La morale sentimentale - e sessuale - dei quadri del Pci nel libro di Anna Tonelli
Un ulteriore conferma, ad un tempo, della potenza della modernità e del modernismo integrale della tradizione rivoluzionaria novecentesca [SGA].
Anna Tonelli: Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della Guerra fredda, Laterza
Risvolto
Le storie d’amore ‘irregolari’ dei militanti comunisti riscrivono la
biografia politica e sentimentale di un’Italia che, all’indomani della
Liberazione, riprende la vita democratica.
I desideri che rinascono dopo le sofferenze della guerra. La voglia di
cambiare che cancella il buio delle carceri e la violenza della lotta.
Ma, insieme, i meccanismi di controllo esercitati dal Partito comunista
sulla vita personale, la doppiezza della morale imposta, l’uso politico
dei sentimenti, il tentativo di destreggiarsi fra una pedagogia politica
che ha il compito di forgiare il militante secondo i dogmi dell’onestà
morale proletaria e una prassi censoria che punisce i trasgressori.
Quando l’impegno comune nell’antifascismo si affievolisce e il piacere
della libertà di azione prende il posto delle privazioni, anche i
comunisti aprono varchi all’interno di una rigidità morale spesso più
propagandata che reale. Le unioni ‘irregolari’ diventano un problema e
finiscono davanti alla Commissione centrale di controllo. Ma si discute
anche in Segreteria e in Direzione: «Vìola il costume del partito»,
tuona Togliatti, accusando Teresa Noce che denuncia l’abbandono del
marito Luigi Longo sulle pagine del ‘borghese’ “Corriere della Sera”.
Conoscere questi amori e seguirne le storie significa entrare nelle
pieghe della cultura comunista che da un lato ha promosso valori
inflessibili e dall’altro ha consentito situazioni opposte, pesando in
modo diverso il giudizio fra élite dirigente e iscritti, fra uomini e
donne.
Compagni di letto
“Segretario, io andrei a vivere con la mia amante...” Passioni, tradimenti e separazioni: dopo la guerra il Pci interveniva sulle scabrose vicende sentimentali dei suoi onorevoli. E quei dossier spuntano adesso Come il Pci controllava i suoi deputati di Michele Smargiassi Repubblica 1.6.14
Gallo della guerra civile spagnola, confessa di aver sposato Teresa Noce
perché succube della «violenza morale compulsiva» della mamma. Marisa
Musu, integerrima partigiana dei Gap di via Rasella, s’incolpa di
«temperamento ipocondriaco e malinconico». Aldo D’Onofrio, potente capo
dei quadri del Pci, accetta che il suo matrimonio sia descritto in
termini di «violenza di consenso e impotenza coeundi ». Ma quanto erano
fragili in casa, questi uomini e queste donne di marmo? Invece no, erano
solo finzioni da tribunale, mortificanti ma necessari escamotage
avvocateschi per strappare l’annullamento del matrimonio in quella
“sacra rota comunista” che era la Repubblica di San Marino negli anni
Cinquanta.
Bisognava pur fare qualcosa. Era una frana. Saldati nella clandestinità
antifascista, forgiati al fuoco della Resistenza, nella rilassata
libertà democratica i matrimoni comunisti si sfasciavano uno dopo
l’altro, non reggevano a quella “voglia di vivere, cantare, parlare e
stare insieme”, magari in una Festa dell’Unità, che molcea il cor anche
dei funzionari più gelidi. «Fra i compagni di ogni livello», scrive
Rossana Rossanda, «imperversavano passioni e tragedie, separazioni e
unioni di fatto». La probità proletaria, a lungo contrapposta al
libertinismo dei ricchi, sfarinava in quello che gli avversari bollavano
come «amore libero». Il ménage Togliatti-Iotti, “scandalo in rosso” che
turbò le coscienze di migliaia di militanti, ha fatto finora ombra a un
fenomeno diffuso, virale. Gli irregolari del Pci ora ce li racconta un
originale saggio (Laterza, 192 pagine, 18 euro) che Anna Tonelli,
storica del contemporaneo e del costume, ha ricavato da carte finora mai
sfogliate. Erano tanti, gli amori comunisti irregolari, famosi e
sconosciuti, dirigenti e militanti.
E il Partito si occupava di tutti.
Perché non poteva esserci un muro fra vizi privati e pubbliche virtù in
un Pci bisognoso di legittimazione morale nell’Italia democristiana che
lo accusava di voler demolire la famiglia.
C’era dunque la “cicici”, la Commissione centrale di controllo, la
Lubjanka di Botteghe Oscure, a vigilare sulle eterodossie sessuali degli
iscritti. Ma non era un’imposizione orwelliana. Per primi i dirigenti
convocavano il partito in camera da letto. Prima di lasciare la Noce e
andare a vivere con Bruna Conti, Longo informò gerarchicamente
Togliatti, promettendo «di dare alla cosa la minima pubblicità
possibile». Tradire la moglie si può, ma con l’autorizzazione del
segretario. E il partito deliberava come sulle questioni di linea
politica: «Si ritiene nell’interesse del partito che i compagni
Longo-Noce e Togliatti-Montagnana regolino la loro situazione nel senso
dell’annullamento matrimoniale», Secchia e D’Onofrio seguirono la
pratica.
Nella clandestinità, l’endogamia ideologica era stata una cautela
obbligatoria: relazioni fuori dal partito potevano essere trappole. A
Parigi, Celso Ghini fu convinto da un’assemblea di compagni espatriati a
«non fare sciocchezze» con una ragazza. Ma nella tranquillità
repubblicana, il centralismo democratico degli affetti divenne una
versione privata della “doppiezza” togliattiana. Il problema era
l’immagine del partito, non i princìpi morali. Del resto Terracini,
presidente della Costituente, era stato tacciato di “morale sovietica”
dalla stampa ostile perché viveva con una donna separata. Ma una vera e
propria censura etica contro i coniugi infedeli, almeno fra i quadri,
non c’era. In qualche risoluzione della Ccc traspare anzi il disagio nel
dover sanzionare gli “irregolari” che creavano più scandalo.
Eppure, quando le coppie rosse cominciarono a scoppiare, il partito
dovette trovare un riparo al pubblico scandalo: e fu la fuga divorzista a
San Marino. Nella micro-repubblica rossa del Titano, per l’irritazione
vaticana, i matrimoni potevano essere annullati. Ne approfittarono
Einaudi e Vittorini. Gli irregolari rossi ci si precipitarono:
D’Onofrio, Pietro Amendola, Gerratana, Grieco. Rinunciò Togliatti,
perché avrebbe dovuto abdicare alla cittadinanza italiana:
improponibile. Andò invece fino in fondo Longo, anche troppo: Teresa
Noce non fu convocata per un disguido, e la “cenerentola rossa” si
ritrovò divorziata a sua insaputa sui giornali (“La scissione
Longo-Noce”, infierì Guareschi), allora scrisse una smentita pubblica
che le costò l’espulsione dal gruppo dirigente, «un trauma più grande
della deportazione».
Problema spinoso, quello della ribellione delle “ripudiate in rosso”. La
differenza di genere, nella gestione politica dei divorzi comunisti,
oggi appare eclatante e scandalosa. Solo in un caso l’iniziativa fu
della moglie: fu Maria Antonietta Macciocchi ad avviare la causa per
separarsi da Pietro Amendola. Rita Montagnana (che si rifiutò, scopre
Tonelli, di andare in tribunale nella stessa auto del marito) finì
emarginata dopo la rottura con Togliatti. Il partito era comprensivo con
i compagni divorziandi, ma severo con le compagne che non accettavano
che «i panni sporchi si lavano in Federazione ».
Puritano all’esterno, tollerante ma maschilista all’interno, il Pci
pronubo e divorzista non esce bene dallo scavo di Tonelli. Se i problemi
fossero stati solo di letto, come quello del compagno tombeur, il
dirigente pugliese trasferito di sede in sede perché ovunque insidiava
mogli e figlie di compagni, sarebbe stato più semplice. Ma il cuore ha
ragioni speciali. E fu l’intrattabilità sovversiva dell’amore la prima
vera crepa nel monolito dell’ideologia comunista italiana.
Il povero Aldino e le conseguenze dell’amore finito
di Filippo Ceccarelli Repubblica 1.6.14
MA POI, COME SUCCEDE, TUTTI QUESTI AMORI e disamori, tutte queste
passioni e lacerazioni qualche vittima lasciavano anche, e del tutto
innocente. Nel bel libro di Anna Tonelli si accenna un paio di volte
alle “difficoltà di salute” e ai “seri problemi mentali” di Aldo
Togliatti, il figlio che il Migliore ebbe nel 1925 con Rita Montagnana e
a cui il Pci ha riservato il più impietoso, per non dire il più inumano
dei trattamenti.
Perché sballottato da Parigi a Mosca a Torino e affetto da una forma di
autismo, Aldo, o Aldino, o Aldolino - come spesso accade i diminutivi
enfatizzano la crudeltà del destino - fu sempre poco amato da suo padre,
che dopo averlo abbandonato alla malattia in qualche modo lo sostituì
con la bambina che si prese in casa quando andò a vivere con la sua
nuova compagna, Nilde Iotti.
Inutile, ora, oltre che troppo facile, condannare. Resta che Aldo era
fisicamente identico al padre: ingegnere, curiosissimo, poliglotta, ma
troppo spesso si chiudeva nel mutismo. Tra un ricovero e l’altro, da
Budapest all’Urss, lo si vide l’ultima volta ai funerali di Togliatti;
ma una volta morta anche la Montagnana, nel 1979, il Partito, residuo
Moloch, decise di cancellarlo, ma letteralmente, nel senso che lo
rinchiuse a sue spese, lungodegente senza nome, in una clinica di
Modena.
Dove, nel 1993, a Pci ormai scomparso, Aldo Togliatti fu “ritrovato”: un
vecchio triste e silenzioso a cui un anziano militante portava la
Settimana Enigmistica.
Morì nel 2011. Di lui ha scritto, oltre a Massimo Caprara, che fu a
lungo segretario di Togliatti, Nunzia Manicardi ne I figli di Togliatti (
Koiné, 2002), ma a Broadway è andato in scena un dramma, Our fathers,
di Luigi Lunari, in cui Aldo dialoga con Rosemary Kennedy, sorella di
JFK, figlia anche lei “malata”, quindi rinchiusa e perfino
lobotomizzata.
Ecco, nel momento in cui i sentimenti riacquistano diritto di
cittadinanza nella ricerca storica, e senz’altro la malattia mentale si
valuta in modo diverso da quarant’anni fa, magari è arrivato il momento
di guardare con un altro occhio alla storia di questo sacrificio.
Cominciando per esempio a restituire dignità storiografica e perfino
politica alla testimonianza di Caprara secondo cui il figlio di
Togliatti non era comunista, e ci teneva anche a non esserlo. Di più: in
piena Guerra Fredda amava l’America; e almeno due volte scappò di casa
per raggiungerla, in nave. Forse è una diceria, anche se può suonare
come una specie di poesia, ma quel giovanotto confuso e intirizzito, che
una notte del febbraio 1958 si aggirava sul molo di Civitavecchia,
confessò che voleva imbarcarsi per andare a Disneyland. Inaudito,
doloroso e tenero cortocircuito fra Aldolino e Paperino.
Passioni messe ai margini. Gli amori “irregolari” nel Pci
Saggi. "Gli Irregolari, amori comunisti al tempo della Guerra Fredda", un saggio di Anna Tonelli per Laterza
Sara Borriello,
I mangia bambini, i rossi, i sovversivi, i compagni.
I comunisti in Italia erano spesso così qualificati. Eppure
amavano. Anna Tonelli ricorda proprio questo aspetto nel suo libro Gli Irregolari, amori comunisti al tempo della Guerra Fredda
(Laterza, pp. 175, euro 18). Cosa sappiamo di loro? Che hanno
lottato; sappiamo quello in cui credevano e ciò per cui si
battevano, ma le più grandi figure del comunismo in Italia sono
state disumanizzate dai libri di storia. Eppure anche Togliatti,
Longo, D’Onofrio, Pietro Amendola avevano passioni, debolezze,
storie personali che s’intrecciavano con le vite delle «compagne»,
le donne che avevano condiviso la stessa scelta di vita. La Tonelli
è molto brava a creare un crescendo nelle mini-biografie di questi
uomini e donne; anche se non scivola mai nel racconto romanzato.
Così viene alla luce il lato nascosto degli uomini e delle donne che
contribuirono a costruire il nostro paese; per far questo, l’autrice
presenta le protagoniste del comunismo italiano. Si parla di
donne che hanno costruito la loro famiglia durante un periodo duro, che
sono vissute per lungo tempo separate dal marito e dai figli, donne
che hanno sacrificato tutto per la lotta politica. La radice di tutto
ciò può essere rintracciato nel contesto storico, ma anche nei
dettami del partito: l’amore era vietato, tutto ciò che poteva essere
considerato una distrazione doveva essere messo ai margini.
I lettori vedono così ricostruito il volto duro di un comunismo
a tratti anche spietato, soprattutto con le donne.
Tra le figure che spiccano di più ci sono Rita Montagnana, moglie di
Palmiro Togliatti prima dell’inizio del rapporto dell’allora
segretario del Pci con Nilde Iotti, e soprattutto Teresa Noce, prima
moglie di Luigi Longo. La Noce è il simbolo perfetto di ciò che la
Tonelli cerca di ricordare in questo libro: Teresa è una donna che
passa più di quattro anni lontana dal marito, costretta a vivere per
molto tempo senza i figli e infine «tradita» dal suo stesso partito,
che la mette in ombra dopo la separazione da Longo. La Noce continua
instancabilmente la propria attività anche da sola, abituata
oramai a mettersi da parte come donna per far emergere l’impegno
politico. E, come lei, tante le donne che furono mogli nei tempi
difficili della Guerra Fredda e vennero poi allontanate dai loro
stessi mariti per ragazze più giovani grazie all’escamotage
del tribunale San Marino, un modo attraverso cui molti componenti
del Partito Comunista Italiano riuscirono ad annullare il
matrimonio con le «mogli della guerra» per far spazio alle «mogli
della pace».
Un libro asciutto, che non si lascia andare a sentimentalismi ma
che riesce comunque a essere di parte: la Tonelli si schiera con le
donne che popolano il suo libro, ma lo fa con la professionalità di
una storica. «I comunisti non possono avere due politiche, una
pubblica e una personale», scriverà Teresa Noce, ignara che proprio
il partito che lei sapeva contrario al divorzio aveva però
riconosciuto l’annullamento del matrimonio tra lei e Luigi Longo.
Verrà ammonita proprio per questa sua affermazione, che metteva in
imbarazzo il Pci.
Due sono le vere funzioni del libro: la prima, la più evidente,
è mettere in risalto le donne dimenticate dalla storia ufficiale
del Pci; tuttavia la Tonelli non si ferma qui e porta a rivalutare
proprio quel sistema di valori, anche se non esita a denunciarne la
vena di ipocrisia e di misoginia che lo contraddistingueva.
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Bertolt Brecht, An die Nachgeborenen (1939)
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!/... Ach, wir/Die wir den Boden bereiten wollten für Freundlichkeit/Konnten selber nicht freundlich sein./Ihr aber, wenn es soweit sein wird/Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer ist/Gedenkt unsrer/Mit Nachsicht.
L'eredità di Lenin, intervento al convegno della Fondazione Basso, 23 novembre 2024
Intervento di Stefano G. Azzarà al convegno “Lenin, a cento anni dalla morte”, Fondazione Basso, Roma, 23 gennaio 2024.
Relatori: Jutta Scherrer, Luciano Canfora, Étienne Balibar, Rita Di Leo, Luciana Castellina, Giacomo Marramao, Stefano G. Azzarà.
La fine della democrazia moderna. Intervento al workshop della Fondazione Feltrinelli, 19/10/23
Adeus pós-modernismo: populismo e hegemonia na crise da democracia moderna
Se a primeira parte é dedicada à política imediata, as partes seguintes são, sobretudo, uma crítica filosófica e política do pós-modernismo. Elas nos fazem ver como o pós-modernismo em última análise tem favorecido o processo de desemancipação que está em curso seja ao nível nacional quanto internacional. (…) é urgente aprofundar a crítica do pós-modernismo – uma crítica que até agora encontrou escassa expressão, mas que se impõe seja de um ponto de vista filosófico seja de um ponto de vista político – e neste sentido estamos diante de um livro absolutamente precioso. Domenico Losurdo, na Introdução
Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente, Mimesis 2020
Disponibile in libreria e on line
Il revival del pensiero magico nel dibattito odierno: tra No Vax e Censis. Cagliari, 9 12 2021
La fine della "fine della storia": Festival Iconografie XXI, Milano, 25 settembre 2021
Una presentazione de "Il virus dell'Occidente" per Dialettica e Filosofia. Conduce E.M. Fabrizio
PREMIO LOSURDO 2021
Deadline domande di partecipazione: 6 settembre 2021
Premio internazionale "Domenico Losurdo"
Premiazione (28/1/2021): registrazione dei lavori
Gruppo di ricerca internazionale "Domenico Losurdo". A cura di S.G. Azzarà, P. Ercolani e E. Susca
La scuola di Pitagora editrice
LA COMUNE UMANITA'
Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo. Una critica della storia del movimento liberale che chiama in causa i suoi maggiori teorici ma anche gli sviluppi e le scelte politiche concrete delle società e degli Stati che ad essi si sono ri - chiamati; un grande affresco comparatistico nel quale il confronto secolare tra il liberalismo, la corrente conservatrice e quella rivoluzionaria fa saltare gli steccati della tradizione storiografica e disvela il faticoso processo di costruzione della democrazia moderna; l'abbozzo di una teoria generale del conflitto che emerge dalla comprensione dialettica del rapporto tra istanze universalistiche e particolarismo; un'applicazione del metodo storico-materialistico che costituisce al tempo stesso un suo radicale rinnovamento, a partire dalla riconquista dell'equilibrio marxiano tra riconoscimento e critica della modernità: a un anno dall'improvvisa scomparsa, la prima ricostruzione complessiva del pensiero di Domenico Losurdo, uno dei maggiori autori contem - poranei di orientamento marxista e tra i filosofi italiani più tradotti e conosciuti nel mondo.
Heidegger, la guerra “metafisica” della Germania contro il bolscevismo e alcune poesie di Hölderlin
Gianni Vattimo e l'oltreuomo nietzscheano dalla rivoluzione del Sessantotto al riflusso neoliberale
Università di Bologna, via Zamboni 38, 30 maggio 2019 ore 11.00. Organizza: Prospettive Italiane
Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica
Urbino, Palazzo Albani, 12 e 13 giugno 2019
Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d'egemonia?
In libreria e in e-book da Mimesis
Esistono ancora destra e sinistra? Preve e Losurdo, Torino 9/3/2019
E' on line il quinto numero di "Materialismo Storico" (2/2017)
Saggi di Cospito, Francioni, Frosini, Izzo, Santarone, Taureck e altri. Ancora un testo di André Tosel. Recensioni: Grasci e il populismo
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
Esistono ancora destra e sinistra? Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve
Nonostante Laclau. Populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna
Mimesis 2017
A. Moeller van den Bruck: Tramonto dell'Occidente? Spengler contro Spengler
OAKS editrice
Stefano G. Azzarà: "L'Occidente scivola a destra"
Globalisti contro sovranisti: un'intervista a "Il bene comune"
Una presentazione di Democrazia Cercasi a Milano, 20 maggio 2016
Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione
Intervista a Stefano G. Azzarà
Restaurazione e rivoluzione passiva postmoderna nel ciclo neoliberale
Stefano G. Azzarà: Heidegger ‘innocente’: un esorcismo della sinistra postmoderna. MicroMega 2/2015
Limitarsi a condannare l’antisemitismo di Heidegger cercando di salvare la sua filosofia è un tentativo disperato, perché l’antisemitismo dell’autore di "Essere e tempo" non ha una dimensione naturalistica, bensì culturale: per lui ‘giudaismo mondiale’ è anzitutto sinonimo di modernità, di umanesimo. La filosofia di Heidegger va rigettata non (solo) in quanto antisemita, ma (soprattutto) in quanto intrinsecamente reazionaria
Democrazia Cercasi: una critica del postmodernismo. Società di studi politici, Napoli, 24 2 2015
Sul Foglio una recensione del libro su Moeller-Nietzsche
Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice, Castelvecchi
Democrazia Cercasi. Dalla caduta del Muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia, Imprimatur
S.G. Azzarà: "La sinistra postmoderna, il neoliberismo e la fine della democrazia"
Un estratto da "Democrazia Cercasi" su MicroMega / Il rasoio di Occam
S.G. Azzarà: Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice
Quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck, CastelvecchiEditore. In libreria e in e-book
Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania? Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco? Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo. Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
La recensione di Damiano Palano a "Democrazia Cercasi"
Heidegger il cambiavalute dell'essere
Intervento al convegno di Urbino "I poveri, la povertà", 4 dicembre 2014
S.G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur Editore, pp. 363, euro 16: in libreria e in e-book
www.democraziacercasi.blogspot.it Possiamo ancora parlare di democrazia in Italia? Mutamenti imponenti hanno svuotato gli strumenti della partecipazione popolare, favorendo una forma neobonapartistica e ipermediatica di potere carismatico e spingendo molti cittadini nel limbo dell’astensionismo o nell’imbuto di una protesta rabbiosa e inefficace. Al tempo stesso, in nome dell’emergenza economica permanente e della governabilità, gli spazi di riflessione pubblica e confronto sono stati sacrificati al primato di un decisionismo improvvisato. Dietro questi cambiamenti c’è però un più corposo processo materiale che dalla fine degli anni Settanta ha minato le fondamenta stesse della democrazia: il riequilibrio dei rapporti di forza tra le classi sociali, che nel dopoguerra aveva consentito la costruzione del Welfare, ha lasciato il campo ad una riscossa dei ceti proprietari che nel nostro paese come in tutto l’Occidente ha portato ad una redistribuzione verso l’alto della ricchezza nazionale, alla frantumazione e precarizzione del lavoro, allo smantellamento dei diritti economici e sociali dei più deboli. Intanto, nell’alveo del neoliberalismo trionfante, si diffondeva un clima culturale dai tratti marcatamente individualistici e competitivi. Mentre dalle arti figurative alla filosofia, dalla storia alle scienze umane, il postmodernismo dilagava, delegittimando i fondamenti e i valori della modernità – la ragione, l’eguaglianza, la trasformazione del reale… - e rendendo impraticabile ogni progetto di emancipazione consapevole, collettiva e organizzata. É stata la sinistra, e non Berlusconi, il principale agente responsabile di questa devastazione. Schiantata dalla caduta del Muro di Berlino assieme alle classi popolari, non è riuscita a rinnovarsi salvaguardando i propri ideali e si è fatta sempre più simile alla destra, assorbendone programmi e stile di governo fino a sostituirsi oggi integralmente ad essa. Per ricostruire una sinistra autentica, per riconquistare la democrazia e ripristinare le condizioni di una vasta mediazione sociale, dovremo smettere di limitare il nostro orizzonte concettuale alla mera riduzione del danno e riscoprire il conflitto. Nata per formalizzare la lotta di classe, infatti, senza questa lotta la democrazia muore.
Emiliano Alessandroni: Ideologia e strutture letterarie, Aracne Editrice
Che cos'è esattamente il bello? È possibile procedere ad una sua decodificazione? Che significato racchiude il termine ideologia? E quale rapporto intrattiene con la letteratura, ovvero con le sue strutture? Come giudicare il valore di un'opera? A questi come ad altri quesiti questo libro intende fornire una risposta, contrastando, con la forza del ragionamento e il supporto dell'analisi testuale, quegli assunti diffusi (“il bello è soltanto soggettivo!”) e quelle opinioni consolidate (“tutto è ideologia!” o “le ideologie sono morte!”) che finiscono per disorientare chiunque si trovi, per via diretta o indiretta, a confrontarsi con tali problematiche. Un saggio di ampio respiro tra filosofia, storia, critica letteraria e teoria della letteratura.
Stefano G. Azzarà: Ermeneutica, "Nuovo Realismo" e trasformazione della realtà
Una radicalizzazione incompiuta per la filosofia italiana - Rivista di Estetica, 1/2013
Due giornate di seminario su Ernesto Laclau a Urbino. 21 novembre
Stefano G. Azzarà: L'humanité commune, éditions Delga, Paris
Une critique anticonformiste de l’histoire du mouvement libéral qui remet en cause ses théoriciens principaux ainsi que les développements et les choix politiques concrets des sociétés et des États qui s’en réclament ; une grande fresque comparative, où la mise en confrontation entre le libéralisme, le courant conservateur et le courant révolutionnaire au cours des siècles, fait sauter les barrières de la tradition historiographique et dévoile le difficile processus de construction de la démocratie moderne ; l’essai d’une théorie générale du conflit qui part de la compréhension philosophique, dialectique, du rapport entre instances universelles et particularisme ; mais aussi, une application radicalement renouvelée de la méthode matérialiste historique à travers la revendication de l’équilibre entre reconnaissance et critique de la modernité. Ce sont là les idées directrices du parcours de recherche de Domenico Losurdo, l’un des principaux auteurs italiens contemporains d’orientation marxiste, déjà connu en France à travers des ouvrages comme Heidegger et l’idéologie de la guerre (PUF 1998), Démocratie ou bonapartisme (Le Temps des Cerises 2003), Antonio Gramsci, du libéralisme au « communisme critique » (Syllepse 2006) et Fuir l’histoire ? (Delga – Le Temps des Cerises 2007).
Seconda edizione 2013
Stefano G. Azzarà: Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario, manifestolibri, Roma 2011
In libreria
Stefano G. Azzarà: L'imperialismo dei diritti universali. Arthur Moeller van den Bruck, la Rivoluzione conservatrice e il destino dell'Europa, con la prima traduzione italiana de "Il diritto dei popoli giovani", di A. Moeller van den Bruck, La Città del Sole, Napoli 2011
Dialettica, storia e conflitto. Il proprio tempo appreso nel pensiero
Presentazione della Festschrift in onore di Domenico Losurdo - VII Congresso della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, Urbino, 18-20 novembre 2011
Stefano G. Azzarà: Settling Accounts with Liberalism
Historical Materialism 19.2
L'intervento di Stefano G. Azzarà al convegno di Urbino sul comunismo
Socialismo nazionale,integrazione delle masse e guerra nella Rivoluzione conservatrice
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