martedì 2 settembre 2014

Come fare confusione sulle "Nuove Guerre"

warsL'offensiva per un nuovo Secolo Americano viene mistificata come un conflitto interimperialistico. Posizioni come questa portano molta confusione perché gettano nebbia sulla natura del conflitto [SGA].

Wars on demand. Guerre nel terzo millennio e lotte per la libertà, a cura di «Vicenza libera dalle ser­vitù mili­tari», Agen­zia X, euro 13

Risvolto
Dalla conclusione della guerra fredda si sono accelerati i processi di trasformazione dei conflitti contemporanei. Sono ormai lontani gli anni delle battaglie campali tra eserciti regolari. Oggi basi operative sofisticate, aerei da bombardamento, reti di intelligence, droni letali e mercenari si contendono il controllo dei territori geostrategici del sistema mondo. A pagare il prezzo più alto sono gli abitanti civili delle aree interessate dalle servitù militari, che non stanno a guardare e organizzano forme di lotta e resistenza.
Si affaccia una nuova epoca. Le attuali crisi politiche e militari regionali dimostrano che siamo nel pieno di un mutamento nelle modalità e negli strumenti della gestione del potere a livello planetario. Stiamo attraversando il passaggio geopolitico da quella che era stata definita la fase dell’impero, in cui una sola potenza, gli Usa, imponeva il proprio dominio anche tramite lo strumento guerra, a una in cui emergono con determinazione potenze continentali, aprendo nuovi scenari per l’egemonia su intere aree regionali. È all’interno di questa complessità che si muove chi contrasta la guerra moderna, dando vita a esperienze di opposizione inclusive e diffuse, volte alla costruzione di un cambiamento radicale per la pace e la giustizia sociale.
Wars on demand raccoglie le analisi di esperti sulle guerre del terzo millennio e le testimonianze di attivisti contro le basi negli angoli più remoti del mondo. Il lettore è trasportato in un inedito viaggio tra Italia e Medio Oriente, tra Stati Uniti e isole del Pacifico. Il libro si fa interprete dei movimenti che si collocano nel tempo della ridefinizione degli equilibri globali, raccontandone a più voci gli entusiasmi, le difficoltà e la tenacia nella lotta.
 

Guerre a geografia variabile
Saggi. «Wars on demand» per Agenzia X. Dalla Rete ai nuovi sistemi di armamento, alle resistenze pacifiste nell’area del Pacifico. Un volume collettivo sul nuovo complesso militare-industriale
Simone Pieranni, 22.8.2014 il Manifesto

Fino a qual­che mese fa, era opi­nione dif­fusa che l’area del mondo più a rischio fosse quella del Paci­fico. La corsa agli arma­menti di Cina, Giap­pone e molti altri paesi asia­tici — a causa delle tante con­tese ter­ri­to­riali — lasciava pre­sa­gire il rischio di una crisi, capace di rivo­lu­zio­nare gli assetti geo­po­li­tici della zona e non solo. Del resto, in ogni occa­sione utile, la Cina ha sot­to­li­neato i pro­pri inve­sti­menti in droni e nella cosid­detta «cyber­war», a testi­mo­nianza dell’importanza attuale non solo delle armi. Pechino aveva anche isti­tuito una zona di difesa aerea sulle isole con­tese (le Diaoyu per i cinesi, Sen­kaku per i giap­po­nesi), che aveva finito per irri­tare Giap­pone, Tai­wan, Filip­pine e Viet­nam e natu­ral­mente Obama e Washing­ton. Pro­te­ste anti Pechino ave­vano scon­volto Hanoi, men­tre Tokyo sot­to­li­neava la pro­pria voca­zione mili­tare, con le visite dei suoi poli­tici ai san­tuari dei suoi com­bat­tenti in guerra, cri­mi­nali per Corea e Cina (e dimo­strando tutto il pro­prio vigore, ponendo in pieno cen­tro della capi­tale il pro­prio arse­nale anti mis­si­li­stico, a seguito delle minacce della Corea del Nord). Era quella l’area sulla quale si con­cen­trava l’attenzione mon­diale, la zona del mondo, sim­bolo dell’ascesa della potenza cinese.
Il motivo – del resto — era molto sem­plice: ad un mondo gui­dato dall’imperialismo ame­ri­cano, da tempo si con­trap­pon­gono potenze che nelle pro­prie aeree spin­gono per una nuova ege­mo­nia. Stati che nei con­fronti degli ame­ri­cani hanno un atteg­gia­mento spa­valdo e per niente defe­rente.
Da tutto que­sto, Washing­ton ne risulta inde­bo­lita, nell’influenza e nella forza. E il Paci­fico assu­meva i con­torni della prova del fuoco: la stra­te­gia ame­ri­cana di «pivot to Asia», è con­tra­stata dalla Cina, creando una caram­bola di con­se­guenze dall’afflato mon­diale. Gli eventi di que­sti ultimi mesi, hanno invece dimo­strato che que­sta ten­denza non è solo asia­tica, ma ormai mon­diale e lo scop­pio quo­ti­diano – o la ripresa — di con­flitti (Ucraina, Gaza, Iraq, Siria) dimo­stra che que­sta modi­fica negli assetti glo­bali è ormai nella sua fase più attiva, non solo nelle zone vicine alla seconda potenza mon­diale, la Cina, e si mani­fe­sta nel mondo con­sueto con cui si risol­vono le crisi nel capi­ta­li­smo: attra­verso le guerre.
Per que­sto Wars on demand, un libro a cura di «Vicenza libera dalle ser­vitù mili­tari» (Agen­zia X, euro 13), è un volume fon­da­men­tale per inter­pre­tare e com­prende quanto sta acca­dendo ed è per certi versi una sorta di anti­ci­pa­zione di tutto quanto potrebbe acca­dere nel più imme­diato futuro. Non a caso, gli autori degli inter­venti ospi­tati nel libro si con­cen­trano soprat­tutto sull’area asia­tica (isole con­tese e basi ame­ri­cani a Guam, in Giap­pone, ad esem­pio), ma le linee gene­rali dimo­strano – uti­liz­zando spunti che vanno dall’uso dei droni, alla con­qui­sta «mili­tare» dello spa­zio, fino alla nuova guerra infor­ma­tica – que­sto cam­bia­mento para­dig­ma­tico negli equi­li­bri geo­po­li­tici. Come scri­vono nella pre­messa Duc­cio Ellero, Vilma Mazza e Giu­seppe Zam­bon, «siamo den­tro un pas­sag­gio geo­po­li­tico da quella che era stata defi­nita la fase dell’Impero, in cui una sola potenza, gli Usa, impo­neva il pro­prio domi­nio anche tra­mite le stru­mento guerra, a una in cui emer­gono con deter­mi­na­zione potenze con­ti­nen­tali che assu­mono un rap­porto poli­tico, eco­no­mico e mili­tare, deci­sa­mente con­flit­tuale con la pre­ce­dente potenza ege­mone».
I fatti di que­ste ultime set­ti­mane lo dimo­strano in pieno. Cosa è la guerra in Ucraina, se non uno scon­tro tra la Rus­sia, che Putin vor­rebbe ripor­tare agli anti­chi fasti di domi­nio della sua area di influenza, tra­mite il riav­vi­ci­na­mento di que­gli ex stati sovie­tici che gli per­met­te­reb­bero di creare distanza tra Europa a occi­dente e Cina a oriente, e la Nato a guida Usa che prova a recu­pe­rare un paese che ha di fatto por­tato alla divi­sione e a lace­rarsi con una guerra dall’esito ormai sem­pre più incerto (e dove muo­iono, come in ogni con­flitto che si rispetti, per lo più i civili)? Per altro il con­flitto ucraino rac­conta anche un’altra cosa: che nono­stante i droni e le moderne tec­no­lo­gie, la guerra è ancora fatta con uso di arti­glie­ria, a colpi di mor­taio e con pro­ba­bili mis­sili terra– aria capaci di col­pire anche aerei com­mer­ciali in volo sulle zone di con­flitto. Del resto anche la recente guerra di Gaza, potrebbe venire inter­pre­tata come una sorta di auto­noma poli­tica di potenza di Israele (non a caso il rap­porto con gli Usa può essere defi­nito in lieve crisi, ulti­ma­mente), a fronte anche di quanto sta suc­ce­dendo poco distante. Non tanto e non solo per l’Iran e la sua influenza nell’area, quanto per la poli­tica di con­qui­sta, di «potere» (come ha spie­gato ieri sul Mani­fe­sto Giu­liana Sgrena) dei jiha­di­sti del Calif­fato, usciti dal disa­stro siriano. Scon­tri, geo­me­trie, che mani­fe­stano la deca­denza di un impero (secondo i neo­con ben imper­so­nata dalle incer­tezze di Obama in poli­tica estera) che ha tro­vato un suo momento sim­bo­lico nel «fronte interno» ame­ri­cano, con i recenti scon­tri — di classe, non solo raz­ziali — a Fer­gu­son, in Mis­souri. L’emblema della crisi del gen­darme del mondo, che deve ormai guar­darsi, a causa della crisi eco­no­mica, dal suo «fronte interno».
War on demands pre­senta dun­que una car­rel­lata di zone di guerra e di stru­menti di guerra, indi­spen­sa­bile bus­sola nelle nuove arit­me­ti­che di potenza attuali, a seguito del fal­li­mento di quelle pas­sate. Basti pen­sare all’Iraq. Come scrive Dome­nico Chi­rico di «Un ponte per», dopo dieci anni dalla guerra ame­ri­cana «in uno dei paesi più ric­chi di petro­lio al mondo, la mag­gio­ranza della popo­la­zione ha al mas­simo sei ore di elet­tri­cità al giorno, uno su quat­tro non ha accesso ad acqua pota­bile, il 20% della popo­la­zione è anal­fa­beta, i casi di mal­for­ma­zione, con­se­guenza del mas­sic­cio uso di armi chi­mi­che e ura­nio impo­ve­rito durante la guerra, sono in con­ti­nuo aumento con per­cen­tuali simili in alcune aeree a quelle di Cher­no­byl». In tutto que­sto pano­rama, ci sono anche gli «impe­ria­li­sti strac­cioni», alla ricerca delle bri­ciole di influenza cadute dai tavoli dei «grandi», natu­ral­mente. E i casi delle lotte del movi­mento «No Dal Molin» e «No Muos», rac­con­tano che l’Italia, come dimo­strato dalla recente deci­sione di armare i pesh­merga in Iraq, non è esclusa da que­sto «mondo in guerra».

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