martedì 23 settembre 2014

Dalla materia inorganica a quella organica

Peter Hoffmann: Gli ingranaggi di Dio. Dal caos molecolare alla vita, Bollati Boringhieri

Risvolto

Da millenni gli uomini si interrogano sulla natura ultima della vita, eppure le spiegazioni che sono state fornite nel corso della storia si possono dividere in due sole grandi categorie: da un lato c'è chi pensa che tutti i fenomeni vitali possono essere ricondotti al movimento di minuscole particelle fisiche; dall'altro c'è chi invoca un'entità speciale, una sostanza invisibile che anima la materia vivente dandole uno scopo. Chi la chiama Dio, chi "slancio vitale" o vis viva: sarebbe l'"intelligenza" cosmica necessaria a spiegare la mirabile organizzazione degli esseri viventi, così apparentemente diversa dal caos della materia bruta. La spiegazione "vitalistica" ha trionfato per secoli, benché della "forza vitale" non si sia mai trovata traccia. Democrito, Epicuro, La Mettrie e Darwin, campioni della visione "meccanicista", erano considerati i "materialisti" da combattere. Nel frattempo la scienza è progredita ed è grazie agli enormi passi avanti compiuti nei decenni scorsi da fisici e biologi che Peter Hoffmann ha potuto scrivere questo libro, un vibrante e aggiornatissimo racconto che di fatto rovescia la prospettiva e condanna al fallimento ogni forma residua di vitalismo: il moto caotico e casuale delle molecole, unito alla necessità imposta dalle leggi fisiche, è tutto ciò che serve per spiegare la vita. 

Dal sasso alla farfalla, l’alchimia della vita
Percorsi orientati, pressione selettiva e legami chimici flessibili sono i segreti del prodigio. Un libro di Peter Hoffmann fornisce un quadro avvincente delle dinamiche intracellulari

Sandro Modeo La Lettura

Le nanotecnologie spiegano l’origine della vita
Record a Torino: sintetizzate proteine con 16 amminoacidi (dei 20 esistenti)
di Luigi Grassia La Stampa TuttoScienze 24.9.14

A grandi linee sappiamo com’è andata. Nel brodo primordiale, 4 miliardi di anni fa, c’erano piccole molecole che poi, reagendo, hanno dato origine agli amminoacidi, e da questi sono nate le proteine, il Dna, la vita, insomma. Però la scienza non è tale se si ferma alle intuizioni e alle ipotesi indimostrate: bisogna ricostruire come sono andate le cose in concreto. Riprodurre l’intero processo. E qui, finora, è cascato l’asino: abbiamo riprodotto qualche spezzone, sì, ma il processo intero no, neanche lontanamente. Finora. La novità è che a Torino si è appena fatto un grande balzo in avanti, arrivando ad aggregare un polimero lungo 16 amminoacidi , cioè una piccola proteina. E le nanoscienze hanno dato un contributo fondamentale.
La ricerca è stata condotta dal dipartimento di Chimica e dal Centro Interdipartimentale per le Interfacce e Superficie Nanostrutturate (Nis) dell’Università di Torino, l’ha diretta il professor Gianmario Martra ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica «Angewandte Chemie».
Il professor Piero Ugliengo, che a Torino si occupa di chimica computazionale, è stato tra gli ispiratori della ricerca, facendo simulazioni al calcolatore. Spiega: «Passare dagli amminoacidi alle proteine non è una reazione spontanea. E la presenza di acqua tende a separare le molecole prebiotiche anziché aggregarle». Questa è una sorpresa per noi profani, che credevamo che le acque degli oceani primordiali fossero un brodo di coltura ideale.
Pare, invece, che l’ambiente ideale per queste sintesi siano le rocce. «Sui minerali - dice Ugliengo - ci sono dei siti attivi che attirano le molecole e le concentrano alla superficie». Questo perché la struttura geometrica dei cristalli si presta a organizzare le molecole che vi si depositano. Se poi i siti attivi alla superficie della roccia riescono pure a fornire l’energia per accelerare la reazione chimica fra gli amminoacidi, abbiamo tutti gli ingredienti necessari.
Ma qui la faccenda si complica, perché l’acqua, pur nemica delle sintesi prebiotiche, a qualcosa è necessaria. «Non possiamo immaginare che in natura gli amminoacidi arrivino sulle rocce volando - osserva Ugliengo -. Devono esservi depositati dall’acqua». Che però, poi, deve discretamente farsi da parte, sparire, togliersi di mezzo. E dove succede questo in natura? «Sulle rocce esposte all’acqua di mare, dove si formano delle piccole pozze. Poi il liquido evapora e la roccia resta asciutta». Queste nicchie sono state la clinica di maternità della vita sulla Terra.
In laboratorio, a Torino, come «roccia» si è usato del biossido di titanio, in particelle nanometriche per aumentarne la superficie di contatto, che si è rivelato un ottimo catalizzatore ed aggregatore, organizzando polimeri lunghi fino a 16 amminoacidi. Un’altra «roccia», la silice amorfa, si è fermata a 11. Ora continua la ricerca per scoprire l’insieme di minerali che 4 miliardi di anni fa aggregarono i 20 amminoacidi in lunghe catene che potessero manifestare i primi comportamento enzimatici. Quel giorno la vita estrasse il biglietto vincente della lotteria.

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