchia e D’Onofrio seguirono la pratica.
Nella clandestinità, l’endogamia ideologica era stata una cautela obbligatoria: relazioni fuori dal partito potevano essere trappole. A Parigi, Celso Ghini fu convinto da un’assemblea di compagni espatriati a «non fare sciocchezze» con una ragazza. Ma nella tranquillità repubblicana, il centralismo democratico degli affetti divenne una versione privata della “doppiezza” togliattiana. Il problema era l’immagine del partito, non i princìpi morali. Del resto Terracini, presidente della Costituente, era stato tacciato di “morale sovietica” dalla stampa ostile perché viveva con una donna separata. Ma una vera e propria censura etica contro i coniugi infedeli, almeno fra i quadri, non c’era. In qualche risoluzione della Ccc traspare anzi il disagio nel dover sanzionare gli “irregolari” che creavano più scandalo.
Eppure, quando le coppie rosse cominciarono a scoppiare, il partito dovette trovare un riparo al pubblico scandalo: e fu la fuga divorzista a San Marino. Nella micro-repubblica rossa del Titano, per l’irritazione vaticana, i matrimoni potevano essere annullati. Ne approfittarono Einaudi e Vittorini. Gli irregolari rossi ci si precipitarono: D’Onofrio, Pietro Amendola, Gerratana, Grieco. Rinunciò Togliatti, perché avrebbe dovuto abdicare alla cittadinanza italiana: improponibile. Andò invece fino in fondo Longo, anche troppo: Teresa Noce non fu convocata per un disguido, e la “cenerentola rossa” si ritrovò divorziata a sua insaputa sui giornali (“La scissione Longo-Noce”, infierì Guareschi), allora scrisse una smentita pubblica che le costò l’espulsione dal gruppo dirigente, «un trauma più grande della deportazione».
Problema spinoso, quello della ribellione delle “ripudiate in rosso”. La differenza di genere, nella gestione politica dei divorzi comunisti, oggi appare eclatante e scandalosa. Solo in un caso l’iniziativa fu della moglie: fu Maria Antonietta Macciocchi ad avviare la causa per separarsi da Pietro Amendola. Rita Montagnana (che si rifiutò, scopre Tonelli, di andare in tribunale nella stessa auto del marito) finì emarginata dopo la rottura con Togliatti. Il partito era comprensivo con i compagni divorziandi, ma severo con le compagne che non accettavano che «i panni sporchi si lavano in Federazione ».
Puritano all’esterno, tollerante ma maschilista all’interno, il Pci pronubo e divorzista non esce bene dallo scavo di Tonelli. Se i problemi fossero stati solo di letto, come quello del compagno tombeur, il dirigente pugliese trasferito di sede in sede perché ovunque insidiava mogli e figlie di compagni, sarebbe stato più semplice. Ma il cuore ha ragioni speciali. E fu l’intrattabilità sovversiva dell’amore la prima vera crepa nel monolito dell’ideologia comunista italiana.



Il povero Aldino e le conseguenze dell’amore finito
di Filippo Ceccarelli Repubblica 1.6.14

MA POI, COME SUCCEDE, TUTTI QUESTI AMORI e disamori, tutte queste passioni e lacerazioni qualche vittima lasciavano anche, e del tutto innocente. Nel bel libro di Anna Tonelli si accenna un paio di volte alle “difficoltà di salute” e ai “seri problemi mentali” di Aldo Togliatti, il figlio che il Migliore ebbe nel 1925 con Rita Montagnana e a cui il Pci ha riservato il più impietoso, per non dire il più inumano dei trattamenti.
Perché sballottato da Parigi a Mosca a Torino e affetto da una forma di autismo, Aldo, o Aldino, o Aldolino - come spesso accade i diminutivi enfatizzano la crudeltà del destino - fu sempre poco amato da suo padre, che dopo averlo abbandonato alla malattia in qualche modo lo sostituì con la bambina che si prese in casa quando andò a vivere con la sua nuova compagna, Nilde Iotti.
Inutile, ora, oltre che troppo facile, condannare. Resta che Aldo era fisicamente identico al padre: ingegnere, curiosissimo, poliglotta, ma troppo spesso si chiudeva nel mutismo. Tra un ricovero e l’altro, da Budapest all’Urss, lo si vide l’ultima volta ai funerali di Togliatti; ma una volta morta anche la Montagnana, nel 1979, il Partito, residuo Moloch, decise di cancellarlo, ma letteralmente, nel senso che lo rinchiuse a sue spese, lungodegente senza nome, in una clinica di Modena.
Dove, nel 1993, a Pci ormai scomparso, Aldo Togliatti fu “ritrovato”: un vecchio triste e silenzioso a cui un anziano militante portava la Settimana Enigmistica.
Morì nel 2011. Di lui ha scritto, oltre a Massimo Caprara, che fu a lungo segretario di Togliatti, Nunzia Manicardi ne I figli di Togliatti ( Koiné, 2002), ma a Broadway è andato in scena un dramma, Our fathers, di Luigi Lunari, in cui Aldo dialoga con Rosemary Kennedy, sorella di JFK, figlia anche lei “malata”, quindi rinchiusa e perfino lobotomizzata.
Ecco, nel momento in cui i sentimenti riacquistano diritto di cittadinanza nella ricerca storica, e senz’altro la malattia mentale si valuta in modo diverso da quarant’anni fa, magari è arrivato il momento di guardare con un altro occhio alla storia di questo sacrificio. Cominciando per esempio a restituire dignità storiografica e perfino politica alla testimonianza di Caprara secondo cui il figlio di Togliatti non era comunista, e ci teneva anche a non esserlo. Di più: in piena Guerra Fredda amava l’America; e almeno due volte scappò di casa per raggiungerla, in nave. Forse è una diceria, anche se può suonare come una specie di poesia, ma quel giovanotto confuso e intirizzito, che una notte del febbraio 1958 si aggirava sul molo di Civitavecchia, confessò che voleva imbarcarsi per andare a Disneyland. Inaudito, doloroso e tenero cortocircuito fra Aldolino e Paperino.


Passioni messe ai margini. Gli amori “irregolari” nel Pci
Saggi. "Gli Irregolari, amori comunisti al tempo della Guerra Fredda", un saggio di Anna Tonelli per Laterza

I man­gia bam­bini, i rossi, i sov­ver­sivi, i com­pa­gni. I comu­ni­sti in Ita­lia erano spesso così qua­li­fi­cati. Eppure ama­vano. Anna Tonelli ricorda pro­prio que­sto aspetto nel suo libro Gli Irre­go­lari, amori comu­ni­sti al tempo della Guerra Fredda (Laterza, pp. 175, euro 18). Cosa sap­piamo di loro? Che hanno lot­tato; sap­piamo quello in cui cre­de­vano e ciò per cui si bat­te­vano, ma le più grandi figure del comu­ni­smo in Ita­lia sono state disu­ma­niz­zate dai libri di sto­ria. Eppure anche Togliatti, Longo, D’Onofrio, Pie­tro Amen­dola ave­vano pas­sioni, debo­lezze, sto­rie per­so­nali che s’intrecciavano con le vite delle «com­pa­gne», le donne che ave­vano con­di­viso la stessa scelta di vita. La Tonelli è molto brava a creare un cre­scendo nelle mini-biografie di que­sti uomini e donne; anche se non sci­vola mai nel rac­conto roman­zato.
Così viene alla luce il lato nasco­sto degli uomini e delle donne che con­tri­bui­rono a costruire il nostro paese; per far que­sto, l’autrice pre­senta le pro­ta­go­ni­ste del comu­ni­smo ita­liano. Si parla di donne che hanno costruito la loro fami­glia durante un periodo duro, che sono vis­sute per lungo tempo sepa­rate dal marito e dai figli, donne che hanno sacri­fi­cato tutto per la lotta poli­tica. La radice di tutto ciò può essere rin­trac­ciato nel con­te­sto sto­rico, ma anche nei det­tami del par­tito: l’amore era vie­tato, tutto ciò che poteva essere con­si­de­rato una distra­zione doveva essere messo ai mar­gini. I let­tori vedono così rico­struito il volto duro di un comu­ni­smo a tratti anche spie­tato, soprat­tutto con le donne.
Tra le figure che spic­cano di più ci sono Rita Mon­ta­gnana, moglie di Pal­miro Togliatti prima dell’inizio del rap­porto dell’allora segre­ta­rio del Pci con Nilde Iotti, e soprat­tutto Teresa Noce, prima moglie di Luigi Longo. La Noce è il sim­bolo per­fetto di ciò che la Tonelli cerca di ricor­dare in que­sto libro: Teresa è una donna che passa più di quat­tro anni lon­tana dal marito, costretta a vivere per molto tempo senza i figli e infine «tra­dita» dal suo stesso par­tito, che la mette in ombra dopo la sepa­ra­zione da Longo. La Noce con­ti­nua instan­ca­bil­mente la pro­pria atti­vità anche da sola, abi­tuata ora­mai a met­tersi da parte come donna per far emer­gere l’impegno poli­tico. E, come lei, tante le donne che furono mogli nei tempi dif­fi­cili della Guerra Fredda e ven­nero poi allon­ta­nate dai loro stessi mariti per ragazze più gio­vani gra­zie all’esca­mo­tage del tri­bu­nale San Marino, un modo attra­verso cui molti com­po­nenti del Par­tito Comu­ni­sta Ita­liano riu­sci­rono ad annul­lare il matri­mo­nio con le «mogli della guerra» per far spa­zio alle «mogli della pace».
Un libro asciutto, che non si lascia andare a sen­ti­men­ta­li­smi ma che rie­sce comun­que a essere di parte: la Tonelli si schiera con le donne che popo­lano il suo libro, ma lo fa con la pro­fes­sio­na­lità di una sto­rica. «I comu­ni­sti non pos­sono avere due poli­ti­che, una pub­blica e una per­so­nale», scri­verà Teresa Noce, ignara che pro­prio il par­tito che lei sapeva con­tra­rio al divor­zio aveva però rico­no­sciuto l’annullamento del matri­mo­nio tra lei e Luigi Longo. Verrà ammo­nita pro­prio per que­sta sua affer­ma­zione, che met­teva in imba­razzo il Pci.
Due sono le vere fun­zioni del libro: la prima, la più evi­dente, è met­tere in risalto le donne dimen­ti­cate dalla sto­ria uffi­ciale del Pci; tut­ta­via la Tonelli non si ferma qui e porta a riva­lu­tare pro­prio quel sistema di valori, anche se non esita a denun­ciarne la vena di ipo­cri­sia e di miso­gi­nia che lo contraddistingueva.

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