mercoledì 17 settembre 2014
Ce l'ho nella Pansa: l'antifascistismo nostrano ha il revisionismo che si merita
Nel suo nuovo libro Giampaolo Pansa autore del «Sangue dei vinti» ricostruisce l'ascesa del fascismo e il consenso di massa al regime. Che molti dimenticano...Matteo Sacchi - Mer, 17/09/2014 il Giornale
Illusi e disillusi dal fascismo nel nuovo libro di Giampaolo Pansa
Fascismo «autobiografia della nazione», come sostenne Piero Gobetti,
oppure parentesi della storia italiana, come scrisse Benedetto Croce?
Dopo aver letto il nuovo libro di Giampaolo Pansa “Eia eia alalà”, edito
da Rizzoli (pagine 376, euro 19,90), abbiamo rafforzato la convinzione
che avesse ragione Gobetti. Attraverso il punto di vista di un
personaggio di invenzione, Edoardo Magni, proprietario terriero tra il
Monferrato e la Lomellina, Pansa racconta in forma di romanzo, in pagine
ricche di fatti reali, di colpi di scena (e anche di sensualità), il
dramma di un popolo all’indomani del primo conflitto mondiale. Un Paese,
soprattutto al Nord, dilaniato dallo scontro tra le potenti
organizzazioni sindacali, un Partito socialista massimalista, e una
classe borghese timorosa che l’Italia potesse fare la fine della Russia
bolscevica. In questa vicenda, come sa chi ha nozioni di storia
(l’autore cita i classici di Renzo De Felice e di Emilio Gentile),
ebbero un ruolo fondamentale i reduci della Grande guerra, gli ufficiali
che avevano combattuto per più di tre anni e che si trovarono spaesati
nella nuova Italia. Reduce è il protagonista immaginario del romanzo,
così come lo erano tanti personaggi storici realmente vissuti. A
cominciare da Cesare Forni, tenente d’artiglieria tra i primi ad aderire
ai Fasci di combattimento, protagonista della reazione agraria, a capo
dei manipoli che misero a ferro e fuoco Milano con gli assalti alla sede
dell’«Avanti!» e a Palazzo Marino. Un ras locale che presto si mise in
contrasto con il regime, al punto da subire un’aggressione davanti alla
stazione di Milano dagli stessi sgherri di Mussolini (Amerigo Dumini, in
primis) che sequestrarono e uccisero Giacomo Matteotti nel giugno 1924.
Due terzi del libro di Pansa sono dedicati agli albori e all’avvento del
fascismo, prima che diventasse regime. È la storia di un’illusione e di
una rapida disillusione, almeno per i protagonisti messi a fuoco da un
grande giornalista che si è saputo reinventare come scrittore, sia di
libri importanti di storia (checché ne abbia scritto qualche accademico
con la puzza al naso) come “Il sangue dei vinti”, in cui ha messo in
luce il lato oscuro della Resistenza, sia di romanzi come questo.
La forza di “Eia eia alalà” sta anche in una narrazione della storia del
fascismo, o meglio della sua «controstoria», come recita il
sottotitolo, da un punto di vista locale, quello delle terre attorno a
Casale Monferrato dove Pansa è nato nel 1935 e a cui ha dedicato pagine
importanti. Scontri sociali e intrighi politici sono raccontati in
maniera del tutto originale: voce narrante, si diceva, è il latifondista
Magni, finanziatore di Forni e sempre impegnato in avventure amorose.
Le sue emancipate e spregiudicate amanti hanno il ruolo di fargli aprire
gli occhi sulla reale natura del regime. Attorno al protagonista si
muovono figure realmente vissute come il quadrumviro Cesare Maria Vecchi
o i conti Cesare e Giulia Carminati. Uno dei quadretti più spassosi è
l’incontro galante fra l’avvenente contessa Giulia e un Mussolini
assetato di sesso. Il Duce viene ritratto nei momenti privati, ma anche
nelle stanze del potere, circondato da carrieristi e affaristi di cui ha
bisogno e che non lo contrastano quasi mai, anche nelle scelte più
sciagurate.
L’atto conclusivo dell’affresco disegnato da Pansa riguarda le leggi
razziali. Davanti alla persecuzione degli ebrei, all’indifferenza degli
italiani per la sorte di quei ragazzi che non potevano più frequentare
le scuole, dei professori che non potevano più insegnare, dei
professionisti cacciati dai loro studi, la disillusione del protagonista
diventa totale. Edoardo, un fascista in buona fede, un pavido che non
ha mai saputo reagire alle nefandezze del regime, assomiglia ai milioni
di italiani che, anche per quieto vivere, applaudirono il Duce e che
dopo vent’anni si accorsero del disastro.
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